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Lui & Lei

Una donna oggetto


di Honeymark
27.09.2019    |    11.682    |    7 9.3
"- Quanto ai punti – aveva continuato, – accetto tutto, ma ho tre condizioni..."
Una donna oggetto
1

Devo premettere che io e Daniela eravamo solo amici. Ci avevo provato in varie occasioni, da gentiluomo sia ben chiaro, ma lei aveva sempre sviato l’argomento con abilità. Un peccato perché era bella e confesso che quando si girava di schiena le guardavo il culo. Amen.
Lei lavora per un ente pubblico, inquadrata al terzo livello, cioè basso nonostante la laurea. Poiché la trattavano male e io sono un vecchio volpone della Publica amminstrazione, cominciò a chiedermi aiuto sul modus operandi e soprattutto sulle lettere da scrivere. Non mail qualsiasi, ma lettere volte a ottenere risultati. Io so scrivere bene e già ai tempi della naia scrivevo i testi delle lettere che i miei commilitoni inviavano alle loro morose.
Dopo la terza lettera scritta da me, il suo capo cominciò a chiamarla «giornalista» per come sapeva scrivere e un po’ tutti iniziarono a rivolgersi e lei per chiedere aiuto, soprattutto nelle istanze destinate ai propri superiori.
Pian piano, per me era diventato un lavoro in più, perché per ottenere risultati dovevi capire la problematica e ragionarci. Un lavoro oltrettutto gratuito e cercai un modo per sfilarmi. Ma lei, terrorizzata, mi supplicò di continuare, costi quel che costi.
- Puoi fare di me quello che vuoi, in cambio. – Mi disse all’orlo della disperazione.
Si riferiva al sesso.
- Non scendere così in basso, – le risposi da amico. – Ho sempre desiderato venire a letto con te, ma non certo in cambio di qualcosa.
Arrossì abbassando gli occhi.
- Sono io che te lo propongo, – ribatté alzandoli. – E la cosa non mi spiacerebbe...
- Non spiacerebbe neanche a me, ma non sono un bastardo.
- Non voglio una relazione, – aggiunse. – Ma mi eccita l’idea di essere... venduta.
- Che cosa?
- Essere venduta a chi mi piace, ovviamente.
La cosa iniziava a intrigarmi.
- E... io ti piaccio?
Pensò attentamente a quello che voleva dirmi.
- Non ti piacerebbe avermi come una... donna oggetto?
- Ma allora possiamo cominciare anche subito – esclamai entusiasta, – e senza problemi!
- E no, caro mio. Non deve essere una finta.
- Spiegati... – Sussurrai, sempre molto interessao.
- Voglio essere «obbligata» a fare quello che vuoi.
Cominciavo a capire il meccanismo che alimentava il suo erotismo.
- Cioè, – intervenni, – chiedermi favori potrebbe essere una specie di do ut des?
- Esatto.
- Allora dobbiamo stendere un listino... – Le dissi, iniziando a entrare nella parte.
- Preparalo, – rispose soddisfatta. – Prepara dieci step diversi.
- So essere un maiale, se voglio. – La avvisai.
- Basta che piaccia a te... – Aggiunse. – Io sarò passiva e ubbidiente, dovrò solo accettare quello che vuoi fare. È così che deve funzionare. Chiaro?
- Chiaro.
La mia risposta la sentiva anche lei dal rigonfiamento dell’uccello al quale si appoggiava apposta.
- Allora stabiliamo una serie di priorità? – Dissi.
- In che senso?
- Beh, ogni lettera ha la sua importanza. Alcune valgono poco, altre sono senza prezzo.
- Per esempio?
- Beh, se si tratta di una comunicazione interna, direi che va bene il nmero uno. Una lettera al capo, la numero due. La richiesta di ferie un tre, l’aumento direi tre se va male e 5 se va bene...
- E a cosa corrispondono i numeri?
- A altrettante prestazioni sessuali.
- Descrivemele.
- Femmici pensare, – le risposi. – Te le scrivo e te lemando via email. Però ogni volta negozieremo il numero da applicare in base alla complessità della lettera. Ok?
Ci oenso seramente per un attimo.
- Ok, – disse alla fine. – Mandamele.


2.

Iniziai subito a scrivere il «listino prezzi», una sorta di decalogo con le varie combinazioni che mi sarebbe piaciuto fare. Sono bravo a scrivere e già buttando giù quelle 10 prestazioni immaginarie mi eccitavo da solo.
Erano scritte in ordine crescente di importanza e di coinvolgimento sessuale. Immaginai subito che le più importanti non sarebbero mai state scelte, ma sognare non costa nulla.
E, in tutti i casi, precisai che di volta in volta avremmo conordato il numero della performance messa in palio. Stabilii che l’accordo presupponeva una situazione di base a mio favore e che per scrivere un lettera qualsiasi costava il primo livello di gioco, se poi andava in porto, ecco l’estensione ai numeri successivi.

Zero. Dal momento che accetto di collaborare sempre con te, ti posso palpare ovunque, vestita.
Ecco invece i 10 punti.

1. Ti accarezzo sotto le gonne.
2. Ti sollevi le gonne senza mutandine fino a mostrarmi il culo e la figa.
3. Nuda, ti lasci palpare, masturbare e sculacciare.
4. Mi fai un pompino.
5. Mi lecchi il buco del culo, mi metti un dito nel culo e mi fai un pompino.
6. Ti metto una candela nel culo e ti masturbo.
7. Ti chiavo, in tutte le maniere che mi passano per la testa.
8. Ti inculo.
9. Ti sadomaso.
10. Faccio di te quello che voglio, tutto.

Mi resi conto che a scivere quei 10 punti mi ero eccitato come un ragazzino, come quando facevamo i giochi decidendo i pegni per chi perdeva...
Rilessi il decalogo, apportai qualche ritocco e poi presi coraggio e glielo inviai.
Mi domandai se avevo fatto bene a mandargielo e temetti di aver rovinato tutto perché passò un giorno prima che mi mandasse una mail di risposta.
Quando la vidi arrivare, mi batté il cuore. Mi feci coraggio e la aprii.
- Condivido il Punto Zero, – aveva scritto. – È una condizione che mi rassicura sulla tua collaborazione. Però potrai farlo solo quando non ci potrà vedere nessuno.
- Magnifico! – Pensai.
- Quanto ai punti – aveva continuato, – accetto tutto, ma ho tre condizioni. La prima è che se mai arriviamo al sadomaso, non voglio che mi lasci segni che durino più di un giorno. La seconda è che se mai dovessimo arrivare anche alla numero 10, non voglio che mi fai montare da un amico o giocare con un’altra donna, perché non voglio che si sparga la voce che sono una troia. Infine, voglio che mi tratti come una donna-oggetto. Nessuna relazione. Claro?
Quando lessi la sua risposta, provai un piacevolissimo senso di potere. L’amica non aveva messo in discussione i primi otto punti... E con l’ultima codizione mi aveva fatto emergere un aspetto del mio erotismo che non conoscevo, la dominazione. Il potere, appunto. «Dovevo» divertirmi senza dare nulla in cambio sul piano personale.
Le risposi che accettavo le sue condizioni.

L’indomani mi mandò già la prima richiesta. Non perdeva tempo.
- Voglio chiedere al capo di spostarmi dal servizio paghe a quello della sua segreteria. Sono disposta a darti il N. 1 se me la scrivi e il N. 2 se accetta.
Guardai l’elenco che avevo salvato sul desk e le risposi.
- Eh no, cara. – Ribattei. – Non è una cosa da poco quello che mi chiedi. Per cui voglio la N. 2 per scrivertela e la 6 se va in porto.
Attese un bel po’ rima di rispondermi. Poi arrivò la mail.
- Capisco, – aveva risposto. – Meriti la 2 a priori, ma se va bene ti concederò solo la N. 5.
Corsi a guardare nuovamente il decalogo e rilessi il Punto 5: se ce l’avesse fatta, mi a avrebbe fatto un pompino. Mi sentii eccitare come un adolescente.
- Ottimo, – le risposi subito. – Mandami gli estremi per impostare la lettera. Mi concentrerò al massimo.
Aveva trovato il modo di divertirsi ottenendo risultati. Era un vecchio principio: la donna che si ecciterebbe a fare la puttana solo se potesse decidere con chi, e l’uomo che pagherebbe solo la donna che desidera. Lei avrebbe potuto fare la donna oggetto con la scusa che me lo dovea, e io potevo trattarla da donna oggetto perché avevo l’autorizzazione. Ci eravamo trovati.

Preparai il testo per la mail studiando parola per parola e glielo inviai nella notte. Nella trasmissione le chiesi se quella sera poteva venire da me a saldare la prima parte del debito.
La risposta me la mandò a mezzogiorno via Whatsapp.
- Ho inviato la mail al capo, – aveva scritto. – Posso passare da te stasera? Non voglio debiti.
- Certo! – Risposi, era quello che le avevo chiesto. – A che ora?
- Alle 21 va bene?
- Perfetto.
Era stata una chattata fondamentale, perché fin lì poteva essere tutta una finta. E quella sera, che arrivò con un quarto d’ora di ritardo, rimasi agitato finché non sentii suonare il campanello alla porta. Andai ad apriire, era lei.
Aveva uno sguardo impenetrabile, ma entrò con sicurezza, anche se a casa mia non era mai venuta. Provavo un forte imbarazzo e avevo il cuore in gola, ma ero determinato e la portai in salotto. Si guardò intorno, poggiò la borsetta e mi fece cenno di sedermi comodamente in poltrona. Lei restò in piedi in mezzo alla sala.
Mi accomodai agitatissimo e mi disposi ad assistere quello che si era impegnata a fare.
- Sei pronto? – Disse.
Non attese risposta. Si girò di schiena e si lasciò ammirare vestita, cosa che da sola invitava a mille pensieri cattivi. Poi, con calma, abbassò le mani alla gonna e piano piano la sollevò fino a scoprire le cosce prima e la base del culo poi. Indugiò un po’, conoscendo l’effetto che faceva mostrando la sola parte bassa del culo. Io ero già eccitato da morire e non vedevo l’ora di scoprire se portasse le munandine o no. Gli accordi erano per il no, ma...
Poi, con piccoli spostamenti studiati delle gambe, sollevò la parte finale della gonna, nostrandomi un superbo culo ignudo.
Mai non fu vista cosa più bella. Mai io non colsi siffatta pulzella...
Era una canzone di De André, che mi tornò alla mente in automatico.
Il culo era alto, lungo e ovale, il solco profondo e la pelle perfettamente liscia. Le sue rotondità erano di un erotismo femminile insuperabile, le piegoline alla base del culo erano un invito alla penetrazione. Alla sodomia.
Rimasi a bocca aperta come un allocco e sarei rimasto così per ore, se poi non si fosse voltata verso di me a mostrarmi la figa. La guardai come ipnotizzato, come se fosse la prima volta che vedevo una figa. Mi sembrava di essere tornato adolescente.
Lei guardava le mie reazioni, ma io non riuscivo a staccare gli occhi da quel triangolino di pelo che scendeva a indicare la posizione della figa.
Fece due passi verso di me, dondolando. Mi sembrava di zoomare le sue itimità. Si girò nuovamente di culo e rimasi a bocca aperta. Si era messa in posa con le gambe leggermente divaricate, degna di una statua greca.
Poi si girò ancora in fronte a me.
- Spogliai, – Disse. – Ti faccio un pompino.
Preso alla sprovvista, la stoppai.
- Fermati! – Le dissi agitato. – Non me lo devi, Prima devi avere la risposta!
- Ce l’ho già, – disse spavalda. – Il capo mi ha già detto di sì!
- Ostia! – Esclamai allibito.
Mi spogliai in un battibaleno, lasciando che il cazzo si librasse nell’aria in tutta libertà.
Anche lei si era spogliata rapidamente, anche se non era specificato nei patti. Certo che vederla ignuda mentre si avvicinava al mio uccello, era una cosa meravigliosa. Un Inno alla gioia scritto da Schiller per Beethoven.
Mi sedetti sdravaccato sulla poltrona a gambe larghe e lasciai che facesse tutto lei. Era «pagata» per questo, no?
Si inginocchiò davanti a me, mi prese per le gambe, mi avvicinò a lei e le allargò per bene. Mise le mani agli inguini e li lisciò, avvicinandosi lentamente alla base del cazzo. Quindi mi accarezzò a piene mani le palle turgide e poi fece scorrere la sinistra su per il cazzo. Mi abbassò il prepuzio con forza e mi baciò il glande con le labbra. Credetti di morire.
Baciò ancora la cappella e poi, piano, abbassò la testa infilandoselo in bocca. Prima lavorò il glande e poi se lo infilò fino alla gola e oltre. Alzò gli occhi per godersi la mia reazione, ma ormai io ero in trip con gli occhi socchiusi.
Rimasi passivo a godemi il caldo bagnato della sua saliva e lo scorrimento del cazzo tra la lingua e il palato. Procedette così, lentamente ma con ritmo, finché non avvertì un primo spasmo del cazzo. Capì che stavo per venire e accelerò il movimento, godendosi le pulsioni che il cazzo stava avendo con un folle susseguirsi di contrazioni.
Lo sperma si gettò nella sua bocca come un pozzo di petrolio, mentre io urlavo come se mi stessero aprendo il cazzo come una banana.
Proseguì con dedizione finché l’uccello non si placò e tornò alle sue dimensioni di riposo. Assorbì le ultime gocce, dopodiché si allontanò.
La vidi nuda a rivestirsi e poi, con calma, se ne andò senza salutarmi.

(La seconda parte tra una settimana)
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