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Lui & Lei

Una donna oggetto seconda parte


di Honeymark
04.10.2019    |    9.877    |    3 9.7
"Poi, nel tardo pomeriggio, mi mandò il messaggio, stringato ma più che eloquente..."
Una donna oggetto.
3.

Andai a letto dritto come una spada, ma poi mentre stavo per addormentami mi inquietai domandandomi se adesso sarebbe caduto il nosto accordo. Non aveva più bisogno di me?
La mattina dopo le mandai un messaggio Whatsupp.
- Adesso non ti serviranno più i miei servizi?
Passò un po’ di tempo prima che mi rispondesse.
- Anzi, direi di più... – Aveva scritto. – Il mio incarico è quello di scrivere per il direttore...
Attesi anch’io prima di risponderle, preoccupato sul versante opposto.
- Be, potevi parlarne con me... – Obiettai. – Non so se riesco a star dietro a un carico di lavoro del genere.
- Beh, possiamo sempre negoziarlo, no?
Non risposi.
- Diciamo che col nuovo incarico il tuo diritto fisso può passare dal punto 0 al punto 1, – aggiunse. – Il resto sarà sempre frutto di negoziazioni. D’accordo?
Ci pensai. Certamente era allettante, ma avrei potuto non farcela. Avrei dovuto lavorare la notte.
- Scusa, – aggiunse d’improvviso. – Si può sostituire la tautologia con l’anacoluto?
Rimasi di sasso. Che ne sapeva di figure retoriche?
- Secondo il Manzoni sì, – risposi, stuzzicato nella mia professionalità. – Non si può dire «a noi ci piace», ma secondo il Manzoni si può dire «noi ci piace».
- Ah, basta togliere la preposizione semplice «A»?
- Esatto. – Risposi. – Ma cosa stai…
- Dai che ce la faremo benissimo! – Aggiunse, parlando al plurale. Stava studiando.
Non risposi, acconsentendo in silenzio.
Andai a vedere nuovamente le regole del decalogo, anche se quella domanda mi aveva colpito. Adesso ero autorizzato ad accarezzarla sempre sotto le gonne. Le scrissi un messaggio un’ora più tardi.
- D’accordo per il diritto fisso. Però ogni volta che scrivo qualcosa per te, voglio il Numero 4 garantito.
- Dipende, – rispose. – Se si tratta di una semplice mail, ti basta il N. 2. Se è roba più complicata si può pensare al N. 4. Più il premio legato al buon fine.
- E come si fa a stabilire che il testo è andato a buon fine se non è una richiesta specifica?
- Dovrai fidarti. Ma sono stata io a dirti che la mia domanda era stata accettata, no?
- Vero...
- C’è da fare qualcosa di importante subito, – Scrisse.
- Di cosa si tratta?
- Il direttore mi ha detto di scrivergli che inquadramento voglio. E qui posso essere generosa con te... Riesci a farmi ottenere il Secondo livello?
- Ostia! – Esclamai felice. – Allora ti chiedo il 4 a priori e il 7 se va in porto.
Immaginai che abbia cercato sul decalogo l’impegno che le chiedevo. E lo rilessi anch’io richiamandolo sul desk-top.

1. Ti accarezzo sotto le gonne.
2. Ti sollevi le gonne fino a mostrarmi il culo e la figa.
3. Nuda, ti lasci palpare, masturbare e sculacciare.
4. Mi fai un pompino.
5. Mi lecchi il buco del culo, mi metti un dito nel culo e mi fai un pompino.
6. Ti metto una candela nel culo e ti masturbo.
7. Ti chiavo, in tutte le maniere che mi passano per la testa.
8. Ti inculo.
9. Ti sadomaso.
10. Faccio di te quello che voglio, tutto.

Poi arrivò la risposta.
- Ci può stare, – disse. – Mettiti l lavoro.
Forse potevo chiederle il N.8, vista la posta che c’era in ballo. Ma che senso aveva incularla senza prima averla chiavata?

Mi impegnai a fondo per stendere un testo importante, facendo raffronti tra altre soluzioni della Pubblica Amministrazione e i risultati prefissati. Se il direttore fosse stato preparato, il testo lo avrebbe quantomeno colpito. Fino a un certo livello ci sono gli straordinari, poi conviene lo scatto di carriera. Costa meno e gratifica di più.
Le inviai il testo, lo fece suo e lo inviò al direttore. Poi, nel tardo pomeriggio, mi mandò il messaggio, stringato ma più che eloquente.
- Ce l’abbiamo fatta!
Aveva parlato ancora al plurale.
Non risposi subito per non farmi vedere troppo felice, così mi scrisse nuovamente lei.
- Va bene stasera?
- Sì! – Risposi con calma… esclamativa.
Si presentò alle 21.

Entrò e andò direttamente il salotto. Poggiò la borsetta, si tolse i guani e si mise comoda.
- Ti devo sia il pompino che la scopata. – Disse con fare professionale. – Da dove vuoi cominciare?
- Mostrami il culo. – Le risposi. – Cominciamo sempre da lì.
Mi misi comodo in poltrona per guardarla in tutta serenità. Avevo anche acceso una musica intrigante di sottofondo, volevo proprio godermela.
Si mise a due metri da me, si girò di schiena e, quasi a tempo di musica lenta, piegò leggermente le ginocchia e le raddrizzò mentre, con i palmi aperti delle mani, sollevava la gonna fino a scoprire il culo. Ignudo.
La visione mi eccitò come la volta precedente e lasciai che si girasse di figa, che si avvicinasse e si rigirasse ancora di culo.
- Da dove vuoi cominciare? – Domandò di nuovo, ma con voce suadente.
Prima di rispondere le diedi un mordone al culo e infilai il naso all’inguine.
- A letto. – Dissi convinto. – Ti chiavo di brutto.
La portai velocemente in camera da letto e mi spogliai in un baleno. L’uccello svettava arrogante in attesa di mettersi al lavoro.
La sdraiai pancia in su per scoparla in maniera istituzionale, faccia a faccia. Avevo bisogno di sentirla intorno a me. Portai l’uccello alla ricerca della figa e lei mi guidò spostando il bacino con abilità. Imboccata la passera, lo spinsi dento con forza. Lei, pur volendo sembrare indifferente, gemette come una scolaretta. La sbattei a lungo godendomela da solo, senza preoccuparmi della partner, come era nei patti.
Lei però non restava indifferente e mi assecondava al più non posso. Dopo una ventina di sbattute, la misi di fianco, le sollevai una gamba tesa e la chiavai così. Poi la girai pancia sotto e la misi a quattro gambe, montandola alla pecorina. La sbattei per bene così, ma poi decisi di mettermi sotto. Lei si accomodò sopra, se lo infilò e io cominciai a sbatterla di pancia, spingendomi in alto con gambe. Stava come seduta mentre la chiavavo dal basso e si lasciò andare fino a venire.
A quel punto venni anch’io copiosamente rilassandomi sdraiato. Ne avevo proprio bisogno.
Lei, soddisfatta, si sdraiò al mio fianco.
- Dimmi quando vuoi il pompino, – Mi sussurrò provocatoria in un orecchio.
- Subito, – risposi provocatorio anch’io.
Rimase allibita dalla mia capacità di recupero, ma pian piano si portò con la bocca al cazzo e iniziò a leccarmi. E quando l’uccello si rimise in posizione di lavoro, iniziò il pompino. Visto che ero appena venuto, mi lasciai andare in modo che l’eiaculazione seguisse i suoi tempi. E fu favoloso. Un vero e proprio premio di riconoscenza.
Quando venni, «la bocca sollevò dal fiero pasto forbendola a capelli», e poi si alzò. Con calma si rivestì, lasciandomi guardarle il culo un’ultima volta.
Infine se ne andò.

Passò un certo lasso di tempo senza che lei si facesse viva. In qualche modo non le servivo più per le lettere semplici, che pian piano doveva aver imparato a stendere comunque meglio dei suoi colleghi.
Le avevo anche scritto due brevi relazioni di carattere storico, una sul centenario del Patto di St. Germain e una sul centenario dell’Avventura di D’Annunzio a Fiume. Gliele aveva chieste il direttore e non sapevo come fossero andate.
E non vedevo come poter esercitare il mio diritto consolidato di accarezzarla sotto le gonne, anche perché eravamo d’accordo che io in ufficio non sarei mai andato a trovarla. E allora dove?
Finché non la invitai a cena un sabato sera in un ristorante elegante e riservato. Accettò.
Ci trovammo da Massimo, una versione italiana di Maxime a Parigi.
Mi aveva raggiunto al ristorante poco dopo di me e la feci accomodare al mio fianco.
- Come va? – Le chiesi dopo averle baciato la guancia.
- Bene, – disse sorridendo. – Grazie.
- Non ci vediamo spesso... – Dissi in premessa.
- Non preoccuparti. – Rispose serena. – So di essere in debito con te. Direi che un «Numero sette» te lo sei guadagnato, più un paio di extra per le due relazioni che il Direttore ha letto in pubblico senza portarvi correzioni.
Ostia, allora forse potevo scoparla... Pensai. Bene!
- Per gli «extra» possiamo accordarci stasera, – Aggiunse. – Ma prima voglio aggiornarti su una novità. Una grossa novità.
- Sentiamo.
- I presidente mi vuole nella sua segreteria...!
- Wow! Stai facendo carriera a vista d’occhio!
- Non è così semplice. – Aggiunse. – Mi vuole con lui perché le scriva tutti gli interventi pubblici...
- È fuori di testa, – protestai. – È un carico troppo oneroso. Non possiamo starci dietro!
- Possiamo eccome! – Precisò guardandomi in faccia sicura di sé.
- E come? – Risposi incerto e preoccupato.
- Semplice. – Rispose. – Stasera ti offro il N. 5 e il N. 8.
Presi lo smartphone e aprii la pagina del decalogo.
Il N. 5 recitava così: «Mi lecchi il buco del culo, mi metti un dito nel culo e mi fai un pompino.»
La N. 8 era lapidaria: «Ti inculo.»
La guardai in faccia attonito.
- E con questo saldiamo il pregresso. – Precisò sorniona. – Per le relazioni al presidente, sono disposta a lasciarti sempre i numeri 9 e 10, ogni volta che mi scrivi una relazione che va bene.
Diedi un’occhiata al decalogo, poi le risposi duramente.
- Per i punti 9 e 10 voglio far giocare con noi anche un amico. E un’amica.
- Voglio riservatezza.
- L’avrai.
Per la prima volta arrossì.
- Non mi stai chiedendo toppo...? – Disse dopo un po’.
- Neanche tu mi chiedi poco.
- Mi vuoi trattare come una schiava... – Osservò.
- No, – precisai. – Come una donna oggetto.

Finimmo di mangiare in fretta e corremmo a casa mia a... saldare il conto. Entrammo e lei mi precedette mentre chiudevo la porta. Depose la borsetta e si sfilò i guanti.
- Da dove cominciamo? – Mi domandò quando la raggiunsi.
- Prima ti inculo. – Risposi e mi avviai alla camera da letto.
- Raffinato... – Commentò asciutta. E mi seguì.
Mi spogliai velocemente e mi infilai a letto per guardarla spogliare.
E lei non perse la sua carica di femminilità. Si mise di schiena e sollevò la gonna a mostrarmi il culo. L’uccello si mise subito in posizione di lavoro. Lei lasciò cadere la gonna e si girò verso di me. Si avvicinò e sollevò nuovamente la gonna fino a scoprire la figa. Io raccolsi le gambe tutto eccitato e attesi la mossa successiva. Lasciò abbassare la gonna, si girò, mise mano alla zip del vestito e la abbassò fino in fondo. Sfilò le maniche e lo lasciò cadere per terra con un fruscio adorabile.
Poi, quasi come un meccanismo contrapposto, io scesi dal letto e lei vi salì sopra, mostrandomi per il pelo della figa. Si mise con calma e determinazione a quattro zampe con le gambe allargate e la testa sul letto. Era pronta per prenderlo in culo.
Io andai in bagno e presi il mio liquido lubrificante. Tornai e mi portai al suo culo, che era bellissimo, ovale e ben tornito. Il suo buco del culo stava in mezzo a un solco perfetto e sembrava intonso, come se nessuno l’avesse mai sodomizzata prima. Misi una mano alla figa e risalii al buco del culo, fino a toccarglielo con il medio. Feci scorrere l’olio lubrificante tra le natiche e, quando arrivò al mio dito, cominciai a ditalizzarla per lubrificare l’orifizio anale. Lei non approvava né impediva il mio lavoro. E la lubrificai bene. Non volevo correre rischi. Né l’ano né il pene devono subire abrasioni, pena l’astensione per un po’ di tempo di queste piacevoli pratiche.
Quando mi parve tutto a posto, salii sul letto in ginocchio e avvicinai il cazzo al culo. Lo piegai in avanti, scoprii il glande, lo spinsi dentro la figa e lo sfilai. Un modo per lubrificare anche il pene. Lo portai all’ano con calma e lo spinsi i primi due centimetri. Quando l’ano si aprì e si richiuse dietro la cappella, attesi un po’. Infine iniziai a spingerlo dentro. Non mi sembrava vero.
Dapprincipio fu difficoltoso, ma presto l’ano si abituò alla presenza del cazzo, così lo spinsi dentro fino in fondo. La presa a anulare era perfetta, come le fasce elastiche in un cilindro di motore a scoppio. Lo mossi e sentii che scivolava bene. Quindi cominciai a incularla come se la stessi chiavando.
Aumentai il ritmo sempre di più, assecondando la voglia che avevo di venire. Sentire il suo culo che appoggiava all’inguine e il retto che accarezzava il cazzo, la stantuffai per almeno un minuto.
Poi sentii che l’orgasmo stava iniziando e lo lasciai venire in tutta libertà. Le riempii il retto di sperma e, una volta sgonfio, il cazzo se ne uscì da solo, soddisfatto.
Lei si sdraiò ansimante. Aveva goduto, anche se aveva provato a nascondermelo.
Riposammo un po’. Poi mi alzai e andai in bagno a rinfrescarmi, quindi tornai a letto.
- Sei pronto per il «pompino articolato»? – Mi chiese, con calma.
- Con calma sì, – confermai. – Quando vuoi.
- Prescrizioni particolari?
- Sì.
C’era una cosa che desideravo da tempo, ma che non avevo mai avuto il pudore di chiedere a una donna. Stavolta però, il fatto di poter trattare la mia amica come una donna oggetto - cioè senza doverle dare spiegazioni - mi diede la forza di chiederlo.
- Prima mi lecchi il solco del culo, i coglioni e il buco del culo. – Dissi senza pudori. – Poi prendi il cero che ho messo sul comodino già lubrificato e, con attenzione, me lo infili nel culo.
Non fece commenti.
- Una volta infilato – proseguii, – mi fai girare pancia in su e, tenendoti per il cero, mi fai il pompino.
Continuò a stare zitta.
- È un massaggio alla prostata che si dovrebbe fare almeno una volta all’anno. – Aggiunsi per dare una spiegazione tecnica.
In realtà, avevo solo voglia che una donna mi mettesse nel culo qualcosa di più grosso e più piacevole di un dito.
Mi misi in ginocchio sul letto con le gambe allargate al massimo, mi piegai in avanti fino ad appoggiare la testa sul materasso e rimasi in attesa delle sue iniziative. Porgerle il buco del culo era di per sé un preliminare fantastico. L’uccello sembrava voler dare nuovamente segni di vita.
Si avvicinò con calma, mi accarezzò prima l’esterno delle natiche e, pian piano, portò le sue attenzioni al solco del culo e iniziò a leccare. Il caldo umido della sua saliva iniziava ad alimentare la seconda erezione della serata. Se ne accorse e si impegnò di più. Mi lasciai andare tra le sue mani e la sua lingua.
Quando mi accorsi che aveva preso in mano il cero, provai un senso di piacere malvagio nei miei stessi confronti. Lei agì con sapiente calma, per farmi assaporare per gradi il piacere che sapeva di darmi.
Mi appoggiò la punta del cero al buco del culo e mi lasciò un po’ lì a desiderare che andasse avanti. Poi spinse leggermente. Sentii il buco del culo che si allargava, provocandomi un inaspettato volgare piacere intimo incontrollabile. Spinse ancora e desiderai che me lo infilasse del tutto di forza più che poteva.
E lei, tenendosi dolcemente per i coglioni, me lo fece scivolare dentro con un’abilità che non scorderò mai.
Sentii le pareti lisce e fresche del cero farsi strada nel mio corpo, come una dolce carezza interna, un morbido massaggio erotico. Il mio buco del culo stava godendosi l’intruso, il retto stava sbocchinandosi il cero, la prostata stimolata dalla pressione rettale dava forza all’erezione. Poi me lo sistemò bene aiutandosi con le dita sull’ano.
Lo spinse un po’ verso il basso per comprimere ulteriormente la prostata e le fui grato.
Mi accarezzò ancora i coglioni, il solco e le natiche e si avvicinò fino a farmi sentire il suo alito sul culo. Quella sua vicinanza col viso mi faceva impazzire, ma poi superò tutte le aspettative. Si infilò in bocca la parte del cero rimasta fuori e iniziò a sbocchinarla, come se fosse un cazzo. Aveva appoggiato una mano sulla natica e l’altra all’uccello. La sensazione era fantastica. Sembrava che stesse leccandomi le pareti interne del retto. Cominciai a fremere e allora continuò a lungo così. Finché non rallentò e mi fece cenno di girarmi a pancia in su.
Mi girai, impalato a gambe larghe, e lasciai che lei continuasse il suo lavoro. Non aveva bisogno di una guida.
Si piegò in avanti, mi baciò il cazzo e mi leccò gli inguini. Solo alla fine decise di dedicarsi al cazzo. Con la maestria che ormai conoscevo, mi abbassò il prepuzio, mi baciò il glande e se lo infilò piano tra palato e lingua. Proseguì con un crescendo maestoso, facendo giungere il cazzo a fine corsa nella sua gola. Quando sentì che era giunto il momento, spostò le mani dall’interno delle cosce al cero, che afferrò per tenermi fermo. Quindi mi fece venire tenendosi così.
Iniziarono le contrazioni spasmodiche che si susseguirono riversando getti di sperma a ripetizione nelle sue fauci. Il cero che albergava nel mio retto, trattenuto da lei, mi costringeva a godere impalato scaricando i miei sussulti all’ano, al retto e alla prostata.
Tenuto fermo per il culo, fremevo sobbalzando col petto verso l’alto come se volessi resuscitare e urlavo di piacere.
Continuò a tenermi fermo così finché il cazzo non gettò la spugna e si sgonfiò. E io mi placai. Del tutto.
Andò avanti ancora un po’ e alla fine si alzò. Si vestì lasciandosi guardare il culo e poi se ne andò. Mi addormentai tra le braccia di Morfeo.

(Continua e termina la prossima settimana)
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