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Lui & Lei

Una frusta per Giò


di Honeymark
09.06.2015    |    15.436    |    3 9.8
"Reagiva come se continuassi a frustarla, perché per lei la dimensione del mio cazzo era come se la stessi impalando..."


Le avevo fatto leggere un mio racconto sadomaso, relativo a un mio viaggio a Singapore, dove è ancora applicata la pena della frusta per reati piccoli ma odiosi, dove una breve detenzione o un grossa multa non otterrebbero gli stessi risultati.
A un ragazzino che graffia delle auto in strada con un chiodo, cosa vuoi fargli? Qualche frustata in sulle natiche e, credetemi, non lo farà più.
A una ragazzina (magari benestante e non cleptomane) che viene beccata per l’ennesima volta a taccheggiare ai grandi magazzini, cosa gli fareste?
Parlo di maggiorenni, sia ben chiaro, ma di età che non vada oltre i 26 anni.
E parlo di qualcosa di cui sono molto contrario, ma che accadono con il plauso democratico della gente.
Insomma, la mia amica Giò l’aveva voluto leggere e glielo avevo dato. Alla peggio non mi avrebbe salutato più, alla meglio mi avrebbe chiesto di essere frustata anche lei. Nel mezzo, tutte le sfumature possibili.

- Ti aspettavo, - le dissi facendola entrare.
Mi aveva mandato un sms: Sculacciami, frustami… Meno male.
Entrando non disse nulla, ma quando richiusi la porta si mise in modo che potessi inginocchiarmi e infilarle le mani sotto la gonna. Anche questo era uno dei nostri accordi. Se non indossava le mutandine potevo liberare le mie piccole perversioni naturali.
Non le portava e provai una sensazione bellissima. Sentire le natiche prive di mutandine, fresche, sode e disposte a lasciarsi accarezzare e chissà cos’altro ancora, mi dava la sensazione dell’amore, di quello vero, autentico. Che puoi toccare con mano. Questi preliminari mi sono sempre piaciuti, anche quando ero molto più giovane. Il costruire per gradi la via del desiderio era un piacere sopraffino.
Passai la mano anche davanti, gustandomi non solo il filo verticale di pelo che lei curava particolarmente, ma anche la sua soddisfazione a sentire la mia carezza.
Mi accarezzò il viso stringendomelo al sesso, mentre la tiravo a me con la mano sui glutei. Sapevo che adesso avrei dovuto sculacciarla e frustarla.
- Vieni, - dissi alzandomi. - Sdraiati sulle mie ginocchia.
Lo fece con eleganza e si lasciò subito frugare con le mani sotto le gonne. Provai nuovamente quel senso di piacere che le mani trasmettevano al cervello e che il cervello a sua volta restituivano al pene ordinandogli di gonfiarsi di superbia come un piccione, di vanità come un pavone e di potenza come un falco.
Sarei rimasto ore ad accarezzarla così, ma sentivo che il suo crescente desiderio pretendeva di più. Insinuai le dita tra le natiche e scesi giù fino al sesso. Seguii le pulsazioni come un’astronave attirata da una supernova e in breve avvolsi la vulva con la mano destra. Frenò un sobbalzo, allargò le gambe di più e si abbandonò alla mia perquisizione.
Quello di togliere le gonne a una donna sdraiata sulle ginocchia è un’arte, un lavoro di cesello. Io gliela sfilai in maniera importante, come per farle capire che era giunto il momento del sacrificio. Lei lo capì e si predispose.
Le diedi una prima raffica di sculacciate a due mani, sonore, studiate e ben distribuite. Lei non sentì male, ma credette di essere brutalizzata. E’ così che funziona. La accarezzai subito dopo per placare la sua ansia e quando tornò a lasciarsi andare nella mia mani, improvvisamente la colpii con una nuova serie di sculacciate. Sonore, calde e a piene mani, come se battessi i tamburi in un tamurè. Stavolta si godette le manate nella giusta maniera e si sentì a due passi dall’orgasmo, lo avvertivo da come la passera si lasciava andare alla mia mano destra nelle pause.
Non la lasciai venire e le diedi invece una nuova gragnola di fendenti. Improvvisi, violenti ma bene assestati, sobbalzò di piacere sulle mie ginocchia. Sognò di essere impalata.
Ero arrivato a dieci, forse, quindi mi fermai dopo un ultimo stupendo sculaccione con la mano destra a natica piena. Sobbalzò e si lasciò andare con le gambe più allargate.
- Ora voglio darti le cinque frustate, - le dissi. – Spogliati.
Si tirò su, venne ad abbracciarmi, mi infilò la lingua in un’orecchia facendomi venire i brividi.
- Spogliati anche tu, - sussurrò. – Frustami stando nudo. Poi, quando hai finito, impalami.
Si alzò, si tolse tutto e restò in piedi davanti a me, girata di schiena in attesa di disposizioni. Le guardai il culo, che era leggermente arrossato. Bello, ovale come piace a me, a mia totale disposizione. Sapeva di eccitarmi almeno quanto si era eccitata lei. Le diedi altre due sculacciate. Era fantastico.
Mi spogliai e andai a prendere il gatto a nove code.

Il gatto a nove code che ho comperato io in un sex shop per sadomaso, non era molto diverso da un mocio vileda. Fa una gran scena. soprattutto se dato con estrema forza, ma in realtà non fa niente più di una sculacciata.
Preso il gatto, ordinai a Giò di mettersi alla parete, appoggiando le mani in alto. La sistemai in modo che avesse le gambe leggermente divaricate, con il piede destro un po’ più avanzato di quello sinistro. E in quella posizione che frustano le giovani ragazze a Singapore, legate ovviamente. I ragazzi invece tengono le gambe unite, per via dei testicoli.
Una volta messa in posizione, avvicinai il gatto alle natiche di Giò, in modo che sentisse strofinare le fettuccine di cuoio. Era un approccio doveroso per farla socializzare con la sferza. Non è una cosa da niente: è necessario sia se lo fai per punire che se lo fai per generare piacere. La frusta è il contatto tra il carnefice e la condannata, tra il sado e il maso, tra la passione e l’estasi.
- Ti darò cinque frustate, - le dissi - Se vuoi smettere basta che ti stacchi dal muro e io sospendo l’applicazione. Se invece ti va di prenderle tutte cinque, alla fine ti metti lì sul tappeto a quattro zampe e mi aspetti. Gambe ben allargate. Ti impalo.
Non fece domande e andò ad appoggiarsi al muro con le mani, leggermente piegata in avanti. Nuda mi faceva impazzire e mi sarebbe bastato toccarla per aiutarla a mettersi in posizione per appagare il desiderio che provo per lei. Ma volevo stare al gioco fino in fondo.
Come sempre avevo messo un po’ di musica, stavolta dei Pink Floyd, “one of the next days”. L’atmosfera ora era giusta.
Passai nuovamente il gatto tra le natiche e lei ebbe un brivido. Allontanai la mano, caricai il braccio e con tutta la forza la colpii dal basso all’alto, leggermente di traverso. Non si sentì il rumore, ma avevo atteso il momento giusto dei Pink Floyd.
Ebbe un sobbalzo fantastico, come se la avessi colpita con la frusta da bue. Le natiche avevano ballato sconciamente al passaggio delle code ed entrambi provammo un vergognoso senso di piacere malvagio.
Aveva tirato di scatto la testa in dietro, ma non si era lamentata.
Le diedi subito il secondo colpo e lei sobbalzò spalancando la bocca senza emettere urla. Le natiche, tremanti, parlavano per lei.
Il terzo colpo lo diedi con precisione professionale. Volevo che sentisse male e che per questo mi fosse grata. Non urlò. Sbatté la testa a destra e a sinistra, come per dire no, sbavando e lacrimando.
Al quarto colpo lei allargò le braccia e guardò in su, come per invocare l’Onnipotente, ma non si scostò. Le natiche sbattevano come se applaudissero i colpi ricevuti.
Il quinto colpo glielo diedi a due mani, in modo da allargarle le natiche e vederle il buco del culo per una frazione di secondo.
Lei, per tutta reazione, si girò verso di me, braccia sopra la testa, gambe divaricate. Lo presi come un invito e le diedi un colpaccio di gatto agli inguini in modo che la figa si sentisse brutalizzata. Gridò di piacere e poi corse a mettersi in mezzo alla stanza e a quattro zampe sul tappeto. Poi allargo il più possibile le gambe.
Le diedi uno stupefacente colpo di gatto impattando figa e culo, che fece impazzire entrambi. Poi buttai la frusta e mi gettai a lei. Mi aiutai con la mano e glielo infilai di brutto, come entrambi volevamo. Poi proseguii con più calma per trarre il massimo piacere. Ci godevamo il pene che scivolava dentro e il contatto del mio basso ventre al suo culo bollente. Spingevo sempre più a fondo, finché lei non cominciò a dare colpi di bacino, come una cagna in calore. Il mio movimento la fece venire come uno stantuffo.
Una volta sopiti i suoi colpi di bacino, sfilai l’uccello e glielo portai al buco del culo. Ebbe subito una reazione d’istinto, come se volesse venire di nuovo, ma si placò e potei sodomizzarla piano ma con ineluttabile veemenza.
Reagiva come se continuassi a frustarla, perché per lei la dimensione del mio cazzo era come se la stessi impalando. Il suo buco del culo era stretto. La cosa la faceva impazzire, ma le pareva di essere sfondata. Sapevo di dover agire con delicatezza, anche se sodomizzare non conosce questa parola.
Giunto in fondo, aspettai che fosse lei a reagire.
E difatti, dopo un po’ cominciò a sbattere il bacino come un mantice.
A qual punto venni anch’io, riempiendole il retto di sperma.
Un volta sopiti ci siamo buttai a terra di schianto, tenendoci abbracciati.
- Ti amo, - dissi.
- Ti amo, - rispose.
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