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Eravamo 4 amici al bar/ 2 - Laura


di Honeymark
15.02.2021    |    7.593    |    5 10.0
"Mi alzai, andai a prendere un collare al quale avevo fissato delle mollette metalliche..."
Controllai nell’agenda e in effetti quella sera toccava proprio a me portare Laura alla cena di beneficienza. Era una tradizione. Lei era sponsor della manifestazione, mentre ad accompagnarla era, a turno, uno di noi. Un debito morale.
Lucia pensava che io avrei potuto capire qualcosa di più su di lei, solo perché potevamo chiacchierare un po’ da soli in auto. Però l’avevo accompagnata altre volte e avevamo scambiato solo due parole.
All’andata poi era un po’ più guardinga del solito, nervosa, impaziente.
- Tutto bene Laura? – Le avevo chiesto dopo i primi dieci minuti di automobile.
Non rispose e non insistei.
- Volevo chiederti una cosa... – Disse più tardi.
La guardai. Era come sempre ben truccata, ben vestita, elegantissima. Perfetta. E fredda da morire.
- Dimmi tutto, – le risposi amichevolmente.
Attese ancora un po’. Poi iniziò.
- Volevo chiederti qualcosa in merito ai tuoi racconti. I tuoi sudici racconti erotici.
- Ah... Cominciamo bene.
Adesso mi feci guardingo io.
- Sono storie vere o le hai inventate?
- Beh, non basta la fantasia per scrivere quei racconti erotici, – risposi, senza capire dove voleva arrivare. – Le cose non te le puoi inventare se non le hai fatte. Sono storie veramente accadute, solo che le ho romanzate per renderle scorrevoli e soprattutto credibili. Con capo e coda.
- Credibili? – Ripeté. – Se sono storie vere c’è poco da romanzare. No?
- No, la realtà è molto meno credibile della fantasia. – Le spiegai. – Ti riferisci a qualche racconto in particolare?
Chi legge i miei romanzi può trovarli ripugnanti, indifferenti, intriganti, eccitanti. Può masturbarsi o può sperimentare... Ma l’importante è che riconoscano le proprie sensazioni mentre li leggono, così possono capire meglio quali siano le proprie tendenze. Molti lettori e molte lettrici hanno riconosciuto grazie a me la piccola perversione naturale che albergava nel loro subconscio. Funziona meglio di una seduta dallo psicoanalista. Però c’era un fattore fondamentale che aiutava i miei lettori a essere sinceri: io non c’ero; non mi vedevano, non sapevano chi fossi. Quello era anonimato vero. I miei amici invece sapevano che l’autore ero io.
Mi domandai se avevo fatto una piccola breccia. Forse mi catalogava come pervertito e basta. Sempre che avesse avuto voglia di parlarmene, ovviamente, cosa che ritenevo difficile. Dipendeva da lei.
- Accadevano davvero le cose che hai descritto nel racconto «Matricole»? Davvero sottoponevate le matricole a quelle vergognose vessazioni sessuali?
Forse facevo bene a dirle di no, ma non stava nella mia natura.
- Sì, – risposi. – Ma oggi non si fanno più. Oggi è il laureato o la laureata che viene sottoposto a pratiche del genere alla festa di laurea con gli amici. E solo da parte dei colleghi e delle colleghe invitate alla festa.
- Eravate dei bastardi!
- Ma no, dai! – Mi difesi. – Erano sostanzialmente tutti consenzienti...
Non parlammo più fino a cerimonia e cena terminate, poi risalimmo in auto. Io ero profondamente imbarazzato. La sensazione che avevo generato in lei era il ribrezzo... Sì, doveva proprio essere tecnicamente frigida.
Non aprii parola per 10 minuti.
- Bella serata. – Commentai a un certo punto. – Vero?
- Non dire stronzate, – rispose. – Sappiamo tutti che a voi non piace partecipare a queste serate.
Aveva usato il termine «stronzate», il che mi fece pensare che stava per affrontare altre tematiche. Mi irrigidii.
- Alcune di quelle pratiche cui sottoponevate quelle povere ragazze...
- Anche ai ragazzi, – precisai.
- Parlo solo delle ragazze. – Insisté. – C’era solo un maschio su dieci. Erano pratiche sadomasochiste, vero?
- Sì, certo – risposi, – anche se piuttosto soft.
- Erano umilianti per le matricole! – Protestò. – Erano eccitanti per gli aguzzini! Questa è la realtà.
- Dentro di noi alberga sia il sadismo che il masochismo.
- Sì, ma in quei momenti si divertivano solo i dominanti.
Non commentai. Dove voleva arrivare?
- Tu ti eccitavi da morire. – Disse. E si girò a guardarmi.
- Me ne fai una colpa? Vuoi sgridarmi? Darmi del maiale? Del bastardo?
- Del bastardo, sì. – Disse dopo aver pensato a lungo prima di parlare.
- E perché?
- Perché a leggere quelle storie, mi hai... fatto eccitare.
Tornò a guardare la strada.
- Parbleu! – Esclamai in francese. – E cosa ti ha eccitata in particolare, l’essere dominante o essere la dominata.
Stavolta attese di più prima di rispondere.
- Dai, fatti coraggio, rispondimi. Sono riservato più di uno psicologo.
- Mi ha eccitato l’idea di essere una... matricola...!
- Oh, meno male!
- Prima di leggere quel racconto credevo di non avere certi interessi sessuali... – Continuò. – Adesso mi vergogno di quello che mi hai fatto provare! Sei un bastardo.
- Ognuno ha diritto di essere quello che è. – Osservai.
La battuta le piacque.
- Beh, guai a te se ne parli con qualcuno.
- Non parlo mai, – la rassicurai.
- Tu sei sadomaso?
- Sono anche quello. – Risposi.
- Ma di preferenza?
- Sarei dominante, – confessai. – Ma lo faccio solo quando trovo una donna che ama essere sottomessa.
- Tua moglie?
- Anche a lei piace un po’ di tutto. – Risposi. – E a tuo marito?
- Evitiamo il discorso...
Giunti a casa sua, scesi dalla macchina e la accompagnai alla porta. Guardandola da dietro con quel vestito di seta, mi resi conto che aveva delle forme leggiadre che prima di parlare con lei non avevo notato.
All’uscio mi salutò. Le baciai la mano ed entrò in casa.
Poco prima di chiudere, si girò e mi rivolse la parola.
- Sei in bastardo.

L’aver sentito che una donna composta, fisicamente dotata e moralmente attrezzata, fosse di natura sadomaso, mi provocò un’erezione che durò fino a casa. Non riuscivo a togliermela dalla testa, ma non avevo idea da che parte cominciare per conquistarla. Il sadomaso segue percorsi molto particolari. E sempre diversi.
Una settimana dopo le due ragazze, Caterina e Lucia, si prenotarono una serata con me nel mio «scannatoio». Come sempre il mercoledì sera, giorno in cui io esco da solo. O lo sapevano, o era una giornata libera anche per loro.
Suonarono alla porta del mio appartamento regolarmente alle 21. Una aveva portato una bottiglia, l’altra una torta.
- Amiche, è un piacere vedervi.
- Lo credo bene! – Disse Caterina, che era la più attiva delle due.
- Grazie, – disse invece Lucia. – Si era prenotata una piacevole inculatura.
Una volta entrate mi inginocchiai ai loro piedi e risalii con le mani sotto le gonne.
- Ehi! – Esclamai. – Ma non portate le mutandine!
- Ogni tuo desiderio è un ordine, – precisò Caterina.
- Per questo siamo venute con la gonna, – aggiunse Lucia soddisfatta.
Pensai per un attimo alla silhouette di Laura e al suo vestito da sera che metteva in risalto il culo virginale. Scacciai il pensiero. Me lo fece ritornare su la moglie di Ugo.
- Allora come è andata con Laura? – Domandò impertinente Lucia, spogliandosi.
- Un pezzo di ghiaccio. – Risposi desolato.
- Sì, lo immaginavo. – Concluse Caterina. – È tecnicamente frigida.
Per loro era una soddisfazione che Laura non avesse desideri sessuali. E si spogliarono del tutto. Seguii il loro esempio. Ma Laura era tutt’altro che frigida.
Vennero ad abbracciarmi. Si sentivano autorizzate a fare di tutto perché per loro era come scopare in casa. Caterina cercò l’uccello col gomito, mentre Lucia mi metteva le mani dappertutto. Saltai sul letto e le invitai a salire. Caterina corse a prendere in bocca il cazzo, mentre Lucia venne a sedersi sul mio viso.
Mi sarebbe piaciuto che facessero tutto loro e stare in relax, ma Lucia pretendeva che la inculassi.
Allora la girai pancia sotto, presi un cuscino e la misi in posa. Caterina lasciava fare, in attesa che mi sistemassi nel culo dell’amica.
Non ci volle molto. Quando ci sono volontà, desiderio, passione e disponibilità, riesce sempre tutto. Il cazzo scivolò nel culo di Lucia con facilità e a quel punto Caterina venne a leccarmi il buco del culo. Evidentemente lo sapeva anche Lucia, dovevano averne parlato. La loro complicità era encomiabile, ma era anche evidente che in due avrebbero guidato loro il gioco.
Un gioco che sapevano gestire bene, tanto vero che venni presto. E non si lamentarono.
Mi sdraiai pancia in su, mentre loro due si appollaiarono ai due fianchi. Erano in attesa come due condor che il sottoscritto si risvegliasse.
In effetti l’uccello si risvegliò presto, anche perché stavo pensando a Laura. Chissà se mi avrebbe chiamato. Comunque sia, era lei che doveva riprendere il contatto con me.
Quando l’uccello tornò in resta, montai Lucia faccia a faccia mentre Caterina mi era montata sul groppone per poi farmi girare. Si sedette e se lo infilò. Lucia, non appagata abbastanza, si sedette sulla mia faccia per farsela leccare e per palpare anche le tettone di Caterina.

Quando tornai a casa e aprii la posta al PC, trovai una mail di Laura. Conteneva una sola parola.
- Bastardo!
Era la risposta che speravo di ricevere. Il tarlo stava lavorando dentro di lei. Io dovevo solo attendere.
Attese una settimana prima di scrivere di nuovo. La stessa parola.
- Bastardo!
Era un invito a fare un passo avanti e pensai attentamente a cosa scrivere. Poi inviai il seguente messaggio.
- Nel bondage sadomaso – commentai, – è la vittima che conduce il gioco. Il dominante sevizia il sottoposto solo perché questo glielo concede.
Mi rispose l’indomani.
- Cos’è il bondage?
- Significa legare la vittima in posizioni sconce prima di passare alla pratica.
Stavolta passarono tre giorni prima di ricevere risposta. Dovevo avere pazienza.
- Bastardo!
Adesso era mia, dovevo solo trovare la combinazione giusta per portarla da me. Al solo pensarci mi veniva un inizio di erezione.

La settimana dopo ci trovammo tutti otto in una specie di raduno per golfisti barcaroli. Golf e vela sono due sport incompatibili: o fai l’uno o fai l’altro. Avevo avuto anch’io la barca, ma la vendetti quando iniziai a giocare a golf. Per quello era stata fondata l’associazione «Velagolf», formata da quelli che avevano praticato le due attività sportive. E noi ci trovammo come quattro amici al club, invece che al bar. Ovviamente portammo le nostre mogli. Io attendevo Laura al varco.
Non fu facile, perché non riuscivo a staccarmi di dosso Caterina e Lucia.
- Ragazze, – dovetti ammonirle. – Se mi state troppo vicino, i vostri mariti, e magari anche mia moglie, iniziano a sospettare qualcosa.
- I nostri sono sonnacchiosi. – Disse Caterina. – Non si accorgeranno di niente.
- Però ha ragione, – intervenne lucia. – Faccio una proposta. Troviamoci mercoledì sera come sempre, ma con una novità.
- E quale? – Domandai.
Anche Caterina rimase ad ascoltarla.
- Giochiamo io e Caterina, – disse senza mezzi termini. – E tu ce lo metti dove riesci a metterlo...
- Ottima idea! – Esclamò Caterina. – Io ci sto!
Era da tempo che avevano voglia di fare sesso tra loro. Anzi, mi avevano confessato separatamente che quando sono a letto con me avevano voglia di trastullarsi safficamente. Da sole no.
- Non sarà facile... – Dissi.
- Tu provaci.
E mi lasciarono in pace. Cercai Laura, la trovai, la invitai a bere un daiquiri e lei accettò.
- Tutto bene? – Le domandai porgendole il bicchiere.
- Se ti azzardi a parlarne con quelle due troiette – mi avvisò in premessa, – ti uccido!
- Non preoccuparti. – Provai a rassicurarla. – Vorrei incontrarti da sola.
- Per fare cosa?
- Parlare.
- No, – rispose. – Prepara una seduta ispirata al racconto sulle matricole e somministramela.
Il termine «somministrare» apparteneva al linguaggio carcerario dei paesi che applicano le pene corporali. Doveva aver letto un sacco di miei racconti dedicati al sadomaso.
- A una condizione, – dissi.
- Sentiamo, – disse seccata.
- Ti mando una scaletta su quello che propongo di fare e tu la bocci, la modifichi o l’approvi. Poi però mi lasci andare fino in fondo senza interrompermi.
- No! – Rispose sicura di sé. – Non voglio sapere nulla. Ispirati al racconto e fai quello che vuoi. Però io sì ho una condizione sine qua non.
- Sentiamo.
- Niente segni permanenti. Al massimo devono andarsene via in pochi giorni.
- Io non lascio mai segni a una signora. – Obiettai.
- Non ci scommetterei.
Posò il bicchiere e se ne andò. La seguii.
- C’è qualcosa che non ti piace? – Le chiesi dopo averla fermata per un attimo.
Lei si guardò intorno e mi rispose con severità.
- Non mi piacciono i pompini, la sodomia, la penetrazione.
- Ostia, ma allora cosa cazzo posso fare?
- Tutto quello che non mi piace, – rispose perentoria. – In una seduta sadomaso funziona così.
La logica era ineccepibile. Un giorno le avevo raccontato la battuta di una masochista che implorava il proprio sadico: «Fammi male!». E il sadico rispose: «Scordatelo!»
Non ci eravamo messi d’accordo sul quando, ma sapevo che me lo avrebbe scritto lei. Così avrebbe avuto tutto il tempo di ripensarci.

Prima di ricevere suoi messaggi, riuscii ad andare a letto con Caterina e Lucia. Di mercoledì, come sempre.
Le accolsi con piacere e controllai se portavano le mutande. Poi si spogliarono tra di loro e si tuffarono sul letto. Con la calma che caratterizza le donne a letto, si avvicinarono e si accarezzarono prima amorevolmente e poi appassionatamente. Quando si posero in posizione 69, decisi di entrare in azione. Mi spogliai e, come avevano suggerito loro, cercai dove infilarlo. In quel momento Caterina aveva il culo in aria perché poggiava la figa sulla faccia di Lucia e ne approfittai per montarla così. Non le fu facile eseguire i due servizi, a me e all’amica, ma trovammo comunque il ritmo.
Io venni dopo averle penetrare entrambe più volte dove mi riusciva di farlo; poi mi alzai, lasciando alle due di continuare da sole.
Andai a sedermi e guardai il cellulare, gettando ogni tanto gli occhi sulle due donne che si stavano divertendo.
Quindi venni attirato da un improvviso messaggio di Laura. Lo aprii con il cuore che batteva forte.
- Mercoledì prossimo. – Aveva scritto. – A che ora?
Anche lei aveva scelto il mercoledì. Risposi subito.
- Alle 21 va bene?
- Perfetto. Dove?
Le diedi l’indirizzo. Fine della comunicazione.
Avevo bisogno di pensare da solo. Guardai le due ragazze e decisi di sbatterle ancora perché l’uccello si era messo nuovamente in agguato dopo aver letto il messaggio di Laura. E appena mi capitò a tiro era Caterina, la penetrai. Col pene mio in corpo si era messa a lavorare con maggiore impegno la figa di Lucia. La quale gradiva avere gli occhi a due dita dal mio cazzo.

Passai la settimana progettando e riprogettando giochi cui sottoporre l’intoccabile Laura. Andai anche al pied-à-terre a sistemare le cose che mi servivano. E confesso che il solo pensarci me lo faceva rizzare. Mi augurai che si presentasse davvero.
Quel mercoledì ero arrivato al mio appartamento da un’ora prima per accertarmi che fosse tutto a posto. Mia moglie sapeva che il mercoledì è la mia serata libera e non mi disse nulla. Mi domandai che scusa avrebbe tirato fuori Laura al marito.
Alle 21.15 non si era ancora fatta viva e non avevo ricevuto alcun messaggio. Cominciai ad agitarmi, ma mi ripromisi di non scriverle nulla. Però tenevo il cellulare in mano in attesa di sue (magari sgradite) novità.
Ma ecco che suonò il cicalino alla porta. Poggiai il cellulare e corsi ad aprire. Era lei. Mi sentii nuovamente padrone della situazione.
- Non cantare vittoria. – Mi disse severa, dopo aver dato un’occhiata all’appartamento. – Solo qui tu potrai disporre di me come vorrai, secondo le regole stabilite.
- Naturalmente. – Risposi.
- Fuori sarò io la dominante. E tu sarai il cavalier servente.
- Lo siamo sempre e tutti con te.
- E adesso tocca a te. – Concluse poggiando la borsetta sul tavolo. – Io non parlo più. Hai tempo fino a mezzanotte.
La guardai in tutta libertà, cercando di metterla in imbarazzo. Lei rimase impassibile e sopportò la mia vista indiscreta. Portava un vestito di seta lungo, diverso dall’altra volta, ma elegantissimo lo stesso. Forse, ufficialmente stava andando a un galà di beneficienza. Ma io volevo appunto che indossasse un vestito così. Era strano come prima di quella sera non avessi mai voluto studiarla con attenzione. Era alta, elegante, fiera di sé. Provai un certo senso di gioia malvagia al pensiero di poter fare di lei quello che volevo.
- Ora ti imbavaglio, – le dissi. – A me piace così.
Si lasciò imbavagliare con il foulard di seta che mi ero preparato.
- Voi donne parlate troppo, – spiegai. – E urlate.
Stavo entrando nel mio ruolo, ma era evidente che lei era entrata benissimo nel suo.
Le girai intorno per guardarla, stavolta per godermela. Quando provai il desiderio di procedere, iniziai.
Le presi le braccia e le legai i polsi dietro la schiena con delle cinghiette di plastica. Non fanno male e si tagliano con una forbice, che avevo preparato sul tavolo. Lei lasciò fare, era quello che si aspettava e che voleva. Ora iniziava il bello.
Le palpai il culo e lei ebbe una reazione involontaria. Non puoi impedirlo per 20 anni e poi improvvisamente lasciarlo fare in un botto. E a me piaceva avere l’autorizzazione a farle tutto ciò che la imbarazzava. Il suo imbarazzo era inebriante.
- Ora comincia il bello. – Dissi con tono risoluto.
Era un modo per darle l’ultima opportunità di tirarsi indietro. Ma non fece una piega. L’uccello apprezzò.
Mi inginocchiai davanti a lei e risalii con le mani sotto il vestito fino ad arrivare a palparle il culo. Era piacevole all’ennesima potenza. Fino a non molto tempo prima sembrava una cosa vietata al 1.000 percento e adesso invece...
Avvertii che ebbe un fremito incontrollato, ma sentii anche che portava le mutandine anziché il tanga. Era indicativo del suo carattere pudico. Perfetto.
Mi alzai, andai a prendere un collare al quale avevo fissato delle mollette metalliche. Quindi tornai da lei, che stava immobile. Impalata, come sarebbe stata tra un po’.
Attesi ancora, camminandole intorno. La calma è un ingrediente fondamentale sia per chi somministra il sadomaso, sia per chi lo riceve.
Mi avvicinai, presi l’orlo inferiore del vestito e lo tirai su fino a portarglielo al collo. Poi bloccai i bordi alle mollette in modo che si esponesse a me come un carciofo. Infatti ai tempi delle matricole, queste cose venivano chiamate carciofo, fare il carciofo...
Impiegai un po’ per far le cose per bene, quindi girai intorno a lei per guardarle le intimità coperte da pudiche mutandine. Lei era come impietrita.
- Questa figura si chiama «carciofo» – le dissi, facendomi vedere che la guardavo con occhio maiale. – L’hai letta nei miei racconti.
Lei rimase impettorita nel suo carciofo.
- Proseguiamo. – Dissi portandomi a lei.
Sapendo che lei non concedeva nulla a nessuno, andai a palparle nuovamente il culo prima e la figa poi, lasciandole le mutandine. Lei cercò di impedirmelo come sempre stringendo le gambe e girando i fianchi, ma dopo un poco dovette lasciarmi fare, rossa in faccia. Si vergognava come una educanda. Forse si stava pentendo di essere lì. Forse era quello che aveva sempre sognato.
- Ora stai ferma, – la avvisai, accarezzandole delicatamente la parte scoperta della natica.
Presi una forbice da sarto e mi portai alle mutandine. Le tagliai le culotte a destra e a sinistra, lasciando che cadessero, restando appese solo all’inguine.
Lei aveva protestato mugugnando palesemente e mi domandai se era perché le avevo rovinato le mutandine o perché l’avevo spudoratamente denudata ai miei occhi. D’altronde, sfilargliele verso il basso era troppo banale.
La lasciai così con le mutandine penzoloni per un po’, guardandola di gusto. Lei si muoveva disperatamente cercando di coprirsi, ma inutilmente. Ma devo ammettere che vederle la figa e il culo che non poteva coprirsi e lei disperata per questo era stupendo. Era quello che voleva, sentirsi umiliata, tanto vero che si muoveva stringendosi sempre di più. Finché non ce la fece più e dovette lasciar cadere le mutandine.
Ora la donna, austera e severa quando era con i suoi amici, era svergognata al mio cospetto per sua volontà. Andai ad accarezzarla al culo e alla figa, sapendo che in quella maniera la rilassavo. Dalla fase dell’umiliazione stavo per passare a quella operativa. Adesso si sarebbe vergognata ad eccitarsi della propria condizione di schiava.
E comunque, così era bellissima. Legata a carciofo, imbavagliata, con le mani legate dietro nascoste dal vestito tirato su, non poteva impedirsi di essere nuda alla mia vista. Pian piano si rilassò nelle mie mani e si vergognò con se stessa per il piacere che provava.
Andai a prendere due piccoli gatti a nove code. Sono le famose fruste orientali, ma fatte per i sex shop, di cuoio morbido. Più d’effetto che dolorosi, solo che lei non lo sapeva.
Mi portai davanti mostrando quello che avevo in mano e poi, senza indugiare, le diedi una frustata dal basso all’alto sulla figa con la destra seguita dalla sinistra.
Avesse potuto farlo, avrebbe urlato per il dolore che credeva di aver sentito. Ma poté solo girarsi di culo. Il che per me era ancor meglio, un invito a colpirla lì.
Le diedi una nuova doppia frustata col gatto, prima con la destra e poi con la sinistra. Le natiche si allargarono e sbatterono quel poco che bastava per farmi eccitare, sicché ripetei la doppietta. Lei saltellò, mostrandomi molto di più. Quindi la colpii di nuovo e lei si girò di figa. La colpii nuovamente anche lì facendola saltellare sconciamente. Lei, imbavagliata, scuoteva la testa ad ogni colpo ricevuto, come se stesse prendendo scosse. Mi sarebbe piaciuto che un altro la frustasse per consentirmi di guardare bene le sue reazioni e godermi lo spettacolo. Come, appunto, ai tempi delle matricole.
Dopo una ventina di colpi aveva capito che il dolore era accettabile e che l’umiliazione era poderosa, come voleva lei. Felice di dovermi mostrare le intimità saltellando ai colpi di sferza. L’avevo domata e, come si fa con i cavalli, andai a carezzarla. La pelle era calda, il battito era accelerato, un piccolo tremore tradiva la sua ansia. Accarezzarle il culo con il dorso delle dita la fece rilassare nuovamente.
Mi allontanai e tornai a guardarle il culo che, ovviamente, non portava segni di sorta. Anzi, leggermente arrossato era bellissimo. Alto, lungo e ovale come piace a me, rappresentava una visione idilliaca. Il colore era ambrato e non mostrava segni di costume. I bagni di sole artificiale le avevano regalato una presenza leggiadra. La perfezione della sua pelle era per me un invito sia a seviziarla che a incularla. Ma dovevo frenare i miei desideri.
Tornai a lisciarla con le mani e lei apprezzò. Dunque era pronta per la seconda parte.
Mi portai a lei, la avvicinai al letto e la feci inginocchiare. Obbedì docilmente, la parte le piaceva. Nella vita civile era lei a dare ordini e disposizioni, ora nella vita erotica era lei a dover fare quello che altri volevano. Altri ero io.
Una volta messa in ginocchio, mi spogliai e mi avvicinai a lei con l’uccello in grande erezione. Lo appoggiai al suo viso senza toglierle il bavaglio, mi limitai a farglielo sentire sulle guance. Chiuse gli occhi e si lasciò accarezzare dal cazzo. Non le tolsi il bavaglio perché non volevo metterglielo in bocca, doveva solo desiderare la profanazione orale.
Poi smisi e la girai verso il letto e la feci piegare in avanti in modo che si appoggiasse al copriletto. Le allargai le cosce e le accarezzai le intimità per prepararla. Quindi presi una delle mie nuove candele e la scartai, in modo che sentisse il rumore della carta. Unsi la candela con dell’olio lubrificante e procedetti. Le misi una mano sulla natica sinistra e portai la candela alla fessura del culo. Ebbe una piccola reazione di insofferenza. Poggiai al buco del culo la candela dalla parte della base tondeggiante. Ebbe un attimo di trepidazione. Spinsi la candela ruotandola leggermente per facilitare l’accesso. Lei dapprima strinse le natiche, poi le allargò il più possibile per facilitare la sodomia.
La spinsi dentro con immenso piacere sino a fine corsa. Quando la candela si arrestò, lei tirò indietro la testa e alzò un piede. Forse dal piacere, forse dall’opposto. Sistemai con le dita il cero in modo che l’ano non subisse disturbi e la lasciai lì per un attimo.
Mi allontanai per guardare la scena. Era un capolavoro. Mi avvicinai a lei con cazzo per farglielo sentire. Fremette e attese.
Presi un fiammifero e le accesi lo stoppino della candela liturgica che alloggiava nel suo retto. La fiamma prese subito vigore. Mi alzai e guardai nuovamente il tutto. Perfetto.
Muovendola con attenzione, la feci alzare e la portai in piedi dove stava prima. Ora era un carciofo flambante, come lo chiamavamo ai tempi dell’università. Lei sicuramente sentiva il calore della fiammella, mentre la cera cadeva in terra senza far danni.
Presi nuovamente i miei due gatti a nove code e mi portai davanti a lei per mostrarglieli. Lei sgranò gli occhi, quindi le diedi due passate sulla figa. Sobbalzò di involontario piacere, tirò la testa indietro e mosse le gambe in maniera oscena. Nessuno l’aveva mai vista così. Le diedi altri due colpetti orientativi, quindi mi spostai dietro. Guardai la fiammella e poi diedi due colpacci con i gatti a nove code. Lei scattò ancora sconciamente e mi dispiacque non poter stare davanti a guardarla mentre saltellava senza più proteggersi dai miei occhi le intimità profanate.
Però la fiammella era rimasta accesa e allora le diedi altri due bei colpacci. Stesso risultato fantastico, con la fiammella che restava spudoratamente accesa. Sembrava che lo facesse apposta per farmi divertire. E continuai a frustarla così, anche dopo che la fiammella se ne fu andata.
Lei continuò a dimenarsi anche dopo, quando non la frustavo più, masturbandosi con il cero nel retto.
Gettai i gatti a nove code e la riportai al letto. La feci salire e poi salii anch’io sul letto. Lei era sempre a carciofo, candelato ma spento. Il suo culo aristocratico era stato violato dal mio cero. Ora potevo montarla. Mi sdraiai sopra, aiutai l’uccello a trovare la strada maestra, dopodiché la penetrai di brutto da dietro, finché il suo cero non appoggiò al mio basso ventre. Sobbalzò per la doppia penetrazione, non faceva spesso neanche la monta singola... Gridò attraverso il bavaglio mentre la montavo davanti col cazzo e dietro con la candela. Le stavo sopra e sentii le braccia legate dietro la schiena sotto il vestito che si agitavano come se volesse prendermi in mano l’uccello... O impedirmi di chiavarla.
Iniziò a sbattere il bacino e venne in brevissimo tempo, facendo venire copiosamente anche me. Le lasciai esaurire la spinta orgasmica, mentre io mi portai alla sua destra, disteso. Le cavai il bavaglio per farla respirare bene, ma non le abbassai il vestito. Socchiuse gli occhi e si lasciò andare per qualche minuto.
Più tardi la slegai e la aiutai a mettersi a posto. Una volta in piedi e col vestito a posto, le indicai il bagno, dove si sarebbe tolta il cero dal culo e rifatta il trucco.
Quando uscì era nuovamente la donna austera e severa di prima.
- Eccoti le mutandine, – le dissi porgendogliele. – Le ho cucite alla meno peggio con le cambrette per farti tornare a casa indossandole.
- Me ne ero portate un paio di riserva, – rispose padrona di sé. – Puoi buttarle via.
- Qualche osservazione? – Le domandai.
- Non adesso. – Rispose secca. – Ti manderò una mail.
Uscì di casa alle 23.30.

La risposta non si fece attendere. Arrivò quella notte stessa via email
- «Bastardo!»
Stavolta quella parola non mi tranquillizzava perché poteva significare che la performance l’aveva scioccata. Magari si era pentita, l’aveva fatta sentire una troia, l’aveva trovata fuori di testa... Chissà.
Non risposi e attesi pazientemente.
Passai il mercoledì sera successivo con Lucia e Caterina, con le quali feci sesso tradizionale. Più sano e più semplice. Le due ragazze si stavano abituando a venire a letto con me regolarmente, sia da sole che insieme. Avevano trovato lo sfogo naturale delle loro aspettative sessuali che con i mariti erano quasi scomparse, con la sicurezza che con me non sarebbero sorti problemi. Tutto rimaneva, per così dire, in famiglia e sia io che loro avremmo avuto solo da perdere se si fosse saputo in giro.
Devo confessare che io qualche altra amica ce l’avevo, e la loro irruzione nella mia vita privata me le aveva fatte dimenticare. E se non stai dietro a una donna, pian piano se ne va. Ma dovevo ammettere che anche per me scopare con loro aveva il sapore del sesso fatto in famiglia. Nessuno avrebbe mai saputo nulla e in pratica era come se avessi tre mogli - una principale e due minori - perché le nostre quattro famiglie si trovavano quasi tutti i weekend. Dovevamo solo fare attenzione a non tradirci.

Dopo una decina di giorni mi arrivò un messaggio da Laura.
- Bastardo!
Ottimo, pensai. Sarebbe tornata da me.

(Continua domani)

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