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Lui & Lei

Divorzio 1


di geniodirazza
12.07.2023    |    7.626    |    1 9.6
"Appena varcata la soglia, chiuse la porta e mi avvolse in un bacio lussurioso, diverso da quello, forse troppo rapido, che ci eravamo scambiati sotto il..."
Come ogni mercoledì, stavo andando al motel dove mi aspettava Gigi, l’uomo col quale da circa un anno avevo una relazione ormai incancrenita e di cui non riuscivo a fare a meno; in realtà, ero profondamente e convintamente innamorata di Tancredi, il mio caro marito Dino che conobbi una quindicina di anni fa, quando ero poco più che adolescente, avevo solo sedici anni, e col quale avevo attraversato tutte le esperienza di vita fino ad allora.
Fu lui ad avviarmi nei percorsi del sesso, dalle prime timide seghe, attraverso pompini azzardati, fino alla prima dolorosa inculata e, in ultimo, alla scopata in figa con cui si prese la mia ultima verginità; lo amavo con tutta me stessa e non avevo smesso lungo tanti anni, anche dopo che ci eravamo sposati e vivevamo ormai in una condizione di grande benessere, soprattutto per la sua grande abilità nelle iniziative di movimenti di danaro in cui era diventato una specie di mago ambito da molti.
Io intanto mi ero laureata ed avevo raggiunto un traguardo che avevo sempre ritenuto importante, insegnare nel Liceo dove ambedue ci eravamo formati; in pratica, non avrei avuto alcuna difficoltà a gestirmi da sola, col mio stipendio e, volendo, con lezioni private; ma il benessere, che progressivamente l’attività di Dino mi aveva assicurato, mi aveva fatto scivolare in una condizione di parassitismo frutto di pigrizia più che di colpa.
La rottura con mio marito si era avviata un anno prima, quando cominciai ad ostinarmi a ritenere che non avesse per me le attenzioni che mi aveva sempre dedicato e a cui credevo di avere diritto, senza doverle chiedere io; l’errore fondamentale fu proprio questo capriccio, per cui aspettavo che lui si rendesse conto delle mie esigenze e le affrontasse con me, scusandosi di avermi trascurato per qualche tempo.
Lui non ebbe questa intuizione e continuò a fare il suo lavoro, preoccupato soprattutto di affrontare i problemi, spesso molto gravi, che gli si presentavano nella gestione di ingenti capitali spesso al limite della legge; incurante del suo lavoro, per spingerlo a prendere coscienza, diradai i nostri incontri a letto, limitando le scopate a quella ‘del bancario’ il sabato sera, mentre eravamo abituati, fino a quel momento, a scopare anche tutti i giorni e talvolta due volte al giorno.
Poi avrei saputo che a sua volta si era intestardito a pretendere che fossi io a parlare, perché la nostra intesa era basata sui cardini della lealtà, della sincerità e della verità; mi ripeteva spesso, molto significativamente, che la lealtà era il fondamento di una vita serena; nascondere qualcosa provocava crepe che potevano scatenare terremoti imprevedibili; disgraziatamente per me, qualche amica mi fece osservare che questa condizione basilare diventava lo strumento per controllare anche la mia sessualità.
Per alzare l’asticella ed imporgli il mio punto di vista, che prevedeva il mio dominio assoluto sui nostri rapporti, mi accostai al tradimento con l’intenzione di soddisfare un piccolo capriccio che non avrebbe avuto conseguenze; da sempre, Dino aveva fatto in modo che le mie bizze si sciogliessero nel dialogo e nella concessione; su un altro versante, aveva affermato che una trasgressione fuori del matrimonio poteva essere facilmente perdonata e dimenticata.
Senza rendermi conto che usavo le sue frasi pro o contro di lui in maniera del tutto scorretta e arbitraria, decisi che un cornetto glielo avrei fatto; mi avrebbe perdonato, avrebbe capito e sarebbe tornato da me più innamorato che mai; in questa logica mi lasciai corteggiare da Gigi che, grande affabulatore, sedicente intellettuale, poeta e scrittore, impiegò poco ad entrare nelle mie grazie, solleticando il mio amor proprio con frasi giuste, spesso però degne solo dei cioccolatini o dei biscotti cinesi.
Una sera che ci trovammo coinvolti in una cerimonia pubblica in cui Dino aveva parecchi incontri da realizzare e a cui io avevo partecipato di malavoglia, mi sentii più depressa del solito per qualche screzio che c‘era stato tra me e mio marito; niente di particolare o che potesse giustificare la mia scelta di fargli le corna proprio in quell’occasione; quando, però, Gigi mi ‘agganciò’ con la sua facilità di eloquio e le infinite dichiarazioni di ammirazione, mi lasciai affascinare.
Continuando a celebrare tutta la mia bellezza, la sensibilità, la cultura e quelle cose che solleticavano terribilmente il mio ego smisurato, mi portò delicatamente verso un giardino, fuori dalla sala affollata; capii che era il preludio a qualcosa che forse desideravo e temevo al tempo stesso; per un attimo fui tentata di rifiutare; ma la tigna mi diede la spinta e uscii con lui; ci incamminammo per un porticato scarsamente illuminato e, in un angolo buio, mi avvolse fra le braccia e mi baciò.
Non ne fui sconvolta, non almeno come mi sarei aspettata; Dino era molto più lussurioso quando baciava; non avevo ancora dimenticato, più di dieci anni dopo, il primo bacio sulla spiaggia, da ragazza; la tigna mi suggerì che era l’occasione per dare una ‘mazzata’ al marito distratto, senza neppure arrivare al colpevole tradimento; ricambiai il bacio e mi ci volle poco a mettere a frutto quanto avevo appreso dal matrimonio e travolgerlo in una libidine che, a mio avviso, provava per la prima volta.
Sentii la sua mano scivolare sul culo e, davanti, un’altra accarezzare lussuriosamente il seno; quando passò la mano dal culo all’orlo della gonna ed accennò a sollevarla per raggiungere la figa a malapena riparata da uno striminzito perizoma, lo fermai decisa; non ancora ero certa di volere arrivare alla scopata; mi bastava avere fatto cenno alla possibilità di tradire; per arrivare in fondo, potevo anche aspettare.
Non ebbe reazioni negative; anzi, si scusò per essere andato troppo oltre e mi invitò a rientrare per non far notare la nostra assenza; apprezzai molto la delicatezza della decisione, ma solo col tempo avrei capito che mostrarsi attento e comprensivo rientrava in una precisa tecnica per istigarmi a desiderare di andare oltre e di concedergli la figa e forse il resto; infatti, quando tornai con Dino e mi scontrai col suo efficientismo anche in quell’occasione, l’idea di cedere alle lusinghe del ‘poeta’ aveva vinto.
Mio marito aveva intuito qualcosa; la sua sensibilità, di cui ero orgogliosa, gli consentiva di cogliere immediatamente le stonature, le sbavature, le incertezze; mi invitò a parlare, se c’era qualcosa da dire; mi rivolsi risentita contro di lui e risposi piccata che non parlavo a chi non sapeva ascoltare; mi disse solo che le crepe sarebbe meglio evitarle subito; se si allargassero, diventerebbero incontrollabili; forse non volli, o non riuscii, a capire e lo mandai al diavolo.
Quasi a rincarare il peso dello scontro con mio marito, prima di andare via suggerii al mio corteggiatore di farsi trovare, il mercoledì successivo, alla fine delle lezioni, al bar del Liceo; ci saremmo incontrati ed avremmo avuto tempo per essere chiari; sapevo che Dino, il mercoledì, puntualmente si tratteneva al lavoro fino a sera tardi ed io avevo tempo per gestirmi le mie cose, incontrare le amiche, andare a bere un aperitivo, correggere compiti o altro che decidessi.
Nacque quella sera il ‘nostro’ mercoledì, quello che avremmo, per l’anno successivo, dedicato due volte al mese ai nostri incontri di adulterio; fino a quel momento, era stato solo il gioco capriccioso di una moglie nervosa che si lascia corteggiare delicatamente da uno sconosciuto e scambia un bacio che non si poteva definire d’amore, perché quelli erano un’altra cosa, come io sapevo benissimo; l’incontro di ‘quel’ mercoledì assumeva invece ben altro peso; era però ancora sopportabile dal ‘cornuto’.
Al termine delle lezioni, uscii dalla scuola, passai dal bagno dove mi sciacquai la figa e mi cambiai il perizoma, che tenevo addosso dalla mattina; non ancora avevo chiaro cosa avremmo fatto, ma la previsione di una scopata a quel punto era quasi scontata; passai dal bar, gli feci cenno di seguirmi senza farci notare, mi diressi al parcheggio, entrai in auto e lo feci salire accanto a me.
Mi chiese dove fossimo diretti; avevo deciso per un motel discreto, lungo la statale, apposta per coppiette più o meno regolari, di cui avevo sentito parlare, proprio da Dino che evidentemente lo conosceva per il suo lavoro, visto che della sua fedeltà ero certa come lo ero della mia slealtà in quel momento; fece una smorfia di disappunto; cercò di obiettare che un punto così esposto poteva far rischiare incontri indesiderati a due clandestini.
Mi resi conto che la realtà vera era che temeva di dover sostenere le spese dell’affitto; brutalmente, gli feci presente che non avevo problemi di soldi e che avrei fatto fronte io a tutte le spese; dovevamo anche pranzare e il motel era dotato di un servizio ristoro; il mio capriccio a quel punto si caricò di alcune valenza impreviste, al momento non considerate fondamentali ma che avrebbero pesato molto sulle conseguenze, col tempo.
Da un lato, fornivo al bull occasionale, che ancora non sapevo classificare, l’idea che avrebbe potuto fare il ‘mantenuto’; nel corso del tempo infatti, si ‘abituò’ a chiedermi i ‘regali’ che gli consentivano di provvedere al suo guardaroba; col luogo comune abusato, ma che gli tornava utilissimo, che ‘litterae non dant panem’, la letteratura non arricchisce, finì per farmi caricare sulla carta di credito di mio marito spese notevoli per i suoi ‘capricci’, dai vestiti a qualche gioiello.
Il dato peggiore era che non tenevo conto di un dato fondamentale; usavo i soldi di mio marito per foraggiare le corna che gli facevo, dal motel ai regali al bull, dalle consumazioni al ristorante a tutti i lussi che ci saremmo permessi; naturalmente, non usavo la mia carta di credito perché si sarebbe immediatamente svuotata e non avrei saputo come pagarmi i costi per le cure estetiche, per l’eleganza, per il lusso.
Usavo quindi una carta che faceva aggio sui conti personali di Dino, senza che lui ne sapesse niente; poiché era un mago della finanza, avrebbe scoperto assai presto l’uso che facevo dei suoi soldi; ma il capriccio mi aveva accecato e, come sempre, non tenevo in nessun conto il punto di vista degli altri; le sue ricchezze erano ‘nostre’ e mi doveva la soddisfazione dei miei capricci anche se si trattava di pagarmi degli amanti contro di lui.
In quel momento, per la verità, il peso della trasgressione non era eccessivo e rientrava tutto nella possibilità che mio marito si rendesse conto di avermi trascurato, chiedesse perdono, accettasse di dimenticare e ritornasse da me innamorato come e più di prima; l’idea di fare dei volgari conti di denaro neppure mi sfiorava, visto che la lotta che avevo ingaggiato riguardava i sentimenti e gli affetti.
Tutto andò come era nei miei desideri; il mio stallone provvisorio, di fronte alla mia determinazione ed alle ricche prospettive di godere anche socialmente ed economicamente, divenne ancor più disponibile e quasi viscido; mi riempì di lodi e complimenti, mi fece sentire una dea in terra e si schiavizzò alla mia libidine, consentendomi di esercitare quel ruolo di individuo alfa che, alla fine dei conti, era quello che inutilmente chiedevo a mio marito; giunsi a pensare che fosse l’ideale per rafforzare il matrimonio.
Prima di salire in camera, ci fermammo per mangiare, ma in realtà fu solo un rapidissimo ingozzare cibo per soddisfare i morsi della fame e riservarci il tempo per la successiva sicura scopata; le carinerie in cui si profondeva assai volentieri fecero a cazzotti, ad un certo punto, con il senso di colpa che mi nasceva dalla particolare situazione che avevo voluto, cercato e realizzato e che solo adesso mi appariva nella reale enormità.
La tigna sconfisse il senso di colpa e, quando salimmo alla camera, ero pronta a farmi scopare alla grande; se me lo avesse chiesto, non gli avrei negato niente; ma i pochi precedenti mi facevano sospettare che avrebbe cercato di proporsi nella migliore versione del damerino settecentesco, per non mandare in vacca un progetto di relazione che già si profilava interessante e produttivo.
Appena varcata la soglia, chiuse la porta e mi avvolse in un bacio lussurioso, diverso da quello, forse troppo rapido, che ci eravamo scambiati sotto il porticato in giardino; la sua lingua grossa e pastosa si infilò prepotente nella mia bocca che si aprì ad accoglierla e prenderne la lussuriosa stimolazione su tutte le papille; poi fu la volta della mia lingua ad inseguire la sua ed a scambiarsi, come in un duello di fioretto, piacere e umori.
Mentre mi stringeva a se appassionatamente, sentii crescere dal ventre, sotto la figa, la sua mazza non spregevole; Dino mi aveva abituato, in dodici e più anni di scopate senza limiti, a manipolare con gioia il suo arnese di oltre venti centimetri per lo spessore di una piccola lattina; con Gigi, amante provvisorio e forse da una botta e via, la sensazione fu di un cazzo non molto più piccolo ma più sottile e non voglioso come quello dell’uomo che mi amava davvero con tutto se stesso.
Quasi presa dalla curiosità di verificare che cosa offrisse l’occasione di tradimento che stavo consumando, allungai una mano tra noi e andai a prendere la mazza da sopra il pantalone; ebbi la conferma, sentendola cresce sotto le dita, di un arnese di buon livello dal quale potevo strappare orgasmi assai interessanti; manipolai la cerniera, la feci scivolare, infilai la mano nel pantalone e finalmente la sentii calda e vibrante; era davvero una bella mazza.
La frenesia del momento, l’ansia dell’azzardo, perché era la prima volta che apertamente mi ribellavo ad una decisione presa d’accordo con mio marito, mi spingevano a ridurre al minimo le conseguenze, come se scopare una o più volte non fosse lo stesso errore, come io lo valutavo, o la stessa colpa, come certamente avrebbe giudicato l’opinione corrente; tirai in lungo le fasi delle carezze preliminari, rinviando al massimo il momento cruciale della scopata.
D’altronde, Gigi era entrato perfettamente nella parte del damerino da letteratura, prono ai desideri della dama e pronto a darle tutto quello che chiedeva; si dedicò anima e corpo alla spoliazione e mi privò dei vestiti con lo stesso garbo con cui l’avrebbe fatto una servile cameriera di camera con una dama del settecento, mettendo addirittura in ordine, ripiegati su una sedia accanto al letto, i capi di vestiario che mi toglieva.
Per fortuna, si soffermava poi a passare dolcemente e lussuriosamente le labbra su ogni brandello di pelle che affiorava dalla ‘divisa professionale’ che avevo portato dalla scuola, un tailleur di fattura perfetta col quale rivestivo il decoro del ruolo in classe; quasi adeguandomi al suo ritmo, operavo la stessa svestizione, più agile perché indossava solo pochi capi; al termine della fase di conoscenza dei corpi, la libidine era giunta ad un livello di parossismo e il desiderio si era fatto impellente.
Decisi, sommersa da un incontenibile senso di colpa, di ridurre tutta la trasgressione ad una scopata unica e violenta; me lo trascinai addosso e mi gettai supina sul letto, facendo aderire il mio al suo corpo, arto per arto; non smetteva di accarezzarmi e di cercare con le dita le mie intimità segrete mentre la bocca svariava nei baci più sensuali sul viso, sulla gola, sul seno; sentivo la mazza indurirsi sul corpo e la desiderai con tutta me stessa.
In un tourbillon di emozioni volente, sentivo la figa pulsare di desiderio e palpitare in attesa della mazza che la riempisse; non sapevo decidermi e il desiderio mi invadeva a ondate successive; mentre la testa mi suggeriva che stavo andando troppo oltre il lecito, la figa mi chiedeva di essere riempita, ma anche il culo fremeva nel desiderio di essere violato e riempito da quel cazzo giovane e in quel momento desiderato; la domanda se usare la bocca per darci piacere appariva a sprazzi e mi tormentava.
Poi, finalmente, sentii il cazzo premere contro la figa; spostai il laccetto del perizoma, ben poca cosa, e la mazza scivolò dentro quasi naturalmente; sentivo i muscoli vaginali eccitati accarezzare l’intruso e goderne lo spessore che non turbava i normali equilibri ma sollecitava libidine ed umori continui che colavano sul lenzuolo; lui cominciò a muoversi con foga e a farmi sentire la cappella contro l’utero con un piacere indicibile.
Non mi scopò molto a lungo; forse perché da tempo in astinenza; forse per l’emozione della figa nuova che aveva conquistato, cominciò a gemere e mugugnare; mi chiese tra un sospiro e l’altro se poteva sborrare dentro; lo avvertii che ero protetta dalla pillola e lo sentii liberarsi completamente con una sborrata che mi inondò la figa e sbordò sul lenzuolo tanto fu lunga, ricca e densa; risposi con un orgasmo altrettanto intenso e violento; mente godevo, dedicai al cornuto la sborrata.
Ci sdraiammo rilassati perché davvero era stata una performance assai impegnativa, soprattutto per Gigi che forse non aveva avuto spesso a letto una donna calda come me; riprendemmo a baciarci voluttuosamente ed a carezzarci su tutto il corpo; io fui aggredita di nuovo da sensi di colpa, assurdi ora che avevo davvero fatto le corna all’uomo che amavo e che avevo fatto diventare capriccio un errore forse clamoroso.
Mentre mi abbandonavo ai più vari giochi erotici con dita e labbra, una vocina dentro mi suggeriva di non caricare la storia di elementi di rottura; non era passato moltissimo tempo, da quando avevamo mangiato; avevo davanti ancora molte ore da dedicare alla scopata; ma qualcosa mi suggeriva di fermarmi lì, per il momento, e di verificare possibili ricuciture; se fosse andata male, avevo tutto il tempo per rendere la relazione impegnativa.
Passammo molto tempo a carezzarci, a leccarci, a goderci lussuriosamente, ma decisi di non andare oltre con le intimità che fanno di una scopata una ‘storia’; evitai quindi di prendere in bocca il cazzo e succhiarlo; parallelamente, non consentii a lui di leccami la figa come Dino faceva molto a lungo, nei momenti di preparazione o nel relax dopo una scopata; ci limitammo a languide e dolci carezze, che bene si addicevano al personaggio che Gigi aveva scelto, l’amante dolce e romantico.
Realizzammo comunque una seconda scopata in figa, stavolta un poco più pacata e serena in cui mi godetti fino in fondo la mazza che entrava nel canale vaginale e raggiungeva l’utero; lui fu ancora più dolce e delicato; mi montò con una certa abilità e con tanta premura che mi sentii carezzata dalla mazza che mi violava; la sborrata che sopraggiunse dolce e quasi inaspettata concluse meravigliosamente quella prima esperienza che ritenevo dovesse essere unica.
Molto in anticipo sulle previsioni, lo riaccompagnai al bar dove lo avevo prelevato e mi recai a casa, dove scaricai nella cesta della biancheria da lavare i miei vestiti e mi sistemai in cucina a preparare la cena nella speranza di un chiarimento immediato e definitivo; ma rimasi delusa; informato in tempo reale, come non avrei mai sospettato, della mia trasgressione, Dino fu feroce ed aggressivo; andò in bagno e prese atto delle condizioni del mio intimo; rispose con durezza al mio saluto; mi chiusi a riccio.
Quella volta, la scopata fu unica e quasi frettolosa; ero quasi certa che sarebbe stata sufficiente per costringere mio marito a prendersi cura di me, se non voleva perdermi; mi sbagliavo, naturalmente, perché, assai più tignoso di me ed abituato a trattare con personaggi assai potenti ai quali non concedeva margine neppure per obiettare, glissò su tutto ma fu informato immediatamente e puntualmente di quello che facevamo e di quello che ci dicevamo.
Ma soprattutto ricavò, dalle registrazioni che realizzava il motel, di cui possedeva una quota di maggioranza, le ingiurie che riservavamo al ‘cornuto impotente, senzapalle, forse anche frocio’ e chi più ne ha più ne metta, che puntualmente usavamo quando accennavamo a lui; non sapevo e, se lo avessi saputo, non me ne sarei curata, che con quelle dichiarazioni, insieme all’uso sconsiderato dei suoi soldi, costruivo le basi della valanga che il gesto ingenuo del capriccio avrebbe scatenato.
Ad ogni buon conto, tornando a casa dopo quel primo incontro, mi ero predisposta a fare chiarezza per portare l’attacco che avrebbe dovuto costringerlo a trattarmi con maggiore deferenza e rispetto del ruolo che pretendevo, di individuo alfa nel nostro matrimonio; quando mi vide stravolta dalla scopata, si rivolse con feroce arroganza; lo mandai al diavolo con qualche parolaccia e decisi di farlo cornuto finché non si fosse arreso; non sapevo che era informato nei particolari, con video della scopata.
La conclusione fu che mi organizzai con Gigi per incontrarlo un paio di volte al mese, sempre di mercoledì; lo facemmo per un anno, fino al momento del ‘crollo’, e naturalmente gli diedi tutto quello che del sesso sapevo o imparavo con lui; il primo incontro si era risolto con una scopata quasi veloce e comunque senza preliminari o corollari; seguirono altre sempre più ricche ed intense, quelle che il tempo disponibile, fino a sera, ci consentiva.
Cominciammo da tutti i modi possibili e immaginabili di succhiare il cazzo; diventò presto uno standard che, appena entrati nella camera, mi sedessi sul letto e tirassi a me l’uomo per le anche; gli aprivo il pantalone e lo facevo cadere a terra insieme al boxer; affrontavo con gioia la mazza che emergeva già in piena erezione e me la passavo su tutto il viso, sulla gola e sui seni; poi cominciavo a leccarla, tenendo con una mano il cazzo ritto contro il ventre e sostenendo con l’altra i coglioni.
Li leccavo accuratamente e amorosamente, li prendevo in bocca uno per volta; poi procedevo a ‘lucidare’ l’asta giocando con la lingua su tutta la superficie, dalla radice alla punta, facendolo impazzire con i giochi di ghirigori che disegnavo soprattutto sotto la cappella; quando passavo la lingua sul frenulo, erano brividi continui per lui, ma anche per me; poi imboccavo la mazza e, guidandola con la lingua contro il palato, la facevo affondare in gola.
Gigi era addirittura stravolto dai miei giochi di bocca, di dita e di lingua; col tempo, finii per passare anche più di un’ora a leccare e succhiare il cazzo, a farmi scopare in bocca e spingerlo in gola fino a soffocare o a dover combattere con conati di vomito; lui imparò presto a godere della mia bocca e a trattarla come una seconda figa, utile per trarre tutto il piacere possibile dalle fellazioni fino quasi a rinunciare a scoparmi, tanto godeva.
Per non concedergli la supremazia del maschio che la femmina fa godere, gli insegnai a praticare il cunnilinguo con il più alto grado di capacità; lo costrinsi a dedicarsi alla figa per essere anche lui partecipe della scopata e, soprattutto, per asservirsi alle mie voglie; quando ero nuda, mi stendevo supina sul letto, spostata verso il bordo, tiravo su i piedi sul letto e allargavo le ginocchia a compasso per offrirgli la visione più ampia possibile della figa.
Quando lui si abbassava sul ventre e cominciava a leccare, lo prendevo per i capelli e lo guidavo a stimolarmi laddove sentivo più immediato il piacere e più intenso il godimento della lingua che spazzolava grandi e piccole labbra; quando si soffermava sul clitoride, lo invitavo a succhiare tra le labbra e a stringerlo delicatamente fra i denti perché questo mi dava un piacere intenso e indefinibile; dopo alcune titubanze iniziali, divenne un amante perfetto con la bocca.
Le prime scopate furono rigorosamente alla missionaria, poi sperimentammo quella a pecorina e scoprii un amante assai duttile, che insisteva a leccarmi il sesso da dietro, con effetti di grande libidine; la sua lingua passava a spatola dal monte di venere all’osso sacro e mi titillava tutta la parte; a tratti, si fermava ad inserire la punta in figa o nel culo e mi provocava emozioni intense di piacere che scaricavo in umori nella sua bocca o sul lenzuolo che usciva sempre malconcio dalle nostre scopate.
Quando si decideva a infilare da dietro il cazzo in figa, era meraviglioso sentirmi afferrare i seni che usava per darsi la spinta e picchiare con durezza contro il culo mentre il cazzo affondava fino all’utero con meravigliosi esiti di libidine; non appena ebbe preso coscienza che godevo molto nella monta da dietro, imparò presto a scoparmi a lungo da quella posizione e variò tutte le possibilità, a cucchiaio o di schiena, scopandomi con tutto il corpo.
Per sottolineare la mia condizione dominante nei suoi confronti, la mia posizione preferita diventò quella a cavallerizza, in cui ero io a decidere la penetrazione, i movimenti e i tempi della scopata; allo stesso modo, lo indussi a mettermi il cazzo fra le tette e a farsi titillare coi globi mentre spingeva il cazzo fino al mento; farlo arrivare alla bocca fu questione di attimi e presto mi scopava alla spagnola sborrandomi in gola, alla fine.
Venne anche il momento del culo; dopo averlo fatto desiderare per alcuni incontri, arrivai armata di lubrificante e gli dissi immediatamente che gli avrei dato il lato B; avevo capito benissimo che era il suo sogno, sin dalla prima scopata, quando avevo notato la passione con cui accarezzava le natiche e, parlando, celebrava la purezza della linea del mio culo; il pomeriggio che mi lasciai inculare passò un tempo lunghissimo a leccare la parte e a scoparmi a pecorina.
Quella volta, partii da casa ben determinata a concedere quel particolare piacere a quello che era ormai il mio amore alternativo, non solo il mio amante; dopo i soliti preliminari e le prime scopate violente, in cui riuscì a trattenere la sborrata riservandola per il culo, gli passai il tubetto del gel, mentre mi stava perlustrando con la lingua tutto il perineo dilettandomi con lunghe penetrazioni della punta in figa o nell’ano.
Dopo l’ennesima monta a pecorina, sfilò il cazzo dalla figa e unse abbondantemente le dita e il canale rettale; quando infilò le dita nel culo, entrarono facilmente le prime tre a cuneo; dopo aver lavorato per bene lo sfintere per rilassarlo, strinse a cono, tutte insieme, le dita della mano e aprì l’ano come una caverna ideale per fare entrare il cazzo con la minima difficoltà e nessun fastidio per me, che comunque avevo fatto da tempo l’abitudine alle inculate, anche se scopavo ormai col lanternino con mio marito.
Quando avvertii che la cappella si appoggiava all’ano, provai un’intensa soddisfazione, al pensiero che un’ulteriore umiliazione veniva imposta a mio marito, la cui arroganza era calpestata dalla mazza che mi apprestavo ad accogliere nel culo; la progressiva penetrazione di tutta la lunghezza fu causa di grande lussuria; mi godevo i centimetri che avanzavano ad ingombrare il retto e titillavano, da posizione diversa, l’utero.
Lo fermai per un poco, per godermi la sensazione di pienezza di tutto il ventre; i muscoli rettali si mossero quasi istintivamente a risucchiare la mazza dentro e mi mandarono sferzate di piacere fino al cervello; mi spinsi indietro col culo finché mi scontrai col ventre che mi possedeva; cominciò la cavalcata più lussuriosa che desiderassi ed ebbi non so quanti orgasmi, mentali prima che fisici, mentre dedicavo la scopata al mio ‘cornuto’; sborrò di colpo, avvertendomi all’ultimo momento; schiantammo sul letto.
Mio marito Dino aveva capito tutto e seguito ogni fase della costruzione del palco di corna che gli avevo realizzato; anche se non avevo, o non volevo avere, elementi per esserne totalmente certa, troppi atteggiamenti, scelte e frasi gettate quasi a caso mi facevano intendere chiaramente che sapeva tutto delle mie smanie di superiorità sul maschio e sui pruriti di figa a cui avevo fatto ricorso per dominarlo.
Non capivo perché non affrontasse il toro per le corna e non ponesse il problema in termini chiari; eppure non poteva non rendersi conto che non scopavamo quasi più; lo facevamo il sabato sera, quando non avevamo altri impegni, quando me ne ricordavo o quando non mi inventavo motivazioni strane per mettermi a dormire dalla mia parte; perfettamente rimbecillita, anche di fronte al rifiuto di lui assai più netto del mio, non pensavo lontanamente che avesse altre donne.
Mi risultava assai più comodo, nella mia logica, convincermi che fosse vera una delle ipotesi che formulavo, per esempio che fosse un cornuto contento o un cuckold che si vergognava di uscire allo scoperto; oppure che fosse un omosessuale che non voleva fare outing e andasse a farsi inculare da qualche parte, sicché non si curava della mia freddezza e dei miei rifiuti; nella migliore delle ipotesi, azzardavo che volesse vincere ad ogni costo lo scontro con me e venisse regolarmente sconfitto.
Non servirono a niente gli avvertimenti che da ogni parte mi arrivavano, di enormi scopate che Dino regalava a tutte le mie amiche e a tante altre che neppure conoscevo; la costante comune era l’entusiasmo con cui uscivano dalle sedute di sesso, in cui si erano sentite amate come l’unica donna al mondo meritevole, una vera dea dell’amore; eppure, sapevo per esperienza diretta che mio marito era capace di farti vivere nel paradiso terrestre, quando faceva l’amore.
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