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Lui & Lei

Divorzio 2


di geniodirazza
12.07.2023    |    2.680    |    0 9.6
"L’avvocato era stato attratto soprattutto e forse solo dalle forme giunoniche e non aveva smesso di ammirare il fondoschiena di cui andavo giustamente..."
Il pomeriggio del ‘mercoledì maledetto’ tutto si svolse come al solito; passai a prendere Gigi al bar, andammo al motel, pranzammo e ci rifugiamo immediatamente in camera; quando mi avvolse, come sempre, in un calorosissimo bacio, lo avvertii che per quel mese non assumevo la pillola, per dare all’organismo un periodo di requie dopo anni di pratica anticoncezionale; gli raccomandai che sarebbe stato oltremodo pericoloso se fosse venuto in figa.
Ero nel momento di massima ricettività e una sborrata nell’utero poteva significare una sicura maternità improponibile in quella situazione decisamente difficile; mi obiettò che non aveva preservativi, ma mi garantì che, se non avessi deciso di farlo sborrare in bocca o in culo, avrebbe proceduto, ritirandosi all’ultimo momento, a sborrare sulla pancia o sul culo; lo lasciai fare fiduciosa che non mi avrebbe creato inutili problemi.
La scopata fu lunga ed entusiasmante, soprattutto perché si diede molto da fare col mio culo e mi leccò a lungo, profondamente, in tutti i buchi e lungo il perineo tutto; alternava titillamenti con le dita a leccate lunghe ed intense con cui mi deliziava figa, cuore e testa; più volte saggiò, con numerose dita insieme, l’apertura dell’ano, evidentemente per prepararsi alla più grossa inculata che avesse mai realizzato.
Quando passò nel culo il liquido lubrificante e fece penetrare quattro dita a cuneo nel canale rettale, mi sentii gratificata perché aspettavo la spinta violenta che mi stimolasse l’utero dall’ano e mi sfondasse fino all’intestino; nell’enfasi della goduria per la grande scopata che stavamo realizzando, vissi il trasferimento della punta del cazzo dall’ano alla figa come un elemento di piacere aggiunto, perché mi aspettavo come al solito una lunga scopata in figa e poi l’inculata.
Nella foga della passione, non mi resi quasi conto che aveva insistito a lungo in figa e che, di colpo, aveva sborrato nell’utero; quando realizzai quello che aveva fatto, mi montò una collera che non avevo mai sperimentato, nemmeno contro mio marito al quale attribuivo inesistenti terribili colpe; il timore che le condizioni favorevoli all’inseminazione avessero prodotto il guaio più grande che potessi immaginare mi fece perdere le staffe.
Mi staccai inferocita e gliene dissi di tutti i colori; mi guardava irridente come se non avesse colpa di niente; il sorrisetto imbecille mi fece montare ancora di più la rabbia; mentre mi vestivo decisa a rompere immediatamente una storia diventata incancrenita e pericolosa, sentii che quasi mi prendeva in giro usando le mie confidenze a mio danno.
“Scusa, hai detto che il sabato gli concedi la scopata del bancario; sabato ci scopi, fai in modo che il preservativo si rompa o, meglio ancora, ti fai scopare a pelle e alla fine nemmeno tu saprai chi di noi due ti avrà messa incinta; alla peggio, vai a comprare la pillola del giorno dopo e con quella rimedi; se proprio ti va malissimo, hai alcune settimane per provvedere all’aborto clinico legale; non capisco proprio perché te la prendi così calda.”
“Perché gli stronzi come te, imbecilli maschilisti che si sentono individui alfa e non sono neppure zeta mi fanno vomitare; purtroppo, in questo genere di rapporti la parte più difficile è proprio di noi donne che possiamo dover rendere conto di un bastardo ad un marito già cornuto di suo; con queste dichiarazioni ti riveli così piccino, assurdo e meschino che non so proprio come abbia fatto questa povera cretina a illudersi che potessi assumere nella mia vita un ruolo tanto importante.
Quello che so, adesso, è che non voglio vederti più, nemmeno dipinto; per un anno ho calpestato i principi fondamentali della coesistenza pacifica perché temevo di essere soggetta ad un prepotente maschilista; mi rendo conto che sei tu il tiranno imbecille che mi ha messo in difficoltà perché non te ne fotte niente di me e delle mie reali esigenze; mi hai preso per culo con le belle parole e ci sono cascata a mani e piedi legati; adesso sono solo cazzi miei. Vaffanculo, idiota!”
Mentre tornavo a casa, molti interrogativi mi tormentavano; in primo luogo, preso atto che avevo scambiato, come si diceva, il cazzo per il rubinetto dell’acqua, mi assalì il dubbio di avere volutamente innescato una pericolosa escalation da cui potevo uscire solo con le ossa rotte; la soluzione più naturale ma meno praticabile, secondo me, era parlare immediatamente chiaro con mio marito, confessare i miei errori, ammetterli come colpe e comprare la pillola del giorno dopo.
Ma non bisognava essere particolarmente acuti per rendersi conto che un ostacolo enorme si frapponeva tra me e lui, quella maternità spuria che rischiava di distruggere il fondamento stesso del matrimonio come l’avevamo sempre concepito; forse potevo sperare che Dino accettasse l’idea che ‘l’utero è mio e lo gestisco io’, si accontentasse di sapere che anche scopando con l’altro non avevo mai smesso di amarlo.
Forse, poiché pensavamo da tempo ad un figlio, il fatto che lo sperma fosse di un altro poteva incidere poco sulla sua determinazione a ricostruire l’unità della nostra famiglia; mentre formulavo il pensiero, mi saltava chiaro alla mente che lui non poteva essere d’accordo; educato ad una visione maschilista della vita e del matrimonio, non avrebbe mai accettato di legittimare un bastardo, frutto dell’azione indegna di un’adultera che lo aveva mortificato e umiliato.
Forse l’ipotesi formulata da Gigi, di portare l’inganno fino alla fine e scoparci senza precauzione, poteva risultare valida per attribuirgli l’eventuale figlio e, tacendo, nascondere che nemmeno io stessa potevo essere certa della paternità; la richiesta dell’esame del DNA non poteva essere fatta senza il mio consenso e, alla fine, lui sarebbe stato comunque il padre non solo legittimo e, comunque, putativo e affidatario ma forse anche quello genetico, se le cose prendevano una strada imprevedibile.
Più rigiravo il problema, più questa soluzione mi sembrava la più praticabile; si fondava senza dubbio su un inganno ancora peggiore di tutti quelli che avevo commesso contro un uomo del tutto innocente, se non nei miei equivoci, come aveva dimostrato il comportamento di Gigi di fronte ad una vera responsabilità; ma era aperto a una soluzione che forse poteva compensare l’inganno specie se accettavo di riconoscere gli errori e di cercare di farmi perdonare.
Se avessi comunicato a Dino che ero incinta di lui, sarebbero caduti tutti i motivi di frizione; un mio cambio di atteggiamento, che a quel punto ritenevo corretto, avrebbe fornito una piattaforma nuova per impiantare un rapporto sereno e duraturo di convivenza; la nascita di un figlio avrebbe soddisfatto un desiderio che da tempo accarezzavamo di avere un erede a cui affidare la nostra ‘eternità’ e, mio marito, l’eredità del patrimonio che andava costruendo.
Facendo appello alla mia cultura, ricordai che in una favola molto interessante Fedro dimostra che ‘madre non è chi ti partorisce in preda ad una bestiale voglia di sesso ma chi si cura di te a lungo’; sapevo che mio marito, sensibile a certi valori fondanti della civiltà, non avrebbe respinto questa ipotesi, anche se avesse avuto dubbi sulla paternità; noi potevamo essere i genitori che se ne occupavano fino la maturità e oltre e sarebbe stato certamente tutto nostro, alla fine.
Mi ero quasi convinta della possibilità di impostare su questa tesi il dialogo con mio marito, imponendomi la massima umiltà per riconoscere gli errori commessi e da cui era dipesa la rottura tra noi; per la prima volta dopo un anno, passai un mercoledì sera di attesa ansiosa e fibrillai per un ritardo, fisiologico peraltro, di mio marito anche sull’orario avanzato che in quel giorno della settimana gli veniva imposto da particolari adempimenti straordinari.
Non mi riuscì di incontrarlo, quando tornò, perché la stanchezza del pomeriggio di sesso mi aveva già abbastanza demolita, l’ansia mi aveva snervato per tutta la sera e alla fine mi trovai a crollare quasi sul letto mentre ancora mi sforzavo di restare sveglia per arrivare, finalmente, ad un chiarimento che avevo sempre rifiutato lungo il terribile percorso dell’adulterio consumato tignosamente contro un uomo che non aveva fatto niente per farsi odiare così tanto.
Quello che non avrei potuto sapere era che Dino era stato avvertito, in tempo reale, dell’ultima ‘bravata’ che avevamo consumato nel motel, dove avevano registrato, e fatto pervenire a lui, anche il commento audio alla vicenda; in pratica, sapeva già dell’inganno che stavo per ordire a suo danno ed aveva deciso che non ce n’era più; nei giorni seguenti, senza darmene nessuna avvisaglia, provvide ad organizzare la trappola contro di me.
Fece annullare la validità della carta di credito che avevo usato a sua insaputa e mi lasciò, praticamente, la disponibilità del solo mio stipendio; si rivolse al suo amico avvocato e gli fornì tutta la documentazione, nutritissima, delle spese da me affrontate per pagare, coi suoi soldi, le corna che gli facevo; aggiunse anche le registrazioni delle scopate fatte al motel, di cui valeva, ai fini del divorzio, solo il commento verbale che lo definiva con gli epiteti peggiori e confessava la manovra per attribuirgli il figlio.
Il rischio di denunce per il furto continuato e per gli oltraggi era quasi automatico, mentre sul piano morale pesava il comportamento di adultera che mi poneva anche a rischio di trasferimento d’ufficio in sede disagiata, se lo scandalo fosse diventato di pubblico dominio, per comportamento incompatibile con la funzione educativa del mio lavoro; se Dino avesse agito contro di me come faceva con gli avversari in affari, ero sulla bocca di un cratere.
Per quello che lo riguardava personalmente, mio marito aveva preso in affitto un miniappartamento in centro e, nelle ore in cui ero a scuola, quotidianamente trasferiva le sue cose all’abitazione dove voleva andare a vivere; aveva cambiato gestore telefonico e annullato il numero che io avevo; per alcuni giorni bestemmiai contro le Società telefoniche perché il suo numero era considerato inesistente; non mi riuscì di parlargli e per tigna attesi fino al venerdì sera.
Poiché non avevo nessuna avvisaglia dei fatti, continuai a costruire la manfrina da recitare il sabato sera, al momento della ‘scopata del bancario’; di colpo, me lo trovai davanti ad ora di cena; non si sedette a tavola e non cambiò neppure le scarpe con le pantofole, rito quasi abituale nella nostra quotidianità di vita; prese una valigia che aveva già riempito e si avviò alla porta; lo fermai spaventata e gli chiesi cosa facesse.
“Ho degli impegni fuori sede; non so quando potrò farmi vivo!”
La novità sconvolgeva tutti i miei piani per rimediare all’errore commesso qualche giorno prima con Gigi; se Dino partiva, non avrei potuto realizzare con lui la scopata che avrebbe dovuto fargli attribuire il nascituro, perché l’ultima volta che avevamo scopato prendevo la pillola; il cervello mi friggeva mentre cercavo di inventarmi qualcosa che lo fermasse fino a che avessi potuto avere il modo di scoparci per poter poi avanzare, anche a me stessa, l’ipotesi che il figlio potesse essere veramente suo.
“Scusa, ma non era nostra abitudine che, quando partivi per un lungo viaggio, prima di uscire d casa, facevamo l’amore’ … “
“Non ricevo da te amore da tempo ormai immemorabile, forse un paio d’anni; non è scritto da nessuna parte che si scopa il sabato o prima di partire; poi credo che tu abbia scopato col tuo amante così tanto che dovresti essere soddisfatta almeno per i prossimi nove mesi … “
“Dino, cosa ti salta in mente? E’ vero che da molto tempo non siamo più la coppia felice che eravamo; ma l’amante è una tua elucubrazione assurda, come il sesso che dovrebbe bastarmi per nove mesi; perché proprio nove mesi e non un anno? Mi sa che sei vittima di tue paranoie; forse l’hai detto perché nove mesi sono quelli della gestazione di una maternità? … Non riesco proprio a capirti; ma forse sono solo la cretina che tu immagini che io sia e che puoi asservire al tuo ruolo di individuo alfa … “
“Va bene; ancora una volta sei tu che decidi la verità; ma io, ostinatamente, ti lascio un ultimo consiglio con la speranza che, stavolta, lo seguirai senza arroccarti dietro convinzioni che fai passare per verità e imponi come vangelo a tutti; vai a trovare Giovanni, il nostro amico avvocato; ha accettato l’incarico di affrontare problemi che ci riguardano; se vuoi, almeno una volta, ragiona con la testa e non con la fi ...ducia in te stessa … “
Non aggiunse altro, forse perché ormai si era reso conto che parlare con me era ‘lavare la testa all’asino … ‘; uscì e mi trovai improvvisamente da sola in un appartamento troppo grande e vuoto; per curiosità più che per autentico sospetto, avendolo visto uscire con la valigia, andai a controllare armadi e cassetti; scoprii di colpo che ero veramente sola; mio marito aveva portato via ogni cosa, dai documenti ai vestiti, fino agli oggetti da bagno.
Poiché mi aveva fatto cenno al nostro amico avvocato, mi precipitai a telefonargli per fare chiarezza; mi rispose sua moglie, mia vecchia amica, che caritatevolmente intercedette con suo marito perché per telefono mi indicasse la gravità delle cose che stava facendo per conto di Dino; l’altro si limitò a dire che aveva presentato domanda di divorzio e che gli erano stati forniti documenti assai pesanti per dimostrare la mia colpa nella separazione di fatto.
Gli improperi che mi scapparono dalla bocca nella rabbia del momento furono fermati dall’interruzione della telefonata, perché l’altro aveva chiuso la comunicazione; piansi come una disperata e mi agitai tutta la sera alla ricerca di soluzioni; per la ‘pillola del giorno dopo’ avevo atteso troppo; per il colloquio con mio marito era sfumata ogni possibilità; l’unico rimedio praticabile poteva essere l’aborto che presentava non poche incognite.
L’ospedale civile aveva una sezione di maternità assai risicata e non si trovava un medico abortista nemmeno a pagarlo; al consultorio non seppero darmi informazioni utili; nella migliore delle ipotesi, mi suggerivano una lista d’attesa in una città assai lontana, dove avrei occupato una posizione difficile da prevedere come utile nei tempi di legge; l’unica struttura privata dove avrei potuto rivolgermi imponeva il pagamento di una cifra per me impossibile, dopo il taglio delle carte di credito.
Fui costretta a riconoscere che ero stata sconfitta, almeno in questo, dal rigore di quello che consideravo, a torto, il mio personale tiranno; nella sospensione sterile di qualunque soluzione, anche il tempo utile per l’aborto sanitario passò invano e fui costretta ad ammettere che dovevo tenermi il figlio e sperare solo di poter sconfiggere sul terreno legale mio marito per obbligarlo ad assumersi la responsabilità del bastardo nascituro.
Nessuno degli avvocati che conoscevo, ma che erano anche amici di Tancredi, accettò di assumere la rogna di affrontarlo in tribunale, conoscendo le motivazioni che lo avevano spinto a una separazione di fatto per colpa mia; qualcuno non mi concesse neppure un appuntamento per non ascoltare le mie geremiadi; cercai di parlare con Giovanni, l’amico avvocato a cui si era rivolto mio marito; ma non si fece neppure trovare al telefono e dovetti rinunciare.
Ormai disperata, feci appuntamento con un avvocato di cui sapevo solo che era un maneggino abile a sconvolgere situazioni e ottenere i suoi interessi; lo incontrai a cena ma, dopo un lungo corteggiamento, fui posta di fronte alla richiesta di andarci a letto, se non potevo pagare quella che consideravo una cena e lui una consulenza legale; decisi di scendere l’ultimo gradino della mia aberrazione, illudendomi ancora di poter mettere in conto a mio marito anche quello; lo seguii in un motel.
L’avvocato era stato attratto soprattutto e forse solo dalle forme giunoniche e non aveva smesso di ammirare il fondoschiena di cui andavo giustamente orgogliosa; non appena in camera, mi avvolse in un bacio violento, quasi sadico, con cui mi soffocò senza darmi il tempo di assorbire la botta; reagii facendo ricorso ad anni di copule con mio marito che mi colmava di affettuosità; fui costretta, per subire l’aggressione, a ricorrere al ricordo degli amplessi casalinghi.
Avevo Dino nella testa, mente l’altro mi sfilava il vestito e mi lasciava nuda ai piedi del letto; ricordavo la dolcezza con cui mio marito mi leccava a lungo e speravo almeno in una fase preparatoria; ma il tipo non aveva nessuna finezza da proporre, mi sbatté letteralmente sul viso un cazzo non grande, assolutamente lontano dal ‘drago’ che dovevo ammansire a Dino, quando lo aggredivo con una delle fellazioni che mandavano in delirio tutti e due.
Gli imposi di usare un preservativo; lui lo fece e si limitò a sbattere la mazza contro il palato per cercare di affondare al massimo; lo controllai abilmente, facendo scivolare la punta come volevo; ero esperta di fellazione e non mi ci volle molto a controllare l’asta che spingeva verso l’ugola; mi resi conto che dovevo spomparlo e liberarmene rapidamente, succhiai e manipolai con il preciso intento di portarlo a sborrare.
Non mi era mai dispiaciuto sentire in bocca il cazzo; anche Gigi era piuttosto sgraziato quando mi scopava, ma lo dominavo; misi in atto tutta la mia abilità e mi manipolai la figa per cercare almeno un orgasmo; ci riuscii quando, per qualche momento, era il cazzo di Dino, nella mia testa, quello che stavo succhiando con amore; l’altro si trovò a sborrare quasi senza accorgersene; era inferocito, contro se stesso soprattutto, perché non aveva controllato la sborrata e invece voleva scoparmi.
Decisi di deriderlo; presi l’asta e la masturbai con sapienza; maledetto Dino, anche in questo era stato maestro; osservai le smorfie dell’altro preso in una vertigine di piacere che non si aspettava; cominciò a temere che quella che aveva davanti fosse una puttana esperta che lo stava dominando; bloccò la manipolazione e mi spinse sul letto; speravo che mi leccasse, non a lungo come mio marito, ma almeno quanto bastasse a farmi godere.
Ma, per raggiungere un orgasmo, fui costretta a prenderlo per le tempie e costringerlo a succhiare e leccare il clitoride, finché gli ‘sparai’ rabbiosamente sul viso uno squirt che l’altro ricevette ma non gradì; mi spinse rozzamente sul letto, mi fece spalancare le cosce e mi piombò addosso; ma ero troppo abituata alle penetrazioni violente e dolorose di Dino, di cui mi rendevo conto solo dopo, quando andavo a verificare le mie condizioni.
Avevo ipotizzato una grande scopata, anche con un’inculata, nel caso; decisi che la giostra si sarebbe fermata lì; gli imposi un nuovo preservativo e mi aprii a prenderlo in figa; lui si sistemò fra le cosce ed accostò la cappella; ma fui io a risucchiare dentro, con intenzione, il cazzo dello sconosciuto che non era stato in grado di provocare nessuna delle emozioni che mi aspettavo e che avevo trovato solo mentalmente, nel ricordo di come scopava il mio ‘nemico’.
Il pisello, così lo consideravo ormai, di quell’individuo poteva a malapena solleticare il canale vaginale; ma sapevo come attivare i muscoli e tenerlo fermo per avere l’orgasmo che desideravo, specialmente quando la punta arrivò a sfiorare la testa dell’utero; il mio urlo fu ferino, quando esplose nel suo orgasmo vero, mentre il corpo ricordava le scopate belle dei primi anni di matrimonio; era stato un grave errore concedermi; l’altro invece si ritenne grande amante, di fronte a quell’orgasmo.
Picchiò sul pube col corpo in un movimento di scopata persino elementare; lo accettai supina, torturandomi i capezzoli per provare piacere; ancora l’ombra incombente di Dino era l’unico appiglio per rendere accettabile una scopata che sembrava l’esperienza di una prostituta con un ipodotato vergine; mi venne in mentre la barzelletta della massaia che, mentre scopava, si interrogava sul colore delle pareti; finii per augurarmi che almeno accettasse di rappresentarmi contro mio marito.
Anche questa speranza andò delusa, quando, al termine della scopata, lui si rivestì e mi riaccompagnò; se avesse avuto la certezza di vincere la causa, si sarebbe rifatto su mio marito ricco; poiché temeva di perdere, avrei dovuto corrispondergli un alto onorario; tornai a casa col cuore sanguinante; mi era prostituita, stavolta sul serio, inutilmente per combattere un mulino a vento; cominciavo a sospettare che una resa onorevole poteva valere più di una sconfitta dolorosa e distruttiva.
Non riuscii ad incontrare Dino per circa tre mesi; sembrava che fosse sprofondato in un inferno da cui non fosse stato più capace di riemergere; a me aveva appena accennato che andava via per qualche giorno, per non so quali controlli previsti ad aziende collegate a quella dove lavorava; il sospetto che avesse evitato di incontrarmi perché, al corrente di quel che avevo in mente, mi rifiutava in toto e preferisse sparire dalla mia vita, si fece opprimente.
Intanto, mi restava il problema dell’ultima scopata che rischiava di mettermi di fronte alla responsabilità di un aborto clandestino con tutti i rischi connessi; nel giro di un paio di settimane, ebbi la certezza della miseria morale del mio ex amante, che respinse ogni ipotesi di affrontare con me il momento delicato; contestualmente, scattò una sorta di presa di coscienza della MIA miseria morale e civile nei confronti di Dino e dell’eventuale nascituro.
Rotto qualunque legame con Gigi, piansi lacrime amare all’idea che fosse svaporato, nel fango delle mie azioni, il grande amore che avevo condiviso con Dino, fino a quando non ero impazzita e avevo cominciato a dare i numeri per tentare di essere dominante su di lui; mi sentii improvvisamente sola, con addosso la responsabilità di una creatura di cui dovevo decidere la sorte; non mi preoccupava l’idea dell’aborto; ma la fine dei sogni di maternità divenne insopportabile.
Uno scatto di quelli che mi avevano sempre caratterizzato mi spinse a decidere di fare da sola, pur soffrendo terribilmente l’abbandono di mio marito; decisi che quella creatura sarebbe stata mia e che, se voleva davvero amarmi, Dino avrebbe dovuto accettarmi tutta, compresa la mia creatura che sarebbe diventata anche sua; stavolta non era un capriccio o la tigna a spingermi ma la coscienza che l’amavo davvero ma che volevo essere amata senza preclusioni.
Rinunciai a qualunque obiezione alla richiesta di separazione, mi ritirai nel mio alloggio e mi dedicai tutta alla creatura che vedevo vagamente nelle lastre dell’ecografia, un esserino informe ma che catturò tutta la mia capacità di amore; sognavo, stupidamente, che Dino se ne innamorasse con me e mi amasse davvero senza se e senza ma; sapevo che era nelle sue corde, se avessimo trovato il sentiero giusto da percorrere; in assenza, potevo solo sognare e sperare.
Tre mesi dopo la ‘fuga’ mi comparve davanti assolutamente imprevedibile; mi salutò affettuosamente e mi chiese come stessi.
“Male, lo vedi da solo; non resisto senza l’uomo che ho sempre amato, anche quando mi sono comportata peggio di Giuda.”
“Non è con te il tuo amore alternativo?”
“Dino, lo sai anche tu che avevo preso un grosso abbaglio; Giovanni mi ha detto che sei minuziosamente informato di tutto; ho commesso un solo grave errore, un capriccio imbecille che una persona adulta non dovrebbe nemmeno pensare; non c’è mai stato un amore alternativo; c’è stato un montone incivile e assurdo che ho confuso con un poeta; adesso posso solo piangere sul latte versato!”
“Il figlio che stai aspettando? Cosa ne sarà? Chi se ne assumerà la paternità? Che vita gli prepari?”
“Non ho voglia né di lottare, né di polemizzare né di star male per queste questioni; la creatura che aspetto e che amo già più di me stessa è mia; ancora non so se sarà maschio o femmina, ma comunque si chiamerà Vittorio o Vittoria, perché deve essere la mia vittoria sulla mia stupidità, sui miei capricci, sull’ottusità bestiale dei montoni e sull’arroganza intelligente e tirannica del mio amore; si dice che i figli non sono di chi li partorisce ma di chi li fa crescere.
Farò crescere mio figlio; se avrò accanto un uomo che mi sappia amare per intero, anche con mio figlio, senza preoccupazione per il cazzo che mi ha inseminato, lo amerò come amo te adesso e sarà nostro figlio; se questa è utopia e non c’è un maschio disposto ad accettare una donna che ha un figlio di un altro, sarò sola con il mio amore, che sarà per mio figlio e non più per il fantasma dell’uomo che mi ha sverginato tanti anni fa.
Riuscirò a farlo crescere, a farlo laureare come ho fatto io e come hai fatto tu; non gli perdonerò i capricci come hanno fatto i miei con me e, dopo, anche mio marito che mi ha viziato a fare capricci e mi ha lasciato quando ho sbroccato; sarò per mio figlio la compagna, la guida, il mentore, l’amica, tutto quello che forse non ho saputo essere con te; se una cosa questa triste vicenda mi ha insegnato è stato prendere coscienza di me, con tutte le mie debolezze; di certo ci penserò molto, prima di amare ancora.”
“Se avessi bisogno di un aiuto economico, rivolgiti a Giovanni; ci sono ancora e sempre, per te e per tuo figlio; la separazione non è legalizzata e ancora non ha valore, sei sempre mia moglie; sto male e le ferite sanguinano ancora; ora parto e tornerò tra qualche mese; ma tornerò e spero con idee più chiare; riguardati … Sono tentato di salutarti almeno con un abbraccio, ora; ma non voglio abbattere le difese che mi sono costruito; non ti nascondo che, oltre ad amarti come sempre, ti desidero anche.
E’ troppo tempo che non ci scambiamo amore e tu ti sei svenduta; mi fa ancora male; sappi che non è cambiato niente, tranne il figlio che avrai da un altro e che pensi possa ancora essere mio; devo rifletterci; spero che tu trovi un amore nuovo e vero, forse per placare il mio senso di colpa; io non lo sto cercando e, se mi ci imbattessi, vincerebbe la memoria di una ragazza di sedici anni che sverginai. Riguardati e parla con Giovanni, per favore; non vorrei sentire la responsabilità di averti lasciata nelle peste. Ciao!”
“Ciao, amore mio; lo sei sempre, qualunque colpa io abbia, qualunque errore abbia commesso; l’amore non è stato mai messo in discussione; gli errori hanno riguardato altro. Ciao; fai le cose che devi e falle come sai; spero di rivederti più sereni e di parlare più a lungo. Ciao!”
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