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Lui & Lei

Regalo d’addio


di geniodirazza
20.07.2023    |    8.872    |    4 9.8
"Mi sistemai carponi, convinta che, come avevo sospettato, l’ano fosse il suo obiettivo finale; ma lui mi premette delicatamente sulle natiche e mi obbligò a..."
L’appuntamento con Mauro, il mio maestro di sci per quell’anno, era al limitare del bosco; ci andai a piedi, erano solo pochi passi; lui mi raggiunse in motoslitta, mi fece salire e si precipitò a scavezzacollo al magazzino isolato nel bosco dove da cinque anni mi incontravo col maestro di sci dell’anno per piantare a Franco, mio marito, il paio di corna che da allora lo decoravano puntualmente quando venivamo qui per le vacanze di Natale; qualche cosina gliela combinavo anche in città, con colleghi insegnanti e amici vari; ma il ‘rito’ delle corna natalizie era diventato ormai per me imprescindibile.
Cinque anni fa, a trent’anni, ben inserita nel tessuto della città e con una carriera assodata, avevo deciso che dovevo liberarmi dalla schiavitù a un maschio oppressivo; l’occasione era venuta quando il maestro di sci, un figo della madonna, mi aveva corteggiato intensamente finché avevo accettato di incontrarlo nel magazzino nel bosco; era stata una scopata straordinaria, soprattutto perché finalmente agivo liberamente alle spalle del rigoroso maschio alfa che determinava la mia vita.
Franco, abituato a muovere le pedine della sua attività a suo arbitrio, aveva stabilito che ci saremmo trasferiti per due settimane, dall’antivigilia di Natale, quando chiudevano le scuole, all’Epifania, giorno ultimo di vacanza per me, nell’albergo di montagna che aveva scelto per le sue strategie di movimento; mi accompagnava il 23 dicembre e si fermava fino al 26; tornava in città e mi lasciava in albergo fino al 31 quando tornava per la fine d’anno e il capodanno; poi tornava ancora al lavoro e veniva su per l’Epifania, quando tornavamo insieme; il movimento imponeva la scelta di una località facilmente raggiungibile.
Nel suo rigore logico, era un autentico regalo lasciarmi la possibilità di godermi a pieno la vacanza, mentre lui seguiva da vicino i suoi interessi, sacrificandosi alla pendolarità, su strade innevate, per sei volte, tra andata e ritorno; neanche lo sfiorava l’idea che potesse mandare al diavolo i suoi interessi e fermarsi con me per tutto il tempo; il pensiero che scegliesse il lavoro e la ricchezza anziché la serenità con me mi fece sbroccare e lo tradii la prima volta; ci presi l’abitudine e ne feci un sistema di vita, che coltivai anche in città, con altri partner e diverse soluzioni.
Nella mia logica, quello che avrei voluto imporgli come mia determinazione era che si occupasse di me e del mio bisogno di coccole più che del suo lavoro; le poche volte che vi avevo fatto cenno, mi aveva deriso ricordandomi che il benessere di cui godevamo, compreso il costo di quelle due ‘settimane bianche’ in albergo con cenoni annessi, era reso possibile dalla ricchezza che il suo lavoro produceva.
Naturalmente gli risposi stizzita, soprattutto perché mi vedevo sbattuta in faccia la realtà che ero una parassita della sua attività; il mio stipendio da insegnante mi avrebbe consentito soltanto una vita borghese con poche distrazioni; ma, al punto in cui ero arrivata, ogni piccola divergenza era motivo di guerra e l’idea dell’adulterio per punire la sua supponenza mi allettava troppo; quando poi mi resi conto di come fosse facile ingannarlo, ci presi gusto e mi scatenai.
Per cinque anni, appena lui montava in macchina per tornare al lavoro il 26 mattina, per me cominciava la ‘libertà di scopata’ quasi sempre col maestro di sci, ogni anno uno nuovo; si interrompeva il 31 e il primo gennaio, quando Franco era in albergo con me, e riprendeva fino al 5 gennaio, quando lui tornava a prendermi per rientrare a casa; nove giorni di autentica baldoria mi consentivano di spassarmela con lo stallone di turno; avevamo eletto ad alcova il vecchio magazzino e lo frequentai con tutti.
Quell’anno mi era andata particolarmente bene perché, tra gli istruttori, mi era capitato Mauro, un trentenne decisamente stallone di razza, con una mazza di quasi venticinque centimetri, un fisico da statua classica e modi eleganti e gentili che ne facevano un amante perfetto; dopo che mi ero sistemata, con mio marito, nell’hotel e dopo i ‘riti’ del cenone della vigilia e del pranzo di Natale, il 26 mattina, appena Franco fu partito, mi diressi decisa da Mauro e fissai le lezioni.
Neanche un’ora dopo mi portò al magazzino nel bosco e scopammo per la prima volta; messo al corrente del mio ‘vizietto’ era evidentemente già pronto a concupirmi e a farmi ballare sul suo cazzo tutti i balli possibili e immaginabili; quel giorno, per il disagio inevitabile del primo incontro, e i giorni seguenti, 27 e 28 dicembre, per altri impegni precedentemente assunti, non potemmo scopare che per tempi brevi.
Il 29 mattina però ci incontrammo alle nove e avevamo davanti tutta la giornata per scopare a piacimento; la motoslitta impiegò pochissimo a raggiungere il magazzino nel bosco e Mauro aveva la chiave per aprire il lucchetto; non feci in tempo a varcare la soglia che mi sentii letteralmente ‘affogare’ nel suo corpo atletico in cui il mio, minuto ma molto armonioso, letteralmente sprofondava; ma fu anche un mare di piacere che mi accolse, quando le membra si strinsero alle sue.
Sentii immediatamente contro il pube la mazza dura e particolarmente grossa; la figa rispose inondando immediatamente il minuscolo slip che la sottolineava, anziché coprirla; mi strusciai sul suo corpo giovane e forte e cominciai a sentire il clitoride gonfiarsi di piacere e piccoli orgasmi scaricarsi dal ventre; strinsi il seno contro il torace scolpito e sentii nuovi brividi di piacere levarsi dai capezzoli ed andare a scaricarsi in figa; mi perdevo nel deliquio del piacere.
Mi sembrava di non avere mai goduto tanto, nemmeno nelle prime esperienze di scopata; eppure mio marito non lesinava il cazzo; quando non mi perdevo dietro le corna che gli facevo, mi piaceva molto scopare con lui che aveva sempre dimostrato una particolare abilità a cercare i miei punti erogeni per farmi sborrare molto e con gusto; i suoi preliminari erano ad alto tasso di lussuria e, quando mi scopava, in figa, in culo, in bocca, tra le tette, tra le cosce, era veramente ineguagliabile.
Forse, ad onta dei tradimenti decisi ‘a tavolino’ per punirlo di presunte distrazioni dalle mie mie aspettative, ne ero stata e ne ero ancora molto innamorata; nelle nostre scopate il sentimento era dominante e, oltre al cazzo che non temeva concorrenze, la dolcezza che sapeva mettere in ogni gesto che carezzasse, titillasse, eccitasse il mio sesso, era tale che alla fine nessuna scopata avrebbe potuto mai arrivare ai vertici che con lui raggiungevo.
Spinsi Mauro a sdraiarsi sul sofà che ben conoscevo; mi accostai in faccia a lui, montai con le ginocchia sul mobile e mi incollai alle sue labbra mentre adagiavo l’inguine sul suo per assaporare la consistenza della mazza che reagì premendo con forza sul mio basso ventre; era bravo a baciare; ma lo era ancora di più ad accarezzarmi.
La sua lingua mi frullava nella bocca esplorandola tutta mentre le mani si muovevano abilmente sulle tette alla ricerca dei capezzoli; sentii la sua lingua penetrare profondamente verso l’ugola e cominciai a succhiarla come fosse un piccolo cazzo; la mia figa cominciava ad inumidirsi per i primi accenni di preorgasmo; intanto, le mani esploravano tutto il mio petto soffermandosi sulle mammelle piene e sui capezzoli ritti e gonfi; poi si spostavano verso la vita e la cingevano per accarezzare la schiena.
Con pochi gesti mi sfilai in parte i pesanti abiti da neve, offrendo in tutta la loro esplosiva bellezza le tette che erano sempre state un mio vanto personale; le sue mani si mossero verso la schiena e presero a perlustrarla tutta, dal collo alle reni; allentò il pantalone e mi perlustrò il culo a palme larghe; intanto, continuavamo a divorarci le bocche in un bacio infinito in cui, alternativamente, lui mi offriva la lingua da succhiare come un piccolo cazzo ed io infilavo la mia nella sua per perlustrarla tutta e ricevere lo stesso trattamento di risucchio.
Le sue mani percorsero le natiche in tutta la larghezza, poi si infilarono con decisione nel minuscolo slip e percorsero, dall’alto in basso, con i due indici affiancati, la larga fessura che le separava, finché incontrarono il forellino posteriore; cominciò a ruotare le dita intorno all’ano, quasi perlustrandone le singole pieghe, e spinse gli indici verso l’interno, tirando dai due lati per allargare il foro; mi sentivo già profondamente penetrata ed ero assai vogliosa di esserlo fino in fondo.
Intanto, gli avevo sfilato con un po’ di equilibrismi parte del pesante abbigliamento e gli avevo scoperto il forte torace; mi fermai un attimo a considerare la leggera peluria bionda che gli copriva il petto e cominciai a vellicarlo passandoci il viso con sensualità; scoprii, al contatto con le labbra, che i suoi capezzoli erano grossi e duri; glieli succhiai golosamente come lui aveva fatto coi miei; sentivo che la posizione gli procurava molto fastidio, perché il cazzo aveva raggiunto una dimensione più che notevole e premeva contro slip e pantaloni fino a dolergli; spostai le sue mani dal mio culo, mi scavallai e scesi dal divano per permettergli di alzarsi in piedi e spogliarsi.
Buttò via in un solo colpo pantaloni, slip e scarponi, mentre io mi denudavo completamente; restammo in piedi e ci abbracciammo di nuovo con foga; stavolta sentivo nettamente, e con gioia, la grande consistenza del cazzo che si schiacciava sul ventre fin più su dell’ombelico; abbassai una mano tra i due corpi finché riuscii a stringerlo tra le dita; il primo di una serie infinita di orgasmi mi esplose in figa solo a quel primo contatto.
Non fu facile staccarsi dal bacio intenso che ci stavamo scambiando; ma avevo voglia di altro e feci in modo da ruotare insieme per essere io di spalle al divano, mi staccai, mi sedetti in punta sul mobile e portai il cazzo all’altezza del viso; cominciai a leccargli i testicoli, mentre con la destra tenevo l’asta puntata in alto, e ne assaporai la consistenza, la pienezza, il vigore; poi passai a leccare la mazza, dalla radice alla punta, disegnando ghirigori con la lingua su tutta la superficie; insistetti a lungo sulla base della cappella, sul frenulo e sul buchetto; ogni volta, gli strappavo lunghi gemiti di piacere.
Non avevamo detto una parola, in tutto il tempo; e i suoni del nostro piacere erano solo singulti e mormorii; mentre portavo alla bocca la cappella di quel cazzo meraviglioso, per un breve attimo mi attraversò la mente un senso di colpa per quello che stavo facendo; quasi per reazione, accentuai la sensualità di quel pompino; feci scivolare lentamente e dolcemente il cazzo fra le labbra e mi soffermai più volte a lambirlo con la lingua dentro la stessa bocca, a succhiare dolcemente la parte che avevo ingoiato; ci misi quella che mi sembrò un’eternità a farlo scivolare fino in fondo e, testardamente ma voluttuosamente, non mi fermai finché il sacchetto dei testicoli non toccò il mio labbro inferiore; adesso l’avevo tutto in bocca e lo succhiavo come un neonato fa con la tetta di mamma.
Mauro mi fermò e, con delicatezza, spinse la mia testa indietro.
“Non resisterei a lungo e non ho intenzione di sborrare subito!”
Abbandonai la presa e accennai di si con testa; mi spinse leggermente verso lo schienale e mi trovai sdraiata di traverso sul divano; mi prese le gambe dietro le ginocchia e le alzò oltre il livello della seduta; si inginocchiò davanti e, sempre tenendomi le cosce alzate e divaricate, accostò il viso all’inguine; appoggiai i talloni sulle sue spalle e mi spalancai al massimo.
Cominciò accarezzandomi l’interno delle cosce; partì dalla piega delle ginocchia, su tutti e due i lati, ed avanzò lentamente verso la figa perlustrando sensualmente ogni millimetro di pelle; arrivato alle grandi labbra, le solleticò con gli indici, contemporaneamente; ogni tocco mi provocava contrazioni violente della figa e scatenava umori che sentivo scorrere a fiotti giù verso l’ano.
Entrò con due dita, una per mano, e stimolò dolcemente e lentamente le piccole labbra provocandomi ancor più frequenti contrazioni; lo sentii penetrare nella vagina con quattro dita, due per mano, e mi sentii aprire come mi squartassero; godetti intensamente e sbrodolai a lungo; trovò il clitoride e lo strinse tra due dita; lo masturbò a lungo; ero fuori di me dalla goduria.
Poi si accostò con la bocca e prese a lambirmi l’interno delle cosce; in testa mi esplodevano fuochi d’artificio di tutti i colori; quando la sua lingua penetrò in figa come un piccolo cazzo, ebbi una serie di sussulti e gli godetti in bocca; bevve devotamente tutto; quando la sua bocca si impadronì del clitoride e cominciò a succhiarlo come un autentico piccolo cazzo, non riuscii a trattenere un urlo.
Allargai ancora di più le cosce e spinsi il pube contro la testa di Mauro, che aveva ritirato le dita dalla figa e aveva artigliato le natiche, afferrando con forza ciascuna per mano; mi sentii sollevare leggermente dal divano in una posizione difficile per la mia cervicale; ma il piacere era tanto che neppure ci badavo; avvertii invece che i suoi pollici si univano sull’ano e lo forzavano con decisione; sentivo le pieghe del buco distendersi ed aprirsi mentre le due dita spingevano in direzione opposta a mi abbandonai al piacere della piccola violenza di un culo dilatato all’inverosimile.
Di colpo, mi sollevò un poco più in alto, staccò la bocca dal clitoride e, dopo un attimo, avvertii la dolce freschezza della lingua che percorreva l’ano martoriato; quasi istintivamente, cominciai ad attivare i muscoli interni del retto contraendoli e rilassandoli così da risucchiare dentro la lingua che leccava l’ano; avvertito il movimento, spinse con più foga la lingua che sembrava penetrarmi meglio di un cazzo di piccole dimensioni; i pollici, intanto, continuavano a premere verso l’interno e a strappare verso l’esterno favorendo la penetrazione.
Mi prese un’ansia violenta di stupro; sentivo tutti i muscoli dell’intestino convergere su quell’unico punto e risucchiare quanto fosse possibile, fui avvolta da una nebbia di piacere che mi sconvolse.
“Voglio la mazza dentro!!!!!!”
Pensavo con intensità, ma mi limitai a gemere dolcemente; sentii che mi scopava a lungo con questo piccolo cazzo tanto dolce, tanto delicato e tanto violento; godetti più di una volta e sentii i miei umori scorrere dalla figa verso l’ano e nella bocca; continuò imperterrito a lappare, a penetrare, a farmi godere; ma io non resistevo più nell’attesa; volevo il cazzo dentro, ad ogni costo.
Sembrò leggermi nel pensiero e, di colpo, si staccò, mi prese per la vita e mi spostò sul divano fino a farmi assumere una posizione più comoda, supina sulla seduta e oscenamente scosciata; salì, si sistemò in ginocchio fra le mie cosce e potei vederlo tutto; mentre tentavo di dare un ritmo regolare alla respirazione e lasciavo per un poco rilassare i muscoli del ventre e dell’inguine, mi sorpresi a pensare che, diamine, era proprio un bell’uomo, uno con cui avrei volentieri fatto sesso in qualunque momento della vita e in qualunque condizione.
A sorprendermi, però, fu il cazzo, che vedevo solo adesso da una posizione e da una distanza favorevoli; dimensione tendente al grande più che al medio, conformazione regolare con piccola curvatura al centro, cappella grande completamente scoperta, insomma un cazzo di tutto rispetto anche per me che ne avevo divorati molti, in ogni buco; ma non incuteva timore, specie dopo averlo visto in azione; anzi, solleticava il desiderio di prenderlo tutto dentro, da tutte le parti.
Si abbassò un poco a succhiarmi un capezzolo e sentii nettamente la cappella accostarsi alle grandi labbra; dopo quanto aveva fatto al mio culo, ero certa che volesse entrare direttamente lì e mi preparavo ad accoglierlo a dovere; invece, usò la mano sinistra per guidarlo e lo accostò alle piccole labbra; ebbi immediatamente un primo fremito di voglia ancora insoddisfatta; si appoggiò con le mani alle mie spalle e cominciò a far avanzare la sua mazza lentamente.
Lo sentivo entrare centimetro per centimetro e avvertivo nettamente tutte le contrazioni che l’ingresso provocava alle pareti della figa che pulsavano, sussultavano, lo abbracciavano, lo stringevano e si stimolavano alla nuova intrusione; ogni movimento era fonte di goduria e, di tanto in tanto, di piccoli orgasmi.
Finalmente avvertii l’urto della cappella contro il collo dell’utero, la durezza del suo osso pubico contro il mio e la potenza dei coglioni che picchiavano contro il mio ano martoriato; non so se la sensazione fosse di un girone infernale o di un cerchio angelico, ma so per certo che godevo come una pazza e che colavo come una fontana rotta; pensavo che mi volesse montare alla grande e, in qualche modo, mi preparavo ad essere sbattuta con forza; invece, cominciò a scivolare delicatamente su tutto il mio corpo, in maniera che il cazzo a sua volta entrasse ed uscisse delicatamente dalla figa.
Spesso, addirittura uscì quasi del tutto per rientrare con la stessa delicatezza; solo un paio di volte entrò con forza e picchiò con violenza la cappella contro il collo dell’utero; ed anche in quelle occasioni fuochi di artificio di tutti i colori mi esplosero negli occhi e nella testa; ormai ero in un vortice di piacere che mi faceva perdere il senso di tutto.
Non arrivò a sborrare; nonostante le manipolazioni, nonostante la lunghezza della scopata, benché mi avesse fatto letteralmente allagare il divano con gli umori dei miei orgasmi; nonostante tutto, non concluse ancora; di colpo, si fermò e delicatamente sfilò la sua mazza dalla figa; si staccò un poco e mi fece cenno di girarmi, accompagnando il gesto con le mani che mi ruotavano.
Mi sistemai carponi, convinta che, come avevo sospettato, l’ano fosse il suo obiettivo finale; ma lui mi premette delicatamente sulle natiche e mi obbligò a stendermi sul divano; ero un po’ perplessa; tutte le volte che lo avevo preso nel culo, nella mia lunga esperienza, la pecorina era risultata la posizione più naturale, più congeniale, insomma la più giusta; ma lui non era dello stesso avviso.
Si distese su di me, come aveva fatto per montarmi in figa, manipolò il membro tra le mie natiche finché avvertii la punta della cappella sull’ano; mi artigliò e, come aveva già fatto prima per penetrarmi con la lingua, accostò i pollici al centro, premette con forza progressiva per farli penetrare nel retto, aprì al limite del possibile l’ano stendendo tutte le pieghe, accostò di nuovo la cappella e cominciò a premere per farla entrare; anche stavolta si mosse con delicatezza e lentezza quasi esasperante.
Scivolando su di me con tutto il corpo, faceva avanzare il sesso di pochi centimetri, spesso solo millimetri, e si ritraeva per rientrare un poco più a fondo; cominciai a provare un piacere indicibile alle sue manovre e, quasi autonomamente, i muscoli interni cominciarono l’opera di risucchio e di assorbimento della mazza in sintonia con le sue spinte; in altre parole, adesso erano i muscoli del mio intestino, lo sfintere primo tra tutti, a dettare tempi e modi della penetrazione.
Assorbivano letteralmente l’asta con infinita lentezza e con sussulti continui che provocarono orgasmi in successione che si sarebbero conclusi, come sapevo bene, con una esplosione stellare; non volli calcolare, e forse non si sarebbe potuto, quanto tempo impiegò a penetrarmi e quanti orgasmi questo procedimento mi stimolò; ormai ero nella dimensione di un’altra galassia; mi accorsi che era tutto dentro quando sentii i suoi peli pubici solleticarmi l’ano; infilai una mano tra le cosce e trovai, all’altezza della figa, i coglioni gonfi che premevano contro; in un raptus di lussuria ne infilai uno direttamente dentro, a contatto col clitoride.
Naturalmente, questo mi provocò un ulteriore feroce orgasmo che mi squassò le visceri sia verso l’utero che verso l’intestino; ormai non sapevo più da dove esplodevo, se dalla figa o dal culo; temevo che, da un momento all’altro, il ‘giro in giostra’ avesse termine; aveva resistito molto a lungo ed era naturale pensare che stesse per concludere; ma Mauro non era della stessa opinione.
Cominciò un lungo processo di vai e vieni, anche se, almeno stavolta, più rapido e determinato; sfilava l’asta dal retto, fin quasi a farla uscire, e si godeva lo spettacolo del mio foro spalancato con il cazzo dentro per metà; mi accarezzava le natiche, persino la schiena e si dilettava a solleticarmi lussuriosamente su tutta la pelle provocandomi brividi di piacere; riaffondava fino in fondo e premeva per stimolarmi altro piacere; ritirava ancora l’asta per metà e si metteva ad accarezzarmi i capezzoli, a strizzarmi le tette schiacciate sul divano, a titillarmi la figa.
Furono minuti di piacere più che intenso, spesso delicato, talvolta quasi violento, che accompagnavano il mio ormai infinito sbrodolamento di umori dalla figa; aspettavo solo che arrivasse alla conclusione; il mio obiettivo era la sua eiaculazione che, ormai ne ero certa, sarebbe arrivata direttamente nell’intestino; anche per lui il momento di concludere sembrava arrivato.
Dopo un’ultima lunga carezza sulle natiche e dolci ghirigori disegnati con le dita sul mio ano dilatato, intorno al suo randello, si sistemò in ginocchio dietro di me, mi prese per le anche e mi fece alzare fino a portare il mio ano all’altezza del suo inguine; spinse con un solo colpo ed io sentii lo schiocco delle mie natiche contro la sua pancia, mentre con improvviso stupore il mio ventre esplodeva in una girandola di sorpresa, di dolore e di orgasmo.
Non so da dove godessi perché, in quel momento, culo e figa facevano un tutt’uno; e non fu che il primo; per quattro volte mi spinse in avanti e quasi uscì del tutto, poi mi tirò indietro quasi con violenza contro la sua pancia; ed io ogni volta godevo in maniera diversa; non avevo mai provato tanto piacere, in vita mia; e dire che ne avevo fatte di tutti i colori; in quella indicibile girandola di emozioni, tutte enormi, tutte diverse, tutte stratosferiche, mi colpì che, d’un tratto, avvertissi nell’intestino il getto della sborra.
In quelle condizioni temevo proprio di perdere l’attimo che per me era stato sempre il più importante nello scopare, quello cioè in cui il cazzo esplode nel culo; non che mi dispiacessero le sborrate in vagina, in bocca o sul corpo; ma quella nel retto aveva avuto per me sempre un misterioso fascino superiore, una sorta di frustata che conclude tutta l’esperienza della scopata e ti dà il senso e la gioia di averlo fatto.
L’esplosione di Mauro fu proprio questo; nonostante il tourbillon di emozioni, l’avvertii con chiarezza e me ne lasciai prendere con entusiasmo; per la prima volta in tutta la ‘giostra’ mi lasciai andare ad un urlo che non aveva niente di umano e che sintetizzata tutta la lussuria che avevo accumulato in quella scopata; anche lui non riuscì a trattenersi e accompagnò i getti di sborra con altrettante urla, non ricordavo e non volevo ricordare quante; ci accasciammo sfiniti, l’uno sull’altra.
Mentre stavamo rilassandoci sbracati sul divano disfatto, udimmo strani rumori provenienti dalla porta del magazzino e, dopo poco, il rombo di una motoslitta che si allontanava; Mauro saltò come un grillo fuori dal letto, si infilò di corsa il pantalone e si precipitò alla porta; ma tentò inutilmente di aprirla; qualcuno aveva messo un lucchetto all’esterno; cominciò a bestemmiare inferocito.
“Perdio, ci hanno chiuso dentro ed hanno rubato la motoslitta; mi sa che tuo marito ci ha sorpresi e ci ha imprigionati per obbligarci ad uscire davanti a tutti e denunciare le corna che gli stiamo facendo!”
Non riuscivo ad articolare parola, bloccata dalla sorpresa, dalla paura, dall’incertezza; mio marito non era tipo da abbandonare il lavoro se non per una causa assai grave; se fosse stato lui a sorprenderci, non ci avrebbe chiusi dentro; forse, addirittura sarebbe entrato con una pistola spianata e ci avrebbe stesi tutti e due; la finezza dell’operazione faceva pensare a qualcosa di diverso, forse addirittura uno scherzo da buontemponi.
Cercai di rassicurarlo da quel punto di vista e lo invitai a cercare una soluzione invece di strepitare ed inveire contro nessuno visto che non si udiva più nessun rumore; ci rivestimmo e, con molti sforzi, lui riuscì a sgattaiolare da una finestrella alta che c’era nel locale; qualche minuto dopo che fu uscito, lo sentii bussare all’uscio e, dalla porta, mi avvertì che la motoslitta era sparita, un chiavistello nuovo era stato applicato alla porta e potevo solo seguirlo per la stessa strada che aveva fatto lui per uscire.
Con mille acrobazie, riuscii ad arrampicarmi fino alla finestrella, la varcai contorcendomi come un felino nonostante la bardatura degli abiti da sci e mi lasciai cadere all’esterno, sopra un mucchio di neve che attenuò di molto la caduta; desolati e impotenti a fare altro, ci mettemmo in cammino affondando nella neve fino alle caviglie; con una marcia lunga e penosa raggiungemmo il piazzale dell’albergo, oltre il limitare del bosco; per prudenza, ci separammo e lui andò avanti.
Arrivai affannata all’hotel, pronta a imprecare contro chiunque ci avesse giocato il tiro di far sparire la motoslitta; rimasi interdetta sulla soglia, quando vidi Mauro quasi piangente che borbottava desolato ‘Licenziato! Per qualche stupida scopata!Non è possibile!’; dietro di lui, con aria da mastino inferocito, il titolare dell’hotel con a fianco una persona che una volta Franco mi aveva presentato come titolare di un’agenzia di investigazioni assai famosa e discreta.
Non ci voleva una grande mente e lunghe riflessioni per capire che aveva indagato, su richiesta di mio marito, e che tutta la merda che avevo accumulato ora mi si ritorceva contro, compreso il mio parassitismo che avevo portato all’estrema esasperazione di pagare con soldi di mio marito le corna che gli facevo con colleghi e amici con cui andavo a scopare in alberghi malfamati e motel della statale, compresi i pranzi consumati e qualche regalino per esagerare.
Leggermente defilato, Franco fissava tutto con l’aria di un cane bastonato; ma gli occhi fiammeggianti denunciavano una rabbia violenta, di quelle che, come sapevo bene, lo avevano indotto a gesti terribilmente feroci contro avversari sul lavoro; mi guardava come carta igienica usata da poco da uno con la diarrea; non trovavo la forza di articolare parola; tutto era così smaccato che non potevo dire niente; mi consegnò, in un pacchetto infiocchettato, una confezione da oreficeria.
“Visto che hai una laurea in lettere classiche e che insegni latino, forse saprai che per i greci e per i romani gli xenia e gli apophoreta erano i regali che si offrivano agli ospiti che arrivavano e a quelli che partivano; quello che trovi in questa scatola è il mio regalo di addio; doveva essere l’anniversario del nostro matrimonio; avevo comprato un bracciale con la data di oggi per ricordare il decennale; a questo punto indicherà la data della nostra separazione.”
“Che significa?”
“Significa semplicemente che io vado via; il conto è stato saldato per tutta la durata del tuo soggiorno e per le corna che continuerai a farmi per tutto il tempo, come hai fatto negli ultimi cinque anni; non ti voglio più vedere … “
“Aspetta; non vuoi nemmeno parlare?”
“Parlerai con Giuliano, il mio amico avvocato divorzista; se accetterai la separazione consensuale, tutto finirà qui, corna e matrimonio; se opporrai resistenza, andremo in tribunale, scoppierà lo scandalo e ti farai carico di tutte le conseguenze. Addio!”
Non mi diede tempo di obiettare; uscì, andò verso il parcheggio e dopo poco lo vidi allontanarsi sulla strada innevata; guardai istupidita il pacchetto che mi aveva lasciato e mi folgorò la presa di coscienza che era l’anniversario del nostro matrimonio; il direttore dell’hotel mi si avvicinò e mi chiese se era confermato il tavolo per la cena particolare a due che era stato riservato; gli dissi che non era il caso e mi avviai mogia alla camera.
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