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Lui & Lei

Gli anfibi


di geniodirazza
24.02.2024    |    5.245    |    1 9.7
"“ “Fermati, amico caro; io non amo nessun altro che mio marito..."
Marzia, ventiseienne impiegata in un’agenzia di affari, andavo al lavoro più nera che mai; ero appena reduce da uno scontro con mio marito Gilberto, ventottenne operatore finanziario, col quale i rapporti si erano molto deteriorati negli ultimi mesi; sposati da pochi anni dopo un amore decennale, cominciato dagli anni universitari, avevamo avuto un breve periodo di grande amore costellato di momenti di felicità e di alta pulsione amorosa.
Anche sessualmente ci eravamo trovati benissimo e lui mi aveva largamente soddisfatta con la sua mazza di oltre venti centimetri per uno spessore notevole; avevamo scopato fino a tre volte al giorno, nei momenti di massima pressione del sesso; poi lui aveva cominciato a farsi prendere dagli impegni di lavoro, assai onerosi in verità, ed aveva progressivamente rallentato il ritmo della passione; la tensione nervosa si scaricava anche su sciocchezze ed avevamo cominciato a litigare.
Quella mattina una nuova polemica era sorta solo per una spesa voluttuaria che avevo fatto senza avvertirlo; economicamente, non eravamo a livelli di dovercene preoccupare eccessivamente; ma le parole erano andate oltre l’intenzione e lui era risultato aggressivo e improvvido; io non avevo accettato le scuse ed ero andata al lavoro decisa a fare qualcosa, qualunque cosa, per piegare l’arroganza di un marito che, atteggiandosi a maschio alfa, mi umiliava senza neppure rendersene conto.
La prima persona che incontrai fu Gianni, un collega coetaneo di mio marito che non smetteva di vantare in giro la sua mazza spropositata e fatta apposta per scopare senza un domani; più volte lo avevo respinto chiamando in causa la fedeltà coniugale e l’inutile millanteria; qualche curiosità mi aveva scatenato la continua insistenza di lui sulle dimensioni del cazzo; ma, fino a quel momento almeno, non avevo caricato di troppi significati l’atteggiamento provocatorio di lui.
Quasi per reazione alla mia stessa rabbia, sculettai alquanto, quando lo incrociai; lui si passò voluttuosamente le mai sull’enorme pacco e mi invitò tacitamente a sperimentare almeno una volta la sua possanza; per tutta la mattina ci scambiammo taciti messaggi lussuriosi restando comunque ai posti di lavoro non molto distanti; quasi a mezzogiorno avvertii un’indifferibile esigenza di vuotare la vescica; conclusi in fretta il foglio a cui lavoravo e mi diressi ai bagni.
Entrai in quello per le donne, orinai, mi lavai la figa con l’acqua dello sciacquone, mi asciugai con tovagliette di carta in dotazione, rimisi a posto slip e leggins ed uscii; nell’antibagno, mi fermai al lavandino per lavarmi le mani; notai che dalla porta aperta del bagno degli uomini si vedeva Gianni, davanti all’orinatoio, che non orinava ma si manipolava con gusto sensuale una mazza importante; tornai nella cabina del bagno e lasciai la porta aperta; lui sgattaiolò silenziosamente dentro e mi offrì in silenzio il cazzo duro.
Lo presi a due mani, una per i coglioni grossi e morbidi, e avviai una lenta e dolce masturbazione in cui sapevo di essere quasi una fata; guardavo con gioia il volto di lui stravolto in una smorfia di piacere; quando mi prese la nuca per piegare la bocca sul cazzo, lo respinsi con forza, significando con chiarezza che più di una sega non gli avrei concesso; lui spostò la mano sul culo, entrò nel leggins e nello slip, titillò un poco l’ano fremente e raggiunse il clitoride che prese a manipolare con gusto.
Ci sapeva fare, l’uomo, e mi trovai a godere molto mentre mi strizzava il clitoride e lo strofinava strappando sferzate di piacere; a quel punto avevo deciso che almeno una sega l’avrei fatta, per far abbassare la cresta al mio presuntuoso marito; se la masturbazione diventava reciproca, sarei stata anche più soddisfatta; non avevamo molto tempo, nel bagno che chiunque poteva reclamare; accelerammo il movimento di masturbazione e in pochi colpi sborrammo, lui contro il water, io sulle sue mani.
Quando uscimmo dal bagno, lui mi chiese se fosse stato solo un anticipo di quello che insieme potevamo fare; mi limitai ad un vago ‘chissà’ perché ancora non avevo chiaro dove volessi spingere la ribellione al tiranno; a casa, avrei parlato con mio marito e insieme avremmo trovato una via di uscita; in caso contrario, non mi sarebbe dispiaciuto avere una valvola di scarico delle tensioni e un percorso per rendere a mio marito difficile la presunta supremazia.
Il dubbio si acuì e divenne insopportabile quando, a fine giornata, ripresi la via di casa chiedendomi se dovessi davvero affrontare il chiarimento immediato con mio marito; il telefonino segnalò un messaggio in arrivo, proveniente da Gianni; fermai in un punto dove potevo agevolmente, aprii l’allegato e mi balzò in faccia il video della sega che avevo praticato nel bagno dell’ufficio; la didascalia fu ancora più intrigante.
“Il video per ricordarti un momento meraviglioso; credi davvero di poter rinunciare a raggiungere insieme il sublime?”
Mi passai una mano tra i capelli perplessa; proseguii verso casa e, appena entrata, aggredii con forza Gilberto avvertendolo che dovevo parlargli e non gli consentivo di interrompermi; per tutta risposta, lui, indispettito dal tono arrogante della dichiarazione, si ritirò nello studio e mi lasciò a rimuginare sugli errori, o colpe che fossero; conclusi, alla fine, che non meritava neppure il dialogo chi non mi consentiva di parlare liberamente.
Passarono solo pochi giorni e, per un nuovo ormai quotidiano litigio su questioni piccole, andai in ufficio nera come un cielo in tempesta; quando Gianni si avvicinò con intenzioni cortigiane, gli dissi semplicemente di non fare niente e di non dire niente in ufficio; fuori, se mai, avremmo parlato e, se se ne fossero presentate le opportunità, potevo anche prendere in considerazione l’ipotesi di dare un seguito alle premesse che si erano stabilite.
All’uscita, trovai Gianni che aspettava al cancello; mi disse di seguirlo; saremmo andati in un posto sicuro e avremmo valutato le possibilità di un incontro serio e positivo; mi accodai con l’auto alla sua e mi trovai in via Palestro, al 26, dove lui parcheggiò e mi indicò un posto libero lì a fianco; sistemai l’auto, scesi e mi avviai con lui a un portone; valutai che non sarebbe stato un incontro breve, qualunque fosse stato lo sviluppo della situazione; mandai a Gilberto un messaggio per avvertirlo che tardavo.
Salii con lui le scale fino al secondo piano e lo seguii quando lui aprì una porta ed entrò in un piccolo appartamento; mi spiegò brevemente che quello era il ritiro segreto; lì saremmo stati in pace e senza problemi il tempo che avremmo voluto; mi liberai del soprabito e della borsa; mentre ammiravo l’arredamento semplice ma di buon gusto avvertii che lui mi carezzava dolcemente e lussuriosamente il collo e le spalle, mi passava le mani sui seni e stringeva con dolce pressione i capezzoli.
Decisi che avrei saltato il fosso ed avrei scopato; mio marito, causa e colpevole della trasgressione, avrebbe dovuto solo pentirsi della sua arroganza se mai fosse venuto a conoscenza del tradimento che stavo commettendo; nemmeno per un attimo mi sfiorò l’idea che potesse inalberarsi fino a rompere il matrimonio; il sacramento doveva essere intangibile anche per lui; gli errori, che non potevano considerarsi colpe, sarebbero stati perdonati e dimenticati.
Su questa rasserenante convinzione mi girai nel lussurioso abbraccio di lui e lo baciai sulla bocca; succhiai e titillai a lungo le labbra e infilai la lingua fino all’ugola; intrecciammo un duello di lingue che ci faceva fremere di desiderio fino ad un orgasmo che evitammo per poco; i ventri si schiacciavano l’uno contro l’altro e i sessi si stimolavano; sentii presto tra le cosce, contro la figa, da sopra i vestiti, la bella mazza da cui mi aspettavo molti piaceri.
Mi ero stesa sul letto e lo aspettai ansiosa; si liberò in fretta degli abiti e salì accanto a me; mi sfilò il reggiseno e fece esplodere al cielo un seno meraviglioso, ritto come pietra e soffice come panna; si piegò a leccare le carnose mammelle e le tormentò a lungo con mani e bocca, assaporandone il gusto come se assaggiasse un dolce particolare; osservò compiaciuto che i capezzoli, piccoli e rosei, mostravano di non avere allattato, segno che non avevo avuto maternità; pregustò una vagina stretta, soprattutto per la sua mazza notevole; succhiò i capezzoli, uno per volta, e mi sentì gemere di goduria e lanciare piccoli urli quando ne stringeva uno tra i denti.
Si perse per un poco sul seno meraviglioso e succhiò come per poppare latte vitale; ne ricavò solo un piacere infinito che lo portò vicino all’orgasmo; scese con la lingua e con le dita lungo il ventre piatto, teso, morbido e attraente come calamita; giunto al perizoma, tirò giù i laccetti liberandolo dalle tumide grandi labbra e dalle natiche che lo imprigionavano, si spostò verso i piedi e si chinò a baciare la figa.
Cominciò a leccare l’interno della coscia da sopra il ginocchio e arrivò lentamente alle grandi labbra; le catturò nella bocca e poi tra i denti, prima una poi l’altra, gioendo ad ascoltare i gemiti di languore che sfuggivano dal petto ansante; infilò la lingua fino a far aprire il fiore delle piccole labbra e lambì dolcemente il clitoride; la mia mano gli artigliò la testa e la spinse con forza sul pube rasato; succhiò con forza, prese tra i denti il piccolo fallo emergente e lo tormentò.
Gemevo come il suono di una sirena e mi abbandonavo al piacere che lui sapeva darmi con la bocca, la lingua e i denti; dopo il terzo orgasmo consecutivo che mi privò di energie, mi sollevai a sedere, lo spinsi supino sul letto e mi gettai quasi affamata sulla mazza che si levava imponente al cielo; la mia piccola bocca si aprì in una sorta di nuova voragine ed ingoiò la cappella che leccai a lungo, tenendola nella cavità orale.
Ci sapevo fare e tenevo tra le mani l’asta fuori dalle labbra, regolando la penetrazione; bastò un terzo della mazza per raggiungere il velopendulo; ma ero abituata alle fellazioni ardite di mio marito, quindi non mi spaventai quando ne fece entrare ancora una buona parte, mentre mandavo su e giù la testa pompando con forza il sesso in gola; lui dovette frenarmi per non arrivare ad un orgasmo che ne poteva inibire le funzioni, almeno temporaneamente; voleva copulare a lungo e con gusto.
Dopo che ci fummo sollazzati ampiamente con bocche, mani e sessi, mi disposi carponi sul letto, invitandolo implicitamente a prendermi da dietro; si accosciò alle spalle e passò devotamente la lingua, a larghe spatolate, su tutta la superficie, dall’ano alla vagina, strappandomi intensi brividi e gemiti; penetrò più volte con la punta nel canale vaginale, cedevole ed ampio, e nell’ano che rilassava progressivamente le grinze per aprirsi a una prevedibile penetrazione.
Quando sentì che colavo umori di orgasmo, puntò decisamente il fallo all’ingresso della vagina, afferrò da dietro i seni e, facendo forza su di essi, spinse l’asta fino in fondo, colpendo con vigore la cervice dell’utero; lanciai un piccolo urlo; poi i muscoli vaginali abbracciarono il fallo e aiutarono il movimento di vai e vieni; la libidine che travolse Gianni fu di quelle che raramente si dimenticano; mi montò selvaggiamente a lungo, frenandosi spesso per non eiaculare.
Quandomi sentì rilassarmi perché ‘ultimo orgasmo era stato enorme, sfilò dolcemente l’asta dalla vagina, spazzolò con la punta lungamente il perineo, raccolse gli umori che l’orgasmo aveva scaricato e spostò l’asta all’ano; afferrò di nuovo i seni per fare forza e spinse; lo fermai con un gesto quando lo sfintere reagì con forza; poi mi rilassai e fui io stessa a spingere indietro il sedere, penetrandomi fino in fondo; i testicoli picchiarono sulla vulva e fui certa di averlo tutto dentro.
Ci meravigliammo entrambi che il retto avesse accolto una mazza così dura e possente fino all’intestino; la sentii anche nello stomaco, perché tutto il pacco addominale fu spinto in avanti; ma il piacere che mi dava il fallo che scivolava nel ventre era sublime; lui si perse felice nelle sensazioni di estrema voluttà che gli dava il canale rettale stretto intorno all’asta a sollecitare tutte le fibre dell’organo che vibrava riempiendolo di gioia.
Mi cavalcò a lungo così aggrappato ai seni e spingendo con voglia e con forza; picchiava e penetrava fino a che i testicoli quasi forzavano la vagina; avevo infilato una mano fra le cosce e li accarezzavo lussuriosamente, usandoli per strofinare il clitoride libidinosamente; poi lui estraeva l’asta lentamente, fin quasi a farla uscire, e seguiva con gli occhi la violenza su quell’ano spanato che la mazza dilatava spropositatamente; il piacere visivo si accompagnava a quello tattile.
Finché, con un ultimo violento colpo, affondò fino all’inguine nel sedere spalancato e sparò uno tsunami di sperma direttamente nell’intestino; accolsi con goduria ed urla di piacere i singoli spruzzi che si perdevano nel ventre; delicatamente, lui accompagnò la riduzione del sesso finché, barzotto, lo sfilò garbatamente dall’ano; si sdraiò bocconi sul letto e lo seguii stendendomi accanto.
Fu la scopata più bella che ricordassi; quando tornai a casa, ero ancora presa dal fascino di quel pomeriggio; a mio marito non dissi una parola, anche perché il piacere provato mi induceva a ripetere l’esperienza; se guerra ci doveva essere, che almeno mi fruttasse qualche battaglia vinta; per oltre un mese ci recammo puntualmente alla sua garconnière e glissai su tutte le domande di Gilberto, anche se mi appariva chiaro che fosse bene informato sulle mie mosse; finché affrontò lui la questione.
“Marzia, posso anche capire che abbia tanto lavoro straordinario da fare, chissà perché solo il mercoledì; quello che non capisco è che cosa ci sia a via Palestro 26 dove ogni settimana vai e ti fermi fino a sera tardi; lo dice il GPS della tua macchina che non mente; quello che capisco ancora meno è il video con una sega che hai fatto a un tuo collega; è sul tuo telefonino e per caso mi è stato spedito da qualcuno che ha libero accesso al tuo cellulare; pensi di poter essere sincera o devo solo accettare le corna?”
Capii che non avevo scampo; confessai che avevo fatto la sega a un collega che si vantava di avere una grossa mazza; era stato solo un capriccio stupido da bambina; lui però aveva usato il video per ricattarmi e chiedere di di far sesso; per questo, ogni mercoledì andavamo in un appartamento e ci passavamo ore a scopare come scimmie; non intendevo affatto fare le corna e potevo solo chiedergli comprensione e pazienza.
Come avrei facilmente scommesso, ingoiò amaro; si chiuse nello studio e per un paio di settimane non mi rivolse nemmeno una sillaba; diventammo due estranei e presi atto che puntualmente usciva la sera e spesso non lo rivedevo che la mattina seguente; non sapevo se passasse le notti con un’altra o se si chiudesse, quando tornava a notte fonda, nello studio e vi dormisse senza neppure cambiare le lenzuola; me ne disinteressai, lo mandai al diavolo e continuai a scopare settimanalmente.
Quel mercoledì sera eravamo particolarmente gasati ed euforici forse perché ci eravamo fermati al bar coi colleghi ed avevamo bevuto più di un aperitivo alcoolico; entrati nella garconnière, ci fermammo a baciarci con immensa passione nel piccolo ingresso; Gianni si avventurò in una serie di commenti aspri ed offensivi contro Gilberto, stigmatizzandone l’incapacità di reagire anche dopo che aveva avuto notizie chiare delle corna che gli facevamo; gli diedi spago e caricai le offese.
Di colpo si accesero le luci nel salotto e ci apparvero due figure; lui riconobbe sua moglie e io mio marito.
“Lucilla, che ci fai qui, e questo tipo chi diavolo è?”
“Stronzo, questo è il mio appartamento; tu sei solo un ospite sgradito e non ci entrerai mai più; questo signore lo conosci benissimo; è Gilberto Trini, ti ricorda qualcosa? E’ venuto a saldare il conto che lasciasti aperto l’anno della maturità ... “
“Oh, mio dio, ancora la terribile giustizia!?!?”
“Gil, cosa ci fai qui?”
“Non hai sentito? Vengo a chiudere due conti, uno di violenza gratuita aperto una decina di anni fa ed uno di slealtà, menzogna e tradimento consumati in questa casa negli ultimi mesi da una puttana che avevo sposato ingenuamente!”
“Povera Marzia bambina non cresciuta! Si vede che non ricordi, perché eri in prima Liceo e le cose ti sfioravano da lontano, imbecille come eri; adesso ti rinfresco la memoria e forse capirai anche in che guaio vi siete cacciati ... deficiente, tu vatti a cambiare mutande e pantaloni ... non vedi che ti stai pisciando addosso dalla paura, perché sai che razza di conto devi pagare?”
“Perché tuo marito si sta pisciando addosso davanti al mio?”
“Cara la mia incosciente stupida bambina, tu non hai memoria perché non sapevi i fatti; nel nostro liceo c’era una banda di bulli, capitanata dal più straordinario tra gli studenti, un certo Gilberto Trini, che dopo hai conosciuto bene, a quel che vedo; questi ragazzi si erano autoproclamati ‘Terribili’ e massacravano tutti quelli che a loro opinione contravvenivano le norme della correttezza specialmente con noi ragazze; il tuo amante mi violentò una sera, perché ero innamorata di Gilberto e lui ne era geloso.
Quando lo seppe il mio dolce amico chiese immediatamente ai suoi compagni di applicare la ‘giustizia terribile’, che prevedeva, in quei casi, calci con gli anfibi ai piedi; se non lo sai erano scarpe pesantissime, da militari per percorsi difficili, che si dovevano ammorbidire con grasso e lucidare continuamente; chi era preso a calci da loro spesso finiva all’ospedale; se non fossi intervenuta io appellandomi all’amore per me per salvarlo, quest’imbecille sarebbe finito male.”
“Li conosce, Lucilla; i miei anfibi sono ancora in casa, come cimeli; le piacciono molto e li cura amorosamente, l’imbecille, perché non sa che un ragazzo è andato in coma, per i calci ricevuti.”
“Quindi, ti sei portato fino a qui il ricordo della tua violenza?
“Ringrazia iddio che non te l’ho fatta assaggiare dal vivo, quella violenza; anche le ragazze subivano la stessa punizione se si comportavano male; tu finora se rimasta impunita; se te ne vai senza problemi, lo fai con le tue gambe; se pensi di offendermi ancora come facevi pochi minuti fa col tuo ganzo, non credo che la passerai liscia .. “
“Per caso mi stai minacciando?”
“Dio me ne scampi; io non muoverò un dito, non l’ho mai fatto; anzi, lo feci una sola volta e poi decidemmo di smettere perché eravamo andati troppo oltre; ma i miei compagni sono ancora vivi, forti e incazzati contro chi mi ha offeso gravemente ... “
“Che significa andarmene senza problemi?”
“Vai da da Giorgio il nostro amico avvocato che già ha tutto pronto, firmi per una separazione senza oneri per nessuno e sparisci nelle nebbie delle tue scopate; se però continui a volermi offendere, non percorrerò più le vie legali e te ne andrai per altri percorsi e con altri mezzi ... “
“Quindi, andarmene o essere massacrata sono queste le alternative che mi proponi? E di parlare, chiarirci e assumerci responsabilità e colpe? Non è anche questa un’opzione praticabile?”
“Lo sarebbe stata, se non ci avessi messo in mezzo una certa sega e delle scopate successive, fino a quella di stasera che vi è andata di traverso, senza contare le bugie dette prima e altre bugie dette dopo, per coprire le prime; dopo gli sgarri puoi solo pagare le colpe ... “
“Insomma, si deve cedere alla tua indole violenta!”
“Gil, bada che tua moglie vuole farti scoppiare finché non la malmeni e vai in galera!”
“Lucilla, lo so bene! Verresti a cena con me, stasera?”
“Solo se mi garantisci anche un dopocena al fulmicotone
Gilberto stava telefonando a qualcuno.
“Ciao, Nico, sono Gil! ... Ciao, vecchia volpe, come stai? E gli altri? Tutti bene!? Ascolta ho delle novità importanti per tutti ... Ti ricordi di Gianni Rossi, lo stronzo che violentò Lucilla? ... Si si, il mio grande amore del liceo; lei poi l’ha sposato ... ‘matrimonio riparatore’ si chiamava; ... si ma adesso l’imbecille l’ha fatta ancora più grossa; si è scopato mia moglie Marzia ... No, stavolta Lucilla non intercede per lui ... ve la sentite di riprendere gli anfibi? ... Quando, dove e come volete; in certi limiti, però ... Okay .. ci sentiamo tutti insieme e andiamo a bere qualche birra ... Bene, aspetto vostre notizie. Ciao”
Gianni sta tremando.
“Lucilla, hai sentito; quelli adesso mi massacrano!”
“E ti sta bene; il peggio è che non saprai né come né quando; sai solo che succederà e stavolta nessuno ti aiuterà ... “
Sono strabiliata; stanno succedendo cose che per me sono di un’altra galassia.
“Gil, che discorsi sono questi? Stai organizzando una spedizione punitiva per qualche scopata?”
“No, per mettere a posto definitivamente un vecchio conto aperto ... “
“Ma ora Lucilla è sua moglie e io ci ho scopato solo poche volte ... “
“Marzia, da donna a donna; tu non sai neppure cosa è l’amore; è una fiamma distruttiva o illuminante e riscaldante; sei nata e cresciuta in città, non sai cosa può fare un camino acceso; consuma tutta la legna e la riduce in cenere; quando sei convinta che è morto, scopri che sotto la cenere c’è ancora fuoco vivo; basta una sollecitazione e riprende vigore con nuova legna; l’amore è proprio così; non conta se sia scoppiato ieri o dieci anni fa; anche dopo anni puoi scoprire che vive sotto la cenere.
Una troia ed un maiale hanno stuzzicato la cenere di un grande amore di dieci anni fa; potresti scoprire che è ancora vivo e che proprio averlo mosso l’ha fatto esplodere di nuovo; io non sono certa di essere ancora innamorata di Gilberto; da amica, lo incontrerò a cena e, se saremo spinti a farlo, faremo l’amore, ma non per una botta occasionale come avete fatto voi; lo faremo per amore e non ci sarà molto per gli altri; se è morto, riposi in pace e sia amicizia; se è vivo non sarai tu a frenarci.”
“Gil, hai proprio intenzione di ricucire un antico amore e distruggere il nostro?”
“Signora cara, in non sono innamorato, come lei, di nessun Gianni ... “
“Fermati, amico caro; io non amo nessun altro che mio marito ... “
“Quello che tradisci metodicamente, che definisci, come hai fatto poco fa in braccio al tuo amante, cornuto, frocio, impotente, poco dotato, schiavo delle vostre scopate ...?
“Ho fatto molte sciocchezze e ne ho detto altrettante o peggio, ma non sono innamorata di nessun Gianni; l’amore non si tocca!”
“Ah, capisco; all’amante il piacere, all’amato le corna ... !”
“Lucilla se davvero hai provato amore per Gilberto, aiutami a spiegare che la stupidaggine di una ragazzina non è offesa; è imbecillità, è assurdo, è tutto il peggio che vuoi ma è solo un gioco male interpretato; non c’era volontà di dolo nella mia cretinità; ti prego, aiutami a convincerlo ... !“
“Marzia, dieci anni fa mi convinsi a indurre l’uomo che amavo a perdonare l’offesa di uno stupratore imbecille; ho già dato troppo, sul versante della generosità; se credi di poter convincere tuo marito che hai scopato senza ledere il suo orgoglio, fai pure; io non ti credo; preferisco verificare se c’è ancora amore tra me e lui; poi sceglierò il percorso ... “
“Gil, ti prego, non mi lasciare sola ... “
“Hai paura di perdere la gallina dalle uova d’oro?”
“No; ho paura di avere rotto un oggetto prezioso e vorrei che tu mi aiutassi a recuperarlo; non conta il prezzo; innamorati di Lucilla, amala come se aveste diciott’anni, giovani e liberi; ma non lasciarmi sola e non minacciare la mia vita; ho paura, del dolore e della solitudine; ho sbagliato ed ho perseverato nell’errore, ma tu sei magnanimo e generoso, lo so; il Gilberto vendicativo e spietato appartiene al tuo passato, non è mai apparso nella nostra vita ... ti prego ... “
“Lucilla, preparati e andiamo a cena; a tavola verificheremo se la nostra è amicizia che dura o amore che riemerge; solo dopo decideremo che fare con un maiale che aspetta solo di essere messo allo spiedo e con una ragazzina smaniosa di andare a giocare con qualche sex toy; il divorzio è ancora tra i tabù della mia cultura e preferirei evitarlo; ma nella stessa cultura le corna pesano molto e reclamano vendetta e sangue; vogliamo andare, amore bello degli anni migliori?”
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