Prime Esperienze

Emanuele 1.0


di honeybear
04.01.2015    |    14.037    |    1 7.8
"Arriva invece la dolce carezza della sua mano che sfiora prima il pelo pubico, allungandosi sull’erezione per poi scendere lungo le cosce inguainate dalle..."
Sto facendo la doccia.
La assaporo come l'ultimo momento di libertà prima dell'incontro con il Padrone.
Ancora non so esattamente cosa significhi aver risposto a quell’sms.
L'acqua scende bollente lungo il mio corpo, percorso da brividi che immaginavo di freddo e invece sono di paura ed eccitazione. Già perché finalmente oggi l’arcano sarà svelato… Oggi credo che scoprirò cosa significhi essere uno schiavo sottomesso.
E pensare che le mie conoscenze in materia si fermano a quanto appreso dai libri di storia… Guardo verso il basso: il mio cazzo oscilla ritmicamente. Su, giù, su, giù comandato dagli impulsi che il mio cervello gl’invia…
Appoggio una mano sull’asta bagnata e la lascio partire.
Il vapore acqueo si addensa nel bagno, creando l'effetto nebbia che tante volte mi ha rilassato ed accompagnato nell’indugiare in quelle prolungate carezze sul mio membro. Lo smanetto lentamente; lascio che il filetto del frenulo si tenda fino a farmi male… Fin quasi a staccarsi.
‘Aaahhh… - mi mordo un labbro – Mi farà male anche lui?’ non posso fare a meno di domandarmelo.
Sospiro sommessamente pensando al mio sorriso di arrogante spavalderia quando mi allontanai dallo studio dopo l’ultimo incontro con Alberto. I fiotti di sborra schizzano fin quasi a coprirmi il petto.
Reclino la testa sbuffando e ben sapendo di non potermi attardare ancora: il Padrone aspetta, devo essere assolutamente puntuale.
Mi sciacquo velocemente. Chiudo il rubinetto della doccia, afferro l'accappatoio ed inizio ad asciugarmi meccanicamente, lasciando che la mia mente continui a fantasticare sull'incontro con colui che, per le prossime ore, sarà il proprietario del mio corpo.
Ho ancora i capelli umidi quando esco dal bagno e mi dirigo verso il letto dove sono preparati i vestiti con cui il Padrone vuole che mi presenti a lui. Me li ha fatti recapitare in piscina.

“Ehi Lele, c’è posta per te!” mi dice il coach subito prima dell’allenamento.
Il pacchetto che mi fa ballonzolare davanti è assolutamente anonimo ed incartato con la classica carta da pacchi.
“Dai aprilo… - i miei compagni di squadra sono curiosissimi - …Facci vedere cosa c’è dentro!”
‘Scommetto che anche questa mossa è calcolata, come lo sarà tutto il resto… – mi soffermo a pensare mentre sollevo lo sguardo e mi sembra di scorgerlo nella marea di teste che affollano il vetro che separa le tribune dalla vasca – Vuole mettermi alla prova…’
“No ragazzi, non posso aprirlo… Non… Non è per me... - la prima fragile balla che mi viene in mente è questa - …Anzi ora vado negli spogliatoi a metterlo nella borsa!”
Chiuso in una delle cabine a rotazione, scarto l’involucro con impazienza. All’interno, una serie di indumenti ed un biglietto. Che dice: ‘Questi l’indosserai per i nostri incontri. Ora devi usare solo l’oggetto di lattice. Lo terrai per tutta la durata dell’allenamento…’ e mi ritrovo a rigirare tra le mani un plug anale, di discrete dimensioni, che mi ricorda un obelisco.
Lo accarezzo. Lo annuso. Lo lecco per lubrificarlo; poi mi accorgo che lui ha provveduto anche a fornirmi di quello.
Mi abbasso il costume, appoggio un piede sulla panca piegando una gamba, e punto la cappella gommosa sul mio buchetto. La lascio entrare lentamente, assaporando ogni singolo momento di piacere e dolore, che la penetrazione mi regala.
‘Ecco, è entrato tutto…’ spingo e tiro per assicurarmi che non si veda nulla prima di rimettermi il costume. Mi do un’ultima controllata negli specchi dello spogliatoio e sono pronto ad allenarmi accolto dagli insulti del coach per il troppo tempo impiegato.

Sorrido ripensando all’episodio mentre faccio scivolare le autoreggenti lungo le mie gambe (che non ha voluto mi depilassi), appoggiando la punta del mio piede alla sponda del letto.
Mi chiedo per quante altre volte ripeterò questo e gli altri gesti. Prendo poi la corda bianca che spicca contro il pizzo nero della guepière su cui è appoggiata e, dopo aver infilato lo scorsoio nello scroto, stringo.
Tanto. Da farmi male, ha specificato nel messaggio vocale.
La avvolgo con un serie di giri che hanno l’effetto di allungare il mio sacchetto peloso: trattengo il respiro per abituarmi alla sensazione di tensione indotto. Continuo l’immobilizzazione della mia zona pubica, facendo passare la cima nel solco delle mie chiappe e con un doppio giro intorno ai fianchi la stringo tesa tra le mie gambe, serrata in modo che pizzichi là dietro e mi provochi un intollerabile fastidio davanti.
Mi fascio il busto con la guepiere da cui sono state eliminate le coppe. Osservo nello specchio la mia immagine: mi accarezzo il petto peloso, titillandomi i capezzoli (sono già turgidi) e lascio scorrere le dita fino ai ganci che fisso alle calze.
Tutto ciò sarà il mio intimo, non è previsto altro.
Lascio ondeggiare il capo ravviando i capelli che si stanno asciugando e non posso fare a meno di prendermi in giro: l’immagine che restituita ricorda quella ben più nota del Dr. Frank-N-Furter del Rocky Horror...
Termino di vestirmi pescando dall’armadio quanto di più attillato posseggo e me l’infilo. Il risultato è che la maglietta scelta è così aderente da disegnarmi perfettamente i pettorali al cui centro i capezzoli spingono eccitati contro il tessuto.
Torno in bagno per terminare di asciugare i capelli lasciandoli ricadere morbidi lungo le spalle.
‘Ti concedo solo un tocco di gel. - diceva il messaggio; per poi continuare con – E non dimenticarti il cappello’.
Sì, Padrone.
Penso a ciò che mi direbbero i miei se sapessero in cosa mi sono invischiato. Eppure non me ne importa più di tanto: credo che, se l’esperienza si rivelasse spaventosamente eccitante, il problema sarà di non riuscire a smettere.
“Allora ci vediamo domenica sera! – sono stato con lui. Lunedì ho i corsi in università e non si discute. L’sms di risposta è stato un laconico ok ottenuto dopo ore di snervante attesa – Non preoccupatevi per la cena: in qualche modo mi arrangio” saluto così i miei genitori e salgo in ascensore per risistemarmi in testa il cappello di cuoio che per pudore ed imbarazzo mi sono levato. Salgo in macchina per dirigermi all’indirizzo designato. La casa dove il Padrone mi ha dato appuntamento non dista molto da dove abito: una manciata di minuti e sarò da lui.
Guardo l’orologio: mi sembra di essere in perfetto orario (dopo devo ricordarmi di levarlo).
Non posso non notare come tutti, affiancandomi al semaforo rosso, gettino almeno un'occhiata di traverso, o uno sguardo fisso e indagatore, al mio viso, ai miei contorcimenti (la corda nel culo prude maledettamente; per non parlare delle mie povere palle!!), al mio cappello e ai miei guanti in cuoio. Ognuno credo immagini una storia più o meno diversa. E più o meno perversa.
Con un certo stupore, realizzo che non mi spiace sentirmi osservato. Ed osservare a mia volta il modo strano con cui la gente inizia a fantasticare non appena incontra qualcosa che non si adegua ai canoni di ciò che siamo abituati a vedere quotidianamente.
Quello che i miei osservatori non conosceranno mai è ciò che si agita in me: il tumulto, l’eccitazione crescente e costante che mi pervade, aggravata, ribadisco, dal pizzicore dei miei peli lunghi sulla seta dei collant e da quel pezzo di corda che mi uccide i coglioni, mi taglia in due il culo e mi stringe terribilmente.
Con uno sforzo titanico cerco di allontanare dalla mente quei pensieri e quelle sensazioni, concentrandomi sulla strada. Mi lascio distrarre dal susseguirsi di palazzi e vetrine che non avrei mai creduto potessero distrarre i miei pensieri, calmare il fuoco che c'è nei miei polmoni e che avvampa fino giù alla pancia e ancora più sotto.
Arrivo a destinazione. Parcheggio dove indicatomi. Scendo e, senza rendermene conto, affretto il passo. Non è la paura di essere visto o riconosciuto, non è l’imbarazzo per i giudizi della gente. È semplicemente voglia… Voglia di arrivare dal Padrone.
Sono davanti al portone del palazzo, spingo la porta in ferro battuto e vetri finemente lavorati che comunica, da sola, l'austerità dell'intero palazzo e, non appena dentro, incrocio lo sguardo del portiere seduto dietro al suo tavolo intento a leggere l'odierna copia del quotidiano locale.
Mi sorride bonario dandomi le indicazioni richieste. Dentro di me non posso non chiedermi se sa chi sono e cosa sono lì a fare. Forse mi starà giudicando né più né meno di ciò che ha già fatto e farà il resto del mondo a partire dal momento in cui ho iniziato a guidare sin qui.
Immerso in questi pensieri, salgo le scale e mi pongo davanti alla porta dell'appartamento: do i due squilli convenuti ponendomi in attesa davanti alla porta chiusa a un palmo dal mio naso.
Non passa nessuno, ma anche se fosse, non avrei il permesso di muovere un muscolo; dovrei restare immobile quasi contro la porta, a fissarne le modanature in legno, senza poter osservare l'eventuale inquilino che, transitando per le scale, finisse per imbattersi nella mia persona.
Sono quasi cinque minuti che aspetto. I cinque minuti che devono passare per ricordarmi che tutto dipende da Lui, dal Padrone, anche il semplice gesto di varcare la Sua soglia.
Poi, finalmente, il rumore della serratura che si sblocca; lui apre la pesante porta blindata e io gli offro il mio sorriso timido. In un attimo la porta si spalanca e ora lui è davanti a me: lo saluto con un filo di voce, quasi balbettando.
"Dentro schiavo!!." è il suo primo comando sferzante.
Muovo due passi, varco la soglia, supero il Padrone che richiude la porta d'ingresso e mi fermo immobile, senza voltarmi, con lo sguardo sul corridoio.
"Ispezione schiavo" è il suo secondo comando.
Immediatamente allargo le gambe, intreccio le dita dietro la nuca tenendo i gomiti allargati il più possibile.
Le abili mani di Alberto, mi slacciano ed abbassano i pantaloni liberandomi delle scarpe. Mi fa inclinare il busto. La corda tira, ma è nulla in confronto alla spinta decisa che ricevo sulla schiena per farmi piegare a novanta. Gemo di dolore per la tensione che aumenta insopportabilmente tra le mia labbra, sul mio sesso, quasi volesse strapparmelo dal resto del corpo.
Non mi rilasso nemmeno quando sento il suo respiro leggero soffiare sulle mie natiche pelose. Resisto alla sensazione di solletico. Devo rimanere inerme. Anche mentre sento la sua mano armeggiare con la corda tra le mie natiche o tirarmi ulteriormente verso il basso le palle legate per poi giocarci come fossero il batacchio di una campana e risalire lungo la mia asta dura, fino alla cappella che già gronda dei miei umori. L'altra, per non essere da meno, ha invece iniziato ad accarezzarmi e frugarmi sotto la maglietta per verificare se i suoi ordini sono stati perfettamente eseguiti e se il mio stato di eccitazione è ulteriormente evidente.
“Mmmm… - resto immobile. Sospeso - …Mmm…” Sembra compiaciuto del mio impegno. Mi tira per i capelli per farmi riguadagnare la posizione eretta e preme le dita, abbondantemente condite dei miei umori, contro le mie labbra che si dischiudono facendole passare facimente.
Tengo la mandibola rilassata e lascio che spalmi il mio liquido prespermatico un po’ ovuqnue all’interno del mio cavo orale. Mi pizzica la lingua, sposta le dita lungo il palato, mi abbassa le labbra per ispezionare i denti, le tira e scopre il mio frenulo, fino ad obbligarmi a seguirne la trazione e ad alzare la testa.
Il trattamento riservato mi provoca un dolore atroce, ma non emetto un suono.
Il rito d’ispezione si conclude dopo che il Padrone mi leva guanti e cappello per spogliarmi della maglietta. Mi accarezza il folto pelo e mi pizzica e contorce i capezzoli per poi rilassarsi e darmi un lungo bacio mentre mi avvinghia a sé.
Timidamente gli sorrido, felice per il fatto che evidentemente non l’ho deluso.
Mi conduce davanti ad una porta: “Prima di avere il privilegio di servirmi come oggetto di piacere – inizia a spiegarmi mentre gira la maniglia per aprire - avrai davanti un intero pomeriggio di pulizie. Tra poco esco: devo fare un salto in studio ed un paio d’altre commissioni… Anche se in effetti non è affar tuo come impiego il mio tempo!”
Trasalgo spaventato! Un intero pomeriggio di pulizie… Evidentemente concedersi in schiavitù a qualcuno presuppone anche questo… Ed io sono una frana con le faccende domestiche!!
Dopo avermi indicato, all’interno dello sgabuzzino, dove trovare il necessario per pulire ed avermi imposto d’indossare un paio di guanti neri di lattice, si diverte ad osservarmi mentre in preda al panico, sculetto come un ossesso, cercando di darmi da fare con il piumino della polvere.
Devo cercare di controllare il nervosismo che mi assale.
‘Respira – mi ripeto – respira!!’ Ecco… Così va meglio… E, mentre piegato praticamente a novanta, passo il panno sul tavolino di cristallo davanti a lui, sento prima una carezza virile sulla mia chiappa e subito dopo lo schiocco dovuto alla sculacciata. Poi torna nuovamente a sprofondarsi nei documenti che sta esaminando.
Finalmente esce.
“Al mio rientro dovrai farti trovare qui! – indica un punto preciso dell’ingresso - In ginocchio, sguardo fisso alla porta, mani sempre dietro la nuca! Niente guanti!”
“Sì...”
“Sì cosa?”
“Sì padrone!”
Al suo rientro, quasi come fossi un pezzo dell’arredo, mi scavalca e, appoggiata la sua ventiquatt’ore, inizia ad ispezionare tutta la casa.
Io resto immobile e fremo, in attesa del responso.
"Alzati schiavo" sento la sua voce alle mie spalle. Senza ulteriori ordini, lo sento sciogliere il nodo della corda che mi cinge i fianchi. Non mi libera completamente ma, creando una seria di nodi, imprigiona il mio uccello barzotto in una specie di gabbia. Sono rapito dalla sicurezza e dalla delicatezza con cui gli vedo creare tutti i nodi con cui annoda la corda in esubero attorno alle mie cosce.
Qualcosa mi apre il culo: è un plug. Diverso da quello che mi obbligò ad indossare in piscina. Sembra una specie di coda…
Ma non riesco a vederlo. E nemmeno a ragionare su quanto mi sta accadendo perché a quel punto sento il dolore atroce che mi trapassa il cervello da parte a parte: una specie di trappola per topi mi ha attanagliato i coglioni. Poi un’altra. E una terza… Tintinnano mentre penzolano tra i miei peli.
Soffoco una lacrima. Deglutisco e cerco di recuperare il respiro.
Fortunatamente il Padrone mi lascia tutto il tempo che mi è necessario a riprendermi.
Se ne va in un’altra stanza. Quando torna indossa semplicemente un paio di attillatissimi pantaloni in pelle racchiusi nel paio di stivali neri che gli ho lucidato alla perfezione… Con uno spazzolino da denti!
Le mani dietro la schiena, lo sguardo pieno di scherno: “Ho un regalo per te. Anzi più di uno…” e così dicendo mi passa il rigido collare in cuoio intorno al collo. Lo stringe in modo che aderisca perfettamente, inducendomi quel senso di leggera oppressione sulla gola che sembra fatto apposta per ricordarmi che anche l'aria che respiro mi è concessa da Lui.
Al collare si accompagnano le polsiere, le cavigliere e il guinzaglio che si aggancia con un ‘clic’ all'anello del mio collare e che mi obbliga a seguirlo non appena il Padrone dà uno strattone.
È così che mi sistema lì…
"Ora sei appeso al centro di quella che io chiamo la sala giochi… - le mie braccia sollevate, con i due braccialetti in cuoio che m’imprigionano alla catena penzolante dal soffitto; le gambe divaricate con piedi anch’essi incatenati eppur sospesi. Completano il quadro, il collare rigidamente stretto intorno al mio collo e le dannate trappole che spingono i miei coglioni verso il basso procurandomi un misto di dolore ed estasi – Col tempo imparerai ad apprezzarla...”
Poi, inaspettatamente, un bacio. Profondo. La sua lingua, le sue labbra finalmente… Sostituite troppo presto dalla ballgag che si fissa saldamente tra i miei denti.
Anche la sua vista mi viene preclusa: il foulard nero cala sui miei occhi, avvolgendoli nell'oscurità più completa, prima di fissarsi con doppio un nodo che il Padrone ha volutamente serrato forte, dietro la nuca.
“Davvero uno splendido lavoro, schiavo… - mi accarezza il corpo e l'anima. Provo a sorridere, ma non posso fare altro che ascoltare, mentre sento qualcosa di freddo scivolarmi lungo il corpo e stuzzicarmi l’uccello: sento il cazzo pulsare ed un brivido di piacere e paura mi corre lungo la schiena - Un buon inizio non c’è che dire…”
La prima scudisciata, sulla mia natica sinistra, arriva improvvisa e mi fa sobbalzare, risvegliandomi quasi dal torpore che l'eccitazione della situazione ha prodotto sino a quel momento. Ora sento tutto il dolore che i miei strumenti di tortura mi provocano: vorrei distendermi, allungarmi ma non posso. Il male che sento si propaga in ogni centimetro delle mie membra. Mi batte addirittura in testa… Accanto all’eccitazione che quel gioco stuzzicante e crudele mi sta procurando.
Sono in tensione: mi aspetto la seconda scudisciata da un momento all'altro; con i denti serro saldamente la pallina che mi riempie la bocca.
Arriva invece la dolce carezza della sua mano che sfiora prima il pelo pubico, allungandosi sull’erezione per poi scendere lungo le cosce inguainate dalle calze e terminare sulla natica appena colpita, donandomi un istante, solo uno, di sollievo.
Dura poco: la seconda scudisciata, se possibile, è anche più dura e violenta della prima e l'altra natica mi va a fuoco in meno di un attimo.
Sobbalzo facendo tintinnare le catene alle quali sono appeso e gemo. Un urlo strozzato da quella specie di museruola. Questa volta è dolore puro quello che attraversa la mia spina dorsale proiettandosi nel cervello.
I successivi sei colpi sono della stessa intensità e agitano un corpo (ma è ancora il mio corpo?) che non riesco più a controllare. Le mie sensazioni sono solo l'obnubilamento provocato dal dolore insistente e sempre rinnovato che mi squassa il cervello (ma è ancora il mio cervello?).
Mi sforzo di non piangere. Ma le lacrime scorrono libere asciugandosi nella benda e sento il sudore imperlarmi completamente il corpo.
“È cosa a cui ti dovrai abituare… – mi rimbrotta severamente. Le mie mascelle serrate nella sua mano; il suo viso ad un millimetro dal mio - …Attendere così, appeso, il piacere al termine della punizione e piangere di dolore per il severo castigo che il Padrone ti ha appena impartito. – percepisco che mi sta girando intorno brandendo il frustino con cui non manca di lisciarmi - Hai lavorato perfettamente durante il pomeriggio, è indubbio… Ma questo – e parte un’altra scudisciata; poi un’altra - serva a ricordarti che sei uno schiavo ora e che il compiacimento si paga ugualmente caro. Ricordalo!!”
Poi il dolore scema, e al suo posto subentra quello strano calore che è l'anticamera del piacere.
Lo scudiscio lascia il posto alle mani delicate del Padrone che già stanno prendendosi cura delle ferite ed indugiano tra le mie gambe. Lascia cadere le trappole che mi uccidono le palle. Slega la corda che m’imprigiona un uccello ormai fradicio e che pretende tutte le attenzioni.
Non posso parlare ancora. Posso solo rilassarmi al contatto della mia pelle con la sua, del mio sesso che sciabola delicatamente contro il suo, in un contrasto incredibile con la rudezza selvaggia di poco prima. Mi sento levare anche il plug dal culo e le dita dell’altra mano spingere per farsi largo tra le pareti ben lubrificate della mia rosellina.
Vorrei mugolare. Vorrei guardarlo…. Vorrei in qualche modo gridare tutta la mia eccitazione ma, cazzo, non posso!!
Sono all'apice del piacere quando lo sento smettere di masturbarmi per staccare la catena dal soffitto ed agganciarla a qualcosa che mi pare una sbarra di ferro. È a quel punto che, dopo avermi posizionato con il culo ben alto, forza il mio ano, per violarmi con quanta più cattiveria gli è possibile e ricordarmi, anche in questa condizione di godimento, che sono un miserabile schiavo: un mezzo per soddisfare la sua insana libido.
Sono impossibilitato a parlare, a guidarlo o, semplicemente, a toccarlo. Sono una specie di vacca cieca che, fissata al giogo, cerca di strappare un po' dei movimenti del Padrone per il proprio piacere ma che è lì solo perché da lei se ne tragga il massimo.
Non viene ancora.
Quando sgancia i miei polsi per bloccarli ora dietro la schiena, mi ha aperto per bene: la facilità con cui le sue tre dita mi attraversano e torturano fino allo spasimo le pieghe del mio ano, ne è la riprova. E poi è di nuovo il bacino che quando riprende a fottermi, vibra i suoi colpi titanici, schiantando le sue palle contro le mie e facendomi, per quanto la posizione me lo permetta, inarcare la schiena ogni volta che la sua cappella sfrega contro la mia prostata.
L’inculata prosegue furiosa. Sento ogni centimetro del suo bastone dentro di me. Mi dilania le viscere. Mi spacca…
Mi regala un’eccitazione mai provata. Nemmeno quando abbiamo giocato nell’ambulatorio.
Cercando di non lasciarmi sfuggire un secondo di quelle sensazioni; manco mi accorgo che la cinghia della ballgag si sta allentando. È una specie di riflesso incondizionato quello che mi fa spingere con la lingua la pallina per sputarla; la saliva che, creando un rivolo, scavalca il labbro inferiore, scende lungo il mento per disperdersi, credo, tra i peli del mio petto.
Le dita del Padrone pinzano il mio naso sollevandomi la testa per condurmi là dove lui desidera. Là dove vuole che il suo schiavo concluda il lavoro, per dargli il massimo piacere.
La presa al naso si sostituisce con quella, forte, alla testa. Mi gira, mi fa inginocchiare per imporre al pompino il ritmo che desidera: prima lento, poi veloce, poi di nuovo lento, poi a strattoni fino a costringermi ad ingoiare tutta la sua carne fino in gola. L'estrema prova del soffocamento.
Esplode così, nella mia bocca, mentre mi tiene incollato con presa sicura, tirandomi poi indietro quanto basta per schizzarmi quel che avanza del suo piacere sulla fronte sudata.
“Pulisci per bene – mentre mi sbenda, con il frustino disegna la sagoma del mio viso, fermandosi sulle mie labbra – Per bene…”
Lecco con avidità e dovizia ogni rimasuglio di sborra. Ammirando il lavoro svolto, mi allontano, guardando verso l’alto, in cerca di approvazione.
Lui abbozza un sorriso, appoggiando una mano al mento sorreggendo il braccio con il gomito.
Sono sfinito.
Lui lo sa, ma non è ancora il momento del riposo: mi rimette il plug nel culo e la benda ed agganciandomi il collare, mi conduce dio sa dove, aggiungendo sadico: “Non te l’ho detto… Ma abbiamo ospiti a cena stasera…”

- Continua -
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