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Gay & Bisex

In cantiere - Parte 1


di honeybear
28.03.2013    |    20.576    |    3 9.7
"Nell’affacciarmi alla porta, la sorpresa inaspettata: Davide era in ginocchio sopra un materasso, impegnato a spompinare lo zio Carlo: “Che brava troia..."
Una delle tante soddisfazioni del mio lavoro era di non passare le giornate dietro una scrivania, davanti al monitor di un computer.
Lavorare in uno studio tecnico implica che, nel momento in cui ti viene affidata una pratica, si deve ottemperare a tutta un serie di adempimenti, non ultimo quello di verificare le misure di ciò che poi si restituisce graficamente.
L’andare in cantiere poi, al di là della crescita professionale che garantisce, permette di gettare le basi per un’ eventuale carriera da libero professionista.
Diverse delle imprese che lavoravano nei nostri cantieri, mi affidarono lavoretti extra. Quella all’opera nel luogo in cui mi stavo dirigendo non costituiva eccezione.
Si trattava di un’impresa a conduzione familiare dove il padre aveva imposto al figlio Davide di prendersi un diploma di geometra per poi affidargli la gestione delle commesse più impegnative. Davide era un ragazzo sui venticique anni. Capelli scuri, piuttosto alto con un fisico asciutto che la dura vita del cantiere aveva contribuito a sviluppare in maniera armonica: spalle larghe, collo sottile, braccia e gambe muscolose. Completavano il quadro un torace ed un addome villosi che, almeno nella stagione estiva, depilava con regolarità per combattere la calura e che ammiravo ogni qualvolta mi recavo in cantiere.
Quel che più mi colpì di lui quando lo conobbi fu il sorriso. Un sorriso mite e dolcissimo allo stesso tempo. Un sorriso che insieme a quegli immensi occhi neri e alle ciglia lunghissime, credo, fosse la sua miglior arma di conquista.
Il giorno in questione, mi si presentò come sempre a torso nudo. Non aveva avuto il tempo di compiere la tolettatura settimanale e nella zona petto-addome cominciava a disegnarsi un folto tappeto di aghetti neri, che smosse qualcosa nelle mie parti basse.
Mi salutò con la solita cordialità e gli spiegai cosa ci facevo lì. Scambiammo ancora un paio di battute del tipo - “Quando ho finito verrò a romperti le scatole per tutti i dubbi che avrò…” – per poi congedarci. Lui si diresse verso il suo furgone a prendere del materiale con lo zio; poi si sarebbero concessi la meritata pausa pranzo.
Carlo, lo zio di Davide, non somigliava molto al nipote. Era un uomo sui trentacinque con un fisico del tutto simile a quello di un robusto giocatore di rugby. Anch’egli ben corredato in quanto a muscoli, portava capelli pressoché rasati, una barba ben curata in completa armonia con lo spesso strato di pelo scuro che copriva la sua granitica figura.
Cominciai le mie verifiche che terminai nel giro di mezz’ora. Come consuetudine trovai delle discrepanze tra quanto presentato in Comune e quanto realizzato. Il tutto era come sempre imputabile all’imperizia ed alla trascuratezza del mio capo nel seguire i lavori.
Volevo consultarmi con Davide per capire come porre rimedio agli errori. M’incamminai verso la villetta che la sua impresa usava come baracca di cantiere: probabilmente stavano bevendo il caffè o riposandosi prima di ricominciare il turno di lavoro. Ripensandoci forse era meglio che mi consultassi prima in ufficio con il mio titolare, ma dal momento che mi trovavo già in loco, tanto valeva anticipare i vari problemi ai muratori.
Avvicinandomi all’edificio sentii delle voci: non stavano riposando come credevo, quindi non disturbavo nessuno.
Nell’affacciarmi alla porta, la sorpresa inaspettata: Davide era in ginocchio sopra un materasso, impegnato a spompinare lo zio Carlo:
“Che brava troia. Mi stai facendo un lavoretto con i fiocchi… Proporrò a tua padre di darti un aumento, ma non come muratore… Così, così, bravo: prendilo tutto! Tutto ho detto…” A quanto pare Davide era in difficoltà ad infilarsi in bocca un manganello di siffatte dimensioni e, quando se lo tolse di bocca per soffocare un conato, ricevette in cambio uno schiaffo sulla guancia. La manata lo convinse ad agire con maggior vigore sull’enorme verga dello zio: ora non si vedevano che i coglioni pelosi e lo scuro cespuglio di peli pubici. Davide stava soffocando, ma a quanto pare lo sforzo venne infine premiato: lo zio estrasse l’uccello dalla bocca del ragazzo e con pochi colpi veloci si riversò il contenuto sulla folta peluria del petto e dell’addome. Avvicinò la testa di Davide alla zona bagnata ed il ragazzo iniziò a ripulirlo:
“Te la stai cavando davvero bene, pulisci pulisci per bene troietta che non sei altro…” Lo schernì.
Io, tra lo stupore e l’eccitazione, avevo intanto cominciato a toccarmi: badavo a non fare rumore, quasi non respiravo, incredulo davanti al fatto di poter assistere ad un film porno praticamente in diretta!
Credo che, nonostante lo sforzo per soffocare i miei sospiri, ne emisi uno più forte (o forse urtai qualcosa), così si accorsero della mia presenza. Per nulla imbarazzato Carlo commentò:
“Ma bene! Abbiamo degli spettatori!”
Anche Davide si voltò. Il suo viso era più dolce che mai e, con lo sguardo, pareva invitarmi alla festa. Io ero titubante, anzi stavo per voltarmi e scappare. Ero troppo imbarazzato: mai più avrei osato guardare in faccia uno dei due senza correre con il pensiero a quell’incredibile spettacolo. Non ebbi il tempo di reagire: zio e nipote si avvicinarono, mi afferrarono per i polsi trascinandomi verso il giaciglio dove li avevo sorpresi. Io cercavo di divincolarmi ma invano: la mia era un misto di paura per quanto poteva accadermi ed allo stesso tempo provavo un fortissimo desiderio di prendere parte allo show.
Ci coricammo: io in mezzo, davanti a me Davide e dietro Carlo. Le loro mani ruvide iniziarono a toccarmi: pensavo di provare una sensazione di disagio o che mi facessero male, invece i loro modi erano gentili e delicati. Davide, iniziando a baciarmi, mi slacciò i pantaloni: mi cinse allargandomi l’elastico degli slip. Cominciò a sfilarmeli seguendo con le mani la curva del mio culo per scendere fino alle cosce e più in basso ancora alle gambe. Lo zio mi mordicchiava il collo e i lobi delle orecchie sussurrandomi frasi oscene:
“Vediamo come la nostra seconda troia di cantiere se la cava ad usare il metro di carne invece di quello in legno…”
Contemporaneamente mi sollevava la maglietta solleticando i peli del mio petto e strizzandomi i capezzoli che si erano inturgiditi tanto quanto mi si era indurito l’uccello: i loro cazzi infatti non avevano smesso un istante di premermi contro.
Serrarono ulteriormente la morsa. Ora Davide provava a segarsi tra i miei coglioni, io sbattevo il mio membro sul suo pube, mentre Carlo si masturbava lungo la riga del culo. I movimenti dapprima lenti e ritmati, cominciarono a farsi convulsi:
“Adesso da bravo li prendi in mano entrambi e finisci il lavoro!! M’intimò Carlo.
Ubbidii diligentemente. Ci mettemmo in ginocchio, mantenendo le stesse posizioni: lavoravo sui loro membri con una mano davanti e l’altra dietro. Non so come, riuscii a farli godere contemporaneamente: sentivo i fiotti della calda sborra di Carlo arrivare sulla mia schiena, mentre quelli di Davide m’inondavano il torace ed il petto. Entrambi emisero una serie di grugniti che mi parvero di approvazione.
Raccolsero una piccola quantità di sperma sulle dita che prontamente m’infilarono in bocca contemporaneamente obbligandomi ad ingoiare:
“Sembravi una verginella, invece ti stai comportando davvero bene! – si complimentò Carlo – Vediamo se sarai così bravo anche per il resto della performance…”
“Sì ma…”
“Non preoccuparti. Abbiamo pensato anche a te!”
Si accucciarono all’altezza del mio pene e cominciarono a leccarlo: una sintonia perfetta che culminava all’altezza della mia cappella violacea e dolorante per il protrarsi dell’attesa. Chiusi gli occhi per concentrarmi: volevo che i brividi di piacere che mi percorrevano durassero il più a lungo possibile.
Dovetti cedere: il delicato gioco delle loro lingue lungo tutto il membro era diventato insostenibile. Carlo lo capì:
“E’ tutta tua Davide…”
Al cenno dello zio, il ragazzo mi si sdraiò davanti. Non persi ulteriore tempo e riversai tutto il mio seme su quel viso dolcissimo.
“Pulisci tutto per bene!” Mi ordinò lo zio e, senza farmelo ripetere ancora una volta, obbedii. Che meraviglia passare la mia lingua sulla sua fronte, scendere sulle palpebre di quegli immensi occhi neri, sulle guance rese appena ruvide da un filo di barba per concludere su quelle labbra morbide e carnose che il mio liquido opalescente aveva reso ancora più invitanti.
“Non crederai finisca qui, vero!?”
Assolutamente no!
Si scambiarono le posizioni: Carlo davanti e Davide dietro. Cambiò anche il gioco.
Lo zio si sdraiò a terra spalancando le gambe:
“Coraggio, lecca per bene l’osso dello zio!”
Senza aver modo di ribattere mi ritrovai carponi con in bocca quella nerchia enorme che cominciai a succhiare senza sosta. Inizialmente lo ingoiai fin dove riuscivo, mi riempii per bene la bocca di saliva e la distribuii accuratamente per tutta la lunghezza senza trascurare la cappella. Quando me lo toglievo di bocca, dopo aver giocato con il glande ed il frenulo, lasciavo colare un po’ della saliva prodotta in modo da lubrificare il cannone quando me lo reinfilavo in gola cercando di spingermi ogni volta più in là. Era davvero impresa ardua tuttavia, date le dimensioni Con una mano poi facevo ballonzolare gli enormi coglioni dell’uomo per spostarmi a massaggiare profondamente la zona del perineo (il famoso punto L) ed arrivare infine al culo sodo e peloso che percorsi in tutta la lunghezza. L’effetto dei massaggi indusse in Carlo una serie di mugolii che culminarono con i soliti complimenti:
“Brava la mia cagna! Continua così e l’osso poi te lo pianto nel culo… Ti piace l’idea, eh? Ti piace!?” E accompagnò la domanda, prima allungandomi uno schiaffo, poi tirando furiosamente i capelli per farmi sollevare lo sguardo su di lui. Sembrava posseduto; tuttavia c’era in quel suo fare da dominatore un so che di eccitante oltre misura. Del resto, non avevo altra scelta se non quella di ubbidire.
La mia approvazione fu una specie di gorgoglio emesso mentre continuavo la pompa la cui velocità era regolata dal muratore.
Davide nel frattempo non stava certamente con le mani in mano: mordicchiava e leccava appassionatamente le mie chiappe. Si soffermava tra i peli del culo soffiando nel buchino e picchiettandolo con la lingua penetrandomi appena con la punta: una goduria. La mano libera scivolava invece tra il mio cazzo, che carezzava fugacemente, ed il petto che si divertiva a vellicare.
Pochi minuti in quella posizione e sentii il bisogno di venire: la cappella pulsava e sentivo il liquido seminale pronto ad inondare il pavimento.
Carlo dovette accorgersene:
“Non hai molta resistenza a quanto pare… E questo mi fa pensare che troia lo sei davvero! Solo le troie non sono in grado di trattenere il piacere a lungo… Vero?! Vero che sei una troia?!”
Mi allungò un altro schiaffo e, per accontentarlo, annuii con la testa. Come premio mi sentii spingere violentemente dalla nuca verso quella magnifica cornice di pelo che incorniciava il manganello dell’uomo. Decisi di rendere il gioco più eccitante così mentre risalivo l’asta di Carlo, la percorrevo delicatamente con i denti:
“Certo che non avrai resistenza ma non ti manca la fantasia! Succhia, succhia così troia che non sei altro. Ma stai attento: prova a mordermi sul serio e nel culo ti ficco un palo del venti…”
Per nulla spaventato dalla minaccia continuavo a dedicarmi diligentemente al mio compito, sperando in un atto misericordioso di lì a breve. Davide, credo inconsapevolmente, non faceva che acuire il mio bisogno di sborrare, individuando tutte le mie zone erogene: non potendo baciarci, si limitava a risalire con la lingua lungo la mia schiena accarezzandomi con le labbra una volta giunto all’altezza del collo.
“Che meraviglia vedere le mie due cagne che si fanno le feste. Mi eccita da morire… Perciò direi che il vostro padrone potrebbe farvi un bel regalo!”
Così dicendo si staccò da me ed invitò Davide a mettersi al mio fianco sul materasso. Potevo vedere che anche per lui il limite era stato raggiunto: doveva venire. La sua cappella era color lampone e la grossa vena del suo uccello pulsava freneticamente. Credo però che lo zio lo avesse istruito a dovere riguardo il trattenersi a meno di ricevere uno dei suoi trattamenti di favore.
“Continuate pure a farvi le feste, che al resto penso io…”
Finalmente potevamo baciarci e leccarci dovunque fosse possibile: la posizione a quattro zampe non era certo la più indicata per toccarci, fatta eccezione per il pene che ci masturbavamo a vicenda. La speranza era sempre quella che lo zio ci concedesse di godere. Carlo invece si limitò ad osservarci per qualche tempo masturbandosi a sua volta, poi si spostò alle nostre spalle.
Dopo averci fatto divaricare le gambe, si inumidì l’indice e il medio delle mani cominciando ad ammorbidire i nostri buchi ma ad un tratto si fermò: i suoi occhi brillarono di un luccichio diabolico. Io e Davide smettemmo un istante di baciarci, incuriositi dalla piega che stavano prendendo gli eventi.
- CONTINUA -
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