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Gay & Bisex

Il Novizio


di honeybear
29.06.2017    |    35.048    |    14 9.5
"Non riuscii a percepire nulla di ciò che mi circondava..."
Uscii dalla stazione. Trascinando il mio modesto bagaglio, imboccai il lungo viale deserto che mi avrebbe condotto alla mia nuova vita.
Era una sera d’inverno. Era tardi e non c’era nessuno ad attendermi.

Camminando al buio, avvolto nell’umidità e nella nebbia che appesantivano l’aria inghiottendo i platani ai lati della strada, ripensai a come ero giunto fin lì…
Quando comunicai in famiglia la decisione di prendere i voti, le reazioni furono disparate.
Mia madre, praticamente in lacrime, si inginocchiò lodando il Signore per la saggia decisione presa dal suo primogenito.
Mio fratello si dimostrò ancora una volta indifferente a qualsiasi evento turbasse le nostre esistenze.
Mio padre scomodò tutti i Santi che poté far scendere dal paradiso. In un istante divenni la sua delusione, la sua sconfitta come uomo e come genitore. Bruciava davanti ai suoi occhi il romanzo che aveva sognato per me: l’università interrotta ad un passo dalla laurea che mi avrebbe permesso di scalare i vertici di un gruppo bancario per diventarne direttore, il successivo matrimonio con un’esponente della società-bene del nostro paesucolo che sarebbe divenuta il ricettacolo della sua progenie. E ovviamente tutto il resto, il contorno…
Furono lacrime di rabbia, dolore e delusione quelle che gli gonfiarono gli occhi il giorno della mia partenza. Con buona pace della mamma che, invano, provava ancora ad inculcargli i rigidi principi morali e religiosi, con i quali era cresciuta. E con cui aveva cresciuto i suoi figli.
“Lo rovineranno…” urlò dal salotto.
“Vedrai che invece sarà la sua fortuna!” lo rimbeccò lei.
“Ti dico che là dentro, lo rovineranno!” continuò a ripetere infuriato mentre mi richiusi la porta alle spalle sospirando.

Con i ricordi che accompagnavano il mio breve viaggio, mi ritrovai di fronte all’alto cancello in ferro battuto dietro il quale mi attendeva il mio destino. Suonai la campanella mentre cadevano le prime gocce. Sembravano aghi ghiacciati che pungevano le parti del mio corpo esposte al freddo. L’attesa mi parve eterna quando, finalmente, si materializzò dalla nebbia una sagoma.
L’anta del cancello cigolò nell’aprirsi: “Benvenuto…” e la sagoma incappucciata mi voltò le spalle facendomi strada.
Non riuscii a percepire nulla di ciò che mi circondava.
“Domattina, alla luce del sole ti renderai conto di dove ti trovi e potrai cominciare ad orientarti. - ero sbalordito: era come se la mia guida mi avesse letto nel pensiero! – È stato così anche per me! Credo che sia così per tutti… Almeno per utti quelli che entrano nell’abbazia in questo periodo dell’anno!” cominciò a sfilarsi il cappuccio.
Il sorriso di un ragazzo poco più grande di me e dei suoi occhi scuri, riscaldarono in un attimo l’enorme atrio nel quale ci trovavamo.
“Seguimi, ti mostro la tua stanza. – m’invitò a seguirlo lungo un corridoio attiguo - Immagino sarai stravolto per quel che ti si sta agitando dentro e per il lungo viaggio. Ma soprattutto spero che tu sia riuscito a mangiare qualcosa perché…”
“Sì, non temere. Sono a posto! - lo rassicurai sull’uscio che dava sul chiostro – Ho solo bisogno di un bagno o di una doccia calda...”
“Bene! Ecco siamo quasi arrivati!”. Percorremmo due lati del quadrilatero adorno di sottili colonnine per giungere alla porta d’ingresso dell’ala riservata a monaci e novizi. Pochi passi lungo l’ennesimo, silenzioso corridoio e ci fermammo. Aprì l’uscio di legno lasciando la chiave nella serratura, accese la luce ed entrammo nella mia cella: un piccolo ambiente, arredato in modo spartano.
Iniziai a perlustrarla con lo sguardo, mentre lui riprese a parlare: “Per quanto riguarda il bagno o la doccia calda… Beh… - sembrava imbarazzato - …In quest’ala del convento stanno terminando alcuni lavori di ristrutturazione, così alcune celle non dispongono ancora dell’acqua corrente. Devi… Dobbiamo… - tossicchiò - …Dobbiamo usare un bagno comune. Lo trovi in fondo al corridoio!”
“Nessun problema. Mi adatterò!”
“Ora ti lascio: la sveglia è alle 5.30. Alle 6.00 in punto c’è la prima!” e con uno sguardo colmo di gratitudine per la mia comprensione si congedò.
Aprii il mio zaino ed estrassi rapido quanto mi serviva per darmi l’agognata rinfrescata e, seguendo una specie di bagliore, trovai il bagno comune: era la luce già accesa.
L’ambiente era diviso in due: uno spogliatoio e dirimpetto la fila delle docce che non erano separate tra loro. Un residuo di umidità avvolgeva l’ambiente conferendogli un po’ di tepore.
Metodicamente mi spogliai, appendendo i miei abiti; cinsi in vita il telo in spugna e mi diressi alla doccia. Lasciai scorrere l’acqua immaginandola gelata, ma sorprendentemente era quasi bollente. Mi abbandonai completamente al caldo tepore sprigionato dalle stille che cadevano dal soffione. Le mie mani massaggiarono a lungo il collo indolenzito per scorrere poi sui pettorali lisci. Sfiorarono i capezzoli che erano duri come chiodi.
Sorrisi e mi divertii a stuzzicarli. Reclinai il capo, lasciando che i gemiti di piacere accompagnassero il delicato lavoro dei polpastrelli, certo che nessuno li avrebbe uditi.
La lingua scorse sulle labbra mentre afferrai il sapone con il quale ripresi ad accarezzarmi.
Indugiai nella zona inguinale: la schiuma aveva completamente imbiancato i peli scuri e lunghi.
Passai e ripassai con le mani sul tappeto soffice per poi dirigerle più in basso e da lì tra i glutei. Mi girai verso il muro, flettendomi leggermente. Spalancai le natiche lasciando che l’acqua lambisse il buchetto al centro. Lo sentivo contrarsi. Ci passai un dito attorno, prendendo a massaggiarlo.
Quest’azione, unita a quella sui capezzoli, provocò una reazione al mio membro che cominciò ad ingrossarsi. Lo osservai: era perfettamente liscio, piuttosto lungo e sottile. Con la mano libera lo scappellai e mi misi a giocare contemporaneamente con la prugna rubizza che sbucava dal prepuzio e con la rosellina al centro del mio culetto.
Mi dimenai, aumentando la velocità della masturbazione. La mano sinistra scorreva sulla pelle liscia e vellutata dell’asta, mentre le dita della destra, tentavano di profanare il piccolo pertugio sul retro.
Quasi non mi accorsi che il respiro era diventato un mugolio sommesso. Il piacere arrivò intenso ed inatteso: una miriade di piccoli fiotti di sperma ricaddero sulle piastrelle davanti a me, subito lavate dall’acqua bollente.
Mi appoggiai al muro sbuffando e cercando di riprendere un ritmo di respiro normale. Rinvigorito da quel momento di intimità, mi sciacquai in fretta.
Afferrai l’asciugamano assicurandomelo ai fianchi pronto ad uscire.
Fu allora che lo vidi!
C’era un uomo seduto sulle panche dello spogliatoio.
Subito pensai che la stanchezza del viaggio mi avesse giocato un brutto scherzo. Eppure ero sicuro che prima non ci fosse nessuno…
Mi avvicinai osservandolo attentamente. I suoi occhi verdi facevano lo stesso.
Non gli avrei dato più di quarant’anni. Moro, fisico asciutto, ben proporzionato. Muscoloso ma non troppo, il petto sufficientemente gonfio e l’addome appena segnato. Il tutto generosamente ricoperto di pelo. E, soprattutto, completamente nudo.
La salvietta aperta mostrava la potente erezione del suo pene, rinforzata dal sapiente lavoro di una mano che, discendendo, si perdeva nell’intrico dei suoi peli pubici.
Lentamente spostò lo sguardo sull’uccello e poi nuovamente su di me. I miei passi verso di lui scandivano quella che era diventata una singolare danza di sguardi…
Io infatti ero assolutamente ipnotizzato dalla sua cappella: non ricordavo di averne mai vista una così rossa e grande quando si facevano confronti negli spogliatoi dopo gli allenamenti. Lo stesso valeva per il resto dell’equipaggiamento.
Infine fummo uno di fronte all’altro.
Ci fissammo a lungo, lui continuando a masturbarsi.
Inconsciamente ubbidii ad un ordine giunto da chissà dove: lasciai cadere il telo e rimasi immobile e nudo a mia volta.
Fece un lieve cenno con il capo.
Avanzai quel tanto che bastò a farmi aprire le gambe per mettermi a cavalcioni tra lui ed il suo sesso.
Si protese verso di me, iniziando ad annusarmi. I peli della sua barba mi solleticarono ogni centimetro del viso, seguiti dalle labbra morbide che si soffermarono nell’incavo del collo e sui capezzoli. Li succhiarono e mordicchiarono tirandoli verso di sé. Reclinai il capo gemendo per il dolore ed il piacere, mentre le mie braccia si appoggiarono alle sue spalle. Le sentii forti, ma le mie mani erano terribilmente curiose di esplorare il territorio: scesero sul suo petto accarezzandolo delicatamente e a loro volta iniziarono a torcergli le ciliegie rosse che facevano capolino dal manto scuro.
I sussurri e gli sbuffi vennero soffocati dai baci che cominciammo a scambiarci. Le lingue si sfioravano di punta per poi perdersi all’interno della bocca dell’altro.
Limonammo a lungo accarezzandoci dovunque fino a che la mia mano scivolò dietro provando ad afferrare l’asta che solcava le mie chiappe. Volevo masturbarlo, regalargli piacere.
Lui evidentemente comprese le mie intenzioni: mi sollevò leggermente per i fianchi, lasciando che la mazza aderisse meglio al solco tra le natiche: “Segui il mio ritmo …” mi sussurrò con la sua voce grave.
Iniziai così ad alzarmi ed abbassarmi con la cadenza che lui m’imponeva: sentivo le sue mani forti stringere i miei cocchi pelosi; sentivo le vene del suo cazzo muoversi tra i peli ancora umidi del mio culo; sentivo la sua mazza farsi sempre più dura e calda; sentivo le gocce di liquido prespermatico bagnarmi la zona dell’osso sacro e inumidire il resto…
…Ma soprattutto sentivo la mia eccitazione crescere: a contatto con il suo addome il mio uccello s’indurì nuovamente.
Lui lo vide e mi sorrise dolcemente e, prima di ricominciare a baciarmi, iniziò a restituirmi il favore della masturbazione: la mano forte stringeva e menava con dolcezza la mia verga durissima.
Non durò molto, purtroppo: non so come, mi resi conto che aveva raggiunto il limite. Stava per venire. Mi fece sollevare e, spingendomi dalle spalle, mi fece mettere carponi.
Il mio viso stava davanti alla sua cappella. Era violacea e lucida. Dall’orifizio in cima scendeva un generoso rivolo di un liquido denso e giallastro. La mano sulla nuca mi fece intendere che dovevo ingoiarla. Ubbidii. Avvicinai le mie labbra socchiuse che vennero forzate ad accogliere il glande. Gli si richiusero attorno, ma lui pretese, ed ottenne, che buona parte della canna lo seguisse. Mi sentii strozzare, ma quando finalmente mi abituai a quella presenza nella cavità orale, iniziò una formidabile scopata di bocca. Le violente spinte di bacino le impressero un ritmo forsennato. Lo sentivo gemere e sbuffare, chino sopra di me, mentre con una mano lo accarezzavo e con l’altra me lo menavo.
Mentre venivo, la sua voce roca esplose in un ruggito di piacere. La sua colata di sborra inondava la mia gola: non riuscii a trattenerla tutta.
Mi aiutò ad alzarmi e mi abbracciò strusciandosi addosso: i respiri tornarono presto regolari mentre con le mani raccoglievamo il poco seme rimasto sulle cappelle. Insieme ci dirigemmo nuovamente alla doccia. Sotto il getto d’acqua bollente, riprendemmo a limonare mescolando alla saliva il liquido che avevo gelosamente custodito in bocca.
Non scambiammo una parola.
Quando uscii dalla doccia si era già dileguato.
Tornai alla mia cella: era piuttosto tardi. Se dovevo rispettare gli orari della vita monastica, conveniva che prendessi sonno subito. Così fu: dormii tanto profondamente da non ricordare ciò che sognai…
Entrai in chiesa tra i primi. I fratelli più anziani mi indicarono il mio posto sugli scranni.
L’atmosfera cupa mi indusse rapidamente alla meditazione: non sulle sacre scritture, ma su quanto accaduto la sera. L’inizio della funzione mi riportò alla realtà: sollevai lo sguardo.
Ero sbalordito: colui che stava celebrando il rito della prima, era colui che mi diede il caldo benvenuto nelle docce…
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