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il giocattolo dello zio - Parte 8


di honeybear
15.05.2013    |    19.601    |    13 9.5
"Venne rapidamente asciugata da quattro ruvide lingue che, prima di placarsi, cercarono l’ultimo conforto tra le mie labbra per godere infine del meritato..."
Feci per avvicinarmi a lui quando ebbi la sensazione di camminare nel vuoto: lo zio Enrico e lo zio Antonio mi affiancarono, sollevandomi di peso. Mio padre nel frattempo si stava spostando per accomodarsi sul tavolo da lavoro dove suo fratello minore mi prese la prima volta.
Si sdraiò completamente lasciando penzolare le gambe e mettendo in mostra l’ernorme cazzo in tiro che mi attirava a sé come un faro nella notte. Nell’approssimarci a lui tentai di immaginare cosa avesse in mente ed in breve realizzai. Un brivido incontrollato mi percorse la schiena. Di nuovo quella voglia di fuggire. Poi tutto passò. Di colpo…
Li feci fermare; allargai le braccia in modo da poterli abbracciare saldamente mentre loro mi presero per le gambe e, piegandomi le ginocchia, mi fecero assumere la posizione seduta. Arrivati davanti all’altare del sacrificio, ci voltammo e, lentamente, cominciarono a calarmi sul cazzo di mio padre.
Di nuovo un brivido.
Il gioco riprese esattamente là dove io lo interruppi poche ore prima, solo che questa volta, quando la cappella si affacciò alle porte del mio ano, non ebbi modo di ritrarmi. Al contrario, l’accolsi completamente dentro di me.
Gli zii continuarono a sollevarmi ed abbassarmi sul cazzo del genitore per diversi minuti, quasi fosse una specie di dildo umano: ad ogni colpo sentivo la delicata pelle dell’ano allargarsi per lasciar passare quella verga così lunga e nodosa che si lubrificava grazie ai miei umori viscerali e a quanto era stato lasciato in me dalle intrusioni precedenti.
Mi lasciarono solo, dopo essersi assicurati che fossi ben saldo sul tavolo in legno. Affondai le mani tra le cosce di mio padre sistemandomi meglio per prepararmi ad accogliere quella mazza meravigliosa sempre più in profondità. Ogni volta i movimenti del bacino diventavano più secchi e decisi, fino a che non dovetti fermarmi: lo sfregamento dei suoi coglioni contro il mio culo m’impediva di andare oltre.
Lo presi come un segno e mi arrestai completamente:
“Ora girati” mi sussurrò. Obbedii e quando gli montai sopra di nuovo ripresi a cavalcarlo come un automa. D’improvviso mi bloccai inebetito a fissarlo. Intensamente. Scrutai i suoi occhi socchiusi, i suoi lineamenti distesi, la sua bocca carnosa incorniciata da una barba di qualche giorno che lo rendevano incredibilmente affascinante.
Quando si rese conto della mia immobilità, fu lui che iniziò a spingere con il bacino verso l’alto:
“Papà…”
“Va tutto bene – mi sorrise riaprendo gli occhi - Continua… Non fermarti… Non fermarti…”
Restammo immobili, con lui dentro di me, per alcuni istanti. Non mi decidevo. La tentazione di uscire e scendere era ancora fortissima.
Ma come potevo farlo? Come potevo trattenermi, quando mi sentivo ormai risucchiato da un vortice di una violenza che mi annichiliva? Decisi di restare e di inebriarmi di quel cazzo fino a non poterne più: in fondo lo scopo del mio gioco, se ancora di gioco si poteva parlare, era di arrivare a quel definitivo punto di non ritorno. A quell’ultimo limite da superare.
Mi concentrai, cercando di imprimere nella mia mente e trattenere dentro di me ogni minima emozione provata e percepita. Aiutare il suo uccello a scomparire in quel mio culo caldo, allenato con dovizia e determinazione era una sensazione che stordiva, ancor più di tutto il gioco preparatorio. Ancor più di tutto il resto. E poi quell’espressione ora così dolce e soddisfatta, quel pelo rigoglioso da accarezzare o così confortevole per adagiarvisi, mi ripagarono in un istante degli sforzi profusi.
Un suo gemito mi riportò alla magnifica realtà. Mi fermò il bacino con le mani. Si sollevò dal tavolo per sedersi. Ripresi a muovermi in assoluta libertà, ancorato al suo collo, ma cercando con lo sguardo l’ultimo fratello che mancava all’appello. Mi volsi verso mio padre che assentì.
Là dove tutto ebbe inizio, tutto sarebbe terminato.
Mio padre si sdraiò completamente sul tavolo. Io gli fui sopra in un attimo e, nel momento in cui ripresi a farmi penetrare, affondai il viso nel suo petto, assaporandone l’aroma acre, cercando di dissipare la tensione nuovamente mi assalì.
Montò anche lo zio Antonio.
Si avvicinò a me prendendo a masturbarmi, dapprima delicatamente e via via in maniera sempre più violenta. Non fiatavo, ma ben sapevo che quel trattamento, combinato all’azione della bocca tra il collo e le orecchie, mi avrebbe provocato l’ennesima violenta eiaculazione di lì a poco.
Immaginavo i suoi occhi socchiusi per il piacere, mentre sentivo che la mano libera aveva iniziato ad accarezzarmi i capezzoli, stringendoli, strizzandoli.
Smise. Le sue dita designarono una nuova vittima: la mia bocca. Vi s’insinuarono annegando nella mia saliva per ridiscendere ed infilarsi nel mio culetto facendo compagnia al cazzo che già l’occupava.
Strinsi i denti. Quando le dita divennero due, sul mio viso si disegnò una smorfia di dolore. Mi venne lasciato giusto il tempo di abituarmi a quella dilatazione ed arrivò, inesorabile, il terzo.
Di nuovo il tempo necessario ad abituarsi, poi le dita, come sempre, iniziarono ad entrare ed uscire mimando un’inculata che altro non era se non il preludio a quanto stava per accadere.
La cosa cominciava a piacermi, sebbene sul mio volto, credo, persistesse quell'espressione di fastidio che, lentamente, si trasformava in piacere.
Sentii lo zio sputare e mugugnare qualche sconcezza.
La cappella bagnata premette contro il mio ano, che iniziò a contarsi:
“Stai calmo. Ti piacerà. Hai voluto giocare alla vacca da monta? Adesso è arrivato il momento di soddisfare due tori. Contemporaneamente…”
Iniziò quindi a spingere. Avvampai.
Non provò nemmeno ad essere delicato: il suo cazzo stava entrando a fare compagnia a quello che già ospitavo, slabbrando le pieghe del mio buco per farsi strada tra le pareti del mio retto, che si allargava sempre più.
Spaventato e dolorante, mi avvinghiai al petto di mio padre che mi rassicurò con lo sguardo.
Mi calmai. Ormai anche il secondo uccello era fu tutto dentro.
A sorpresa, lo estrasse, per poi farlo rientrare, e così per diverse volte, finché abituato alla compresenza dei due cazzi, iniziarono a scoparmi. Non aspettavano altro: spingevano ora insieme, ora singolarmente, entrambi davano colpi di bacino potenti e secchi, le palle di ciascuno sbattevano tra di loro o sulle mie natiche.
Urlavo, gemevo, stringevo i pugni imprecando: era troppo! Ma, dannazione, mi piaceva! Eccome!
Ad ogni doppio colpo, chiudevo gli occhi spalancando la bocca per gridare. Ma non avevo più fiato. O non m’interessava farlo, concentrato com’ero a godermi quelle nuove, incredibili sensazioni.
I corpi madidi grondavano sudore, mentre la sinfonia di spinte, ansimi e mugolii raggiunse il suo apice. Continuammo a lungo. Mio padre e lo zio, godevano come animali, finché non mi sborrarono nel culo: una nuova, travolgente sensazione. Chiusi gli occhi per assaporare quel momento e fare in modo di non dimenticarlo mai.
Lo zio si accasciò su di me pressandomi su mio padre. Mi baciava la schiena mentre quest’ultimo, sempre baciandomi, con le mani alimentava la mia erezione. Restarono dentro di me fino a che entrambi gli uccelli non tornarono a riposo.
Quando uscirono, dal mio culo aperto, sentivo la sborra gocciolare.
Mio padre si avvicinò a me accarezzandomi amorevolmente, scompigliandomi i capelli. Mi diede persino un bacio sulla fronte:
“Il mio cucciolo...” disse prendendomi in braccio, adagiandomi su una poltrona. Tutti mi furono nuovamente addosso. Sentivo le loro mani dappertutto, mentre cominciavo a dimenarmi. La sborrata arrivò, senza alcun aiuto, pochi secondi dopo allagando il mio ventre. Venne rapidamente asciugata da quattro ruvide lingue che, prima di placarsi, cercarono l’ultimo conforto tra le mie labbra per godere infine del meritato riposo.
Rilassarsi e trastullarsi tra le braccia di quattro splendidi esemplari di orso bruno davvero non ha prezzo...
È questo ciò che può avvenire nel piccolo paese della Brianza in cui vivo.
La mentalità è quella contadina, che in parte ci contraddistingue. Il grande sogno, la massima soddisfazione di ogni uomo qui, è quella di lavorare la terra: seminare il campo, coltivare un piccolo orto che alla fine diventerà quello della casa che i legittimi eredi condivideranno con le future consorti.
Ciò che in realtà nessuno racconta è che, accanto a questo grande sogno, ce ne sono alcuni che, sotto il nome di realtà inconfessabili, vengono tranquillamente soddisfatti tra le mura domestiche dove pensiamo che nessuno ci veda e tutto rimanga nascosto… Non immaginiamo invece che, magari, due occhi di ghiaccio ci stanno spiando da dietro una finestra, in un misto d’incredulità, sdegno e stupore…

Nota: con questo capitolo, sarebbe mia intenzione scrivere la parola fine alla saga de ‘Il giocattolo dello zio’. Ringrazio infinitamente tutti coloro che si sono appassionati alle vicende dei protagonisti e che non mi hanno fatto mancare le loro attestazioni di affetto e stima. Sono tuttavia dell’avviso che, nel momento in cui chiunque inizi a leggere uno scritto, ne divenga in parte il legittimo possessore; pertanto se vorrete inviarmi spunti o idee che possano prolungare il Vostro piacere e rendere plausibile una continuazione della storia, ben vengano! Il finale, come avete letto, è volutamente aperto…
La mia mail è a Vostra disposizione!
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