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NADIA - Parte 1


di honeybear
22.05.2013    |    10.441    |    0 9.9
"Sentii i miei sensi ottenebrasi, ma desideravo che quelle sensazioni mi penetrassero allo stesso modo di quanto stava per accadere al mio culo..."
Mi chiamo Nadia ho 32 anni e, come direbbe il mio profilo Facebook, vivo una relazione complicata con Marco. Lavoro come infermiera presso un noto centro riabilitativo che, nella sede in cui opero, ospita anche una piscina. Così, in qualità di ex nuotatrice, ho potuto realizzare un sogno: insegnare nuoto ad adulti e bambini ma, soprattutto, praticare massaggi, sfruttando, insieme ai vantaggi dell’acqua, le vasche terapeutiche dell’impianto.
Fortunatamente la mia professione principale mi permette, nonostante i turni, di gestire tranquillamente gli orari della piscina così da riuscire persino a riprendere seriamente ad allenarmi.
A tal proposito devo dire che sono una nuotatrice anomala… Fisicamente infatti, sono piuttosto simile alle formose bagnine della serie culto degli anni ’90 Baywatch: sono alta 1,70, capelli neri corti e mossi, occhi verde-nocciola, carnagione chiara, un seno prosperoso ma sodo (generoso regalo di mamma), ed un sederino bello alto e tonico che, almeno a giudizio del pubblico maschile è forse il mio punto di forza, ancor più del seno. Niente a che vedere dunque con il tronco trapezoidale, le gambe muscolose e l’aspetto androgino tipico delle nuotatrici!
A proposito di allenamenti, ritengo non ci sia cosa migliore che nuotare in una vasca deserta: sentirti tutt’uno con quell’elemento così etereo ed avvolgente mentre, sfidando le sue resistenze, lo penetri per avanzare e macinare chilometri… Mi fa sentire viva!
Ed in genere il giorno prescelto per godere di questi impagabili momenti è il lunedì mattina: la frenetica attività della piscina deve ancora iniziare e così, entrando in acqua alle 7,00 riesco a farmi il mio bel paio d’ore di fatica, sotto l’occhio vigile del direttore dell’impianto e del manutentore di turno, intento a controllare fra l'altro, che l’acqua non scotti troppo!
Anche quel giorno non mi sottrassi a quell’ormai piacevole consuetudine, solo che, a causa di un persistente fastidio muscolare alla spalla, fui costretta ad abbandonare l’allenamento prima del tempo:
“Te ne vai presto stamattina! - mi salutò Pier venendomi incontro stranamente in costume. Una vita spesa in piscina, prima a nuotare, poi ad insegnare, ora a dirigere – Proprio oggi che avevo deciso di tenerti compagnia!” E mi strizzò l’occhio ammiccando.
Gli spiegai il mio problema.
“Ma come, pratichi massaggi in acqua e non sai curarti una banale infiammazione? Vieni qua!” E mi fece voltare. Le mani, dapprima appoggiate sulle spalle, scesero velocemente sui fianchi iniziando a stuzzicarmi. Il suo soffio delicato sul collo mi costrinse a reclinare la testa di lato:
“Pier… - il mio respiro cominciava ad accelerare - non...”
“Va tutto bene…” le sue parole, appena sussurrate da dietro l'orecchio, quasi si persero nella mia mente a causa dei brividi che correvano lungo la schiena.
Premette il petto glabro e muscoloso contro le mie scapole; di conseguenza il suo bacino contro i miei glutei, appoggiando tra le natiche ancora coperte dal costume umido qualcosa di duro che aumentò il livello di adrenalina già salito velocemente oltre il limite. Scesi con le mani a prendere le sue per spostarle tra le mie cosce. Per tutta risposta, si divincolò, per farle invece risalire disegnando ogni mia curva, ogni mia rotondità. Si soffermò a solleticare i capezzoli che, a contatto con la stoffa bagnata, presero ad indurirsi. Le dita arrivarono ad afferrare le spalline del costume e, con una delicatezza mai provata, le fecero scivolare scoprendo i miei seni bagnati e turgidi, i capezzoli ormai d’acciaio. Li prese tra le dita, massaggiandoli, pizzicandoli. Afferrò con decisione le tette iniziando a giocare anche con quelle: avvicinandole tra loro, scuotendole, massaggiandole, percorrendone l’intera curva per dedicarsi infine a titillare i capezzoli. La sua bocca avida non smise un attimo di baciare il mio collo ed il suo soffio lieve echeggiava ancora nelle mie orecchie.
Mi morsi le labbra e le umettai con la lingua.
Ansimando, afferrai nuovamente le sue mani per portarle dove volevo io: esercitare una piccola pressione sul clitoride. Era gonfio ed il suo tocco sapiente, unito allo sfregamento del tessuto umido, lo fece inturgidire al pari dei miei seni. Sentii un piccolo rivolo scorrere lungo i lembi di pelle andando a mischiarsi all’acqua che ancora non si asciugava dal mio corpo. Con ferma decisione lo condussi alla mia bocca per leccarlo e riportarlo poi al punto di partenza. Di nuovo lo guidai verso la piacevole scoperta. Di nuovo quella leggera pressione. Lasciai infine la presa: ormai poteva fare da solo ed iniziai a far scivolare i miei glutei lungo quell’asta dura ma ancora prigioniera dello slip.
La pressione del suo bacino e del petto si fecero più intense. Il mio costume scivolò a terra scoprendo l’ambito trofeo: una figa accuratamente rasata e fremente che le sue mani forti, una volta di più guidate dalle mie, non avevano smesso un attimo di massaggiare ed ora, anzi, potevano esplorare in tutta tranquillità.
Mi voltai per cercare il suo sguardo, per cercare la complicità di cui avevo bisogno:
“Se ci vedesse qualcuno…”
“È ormai tardi per pensarci…”
M’irrigidii senza capire. Da dietro uno dei pilastri che sorreggono le tribune comparve Giulio, il manutentore. Fisico atletico, occhi e capelli scuri con un filo di barba, si stava strofinando la patta dei pantaloni mentre lentamente avanzava verso di noi.
“Da quanto tempo sei lì?” chiese Pier.
“Da un tempo sufficiente a farmelo diventare di marmo!” rispose sfilandosi la maglietta ed abbassandosi i pantaloni per scoprire, tra il folto luccicare dei suoi peli pubici, un’erezione consistente.
D’istinto m’inginocchiai imprigionando quell’uccello enorme per masturbarlo tra i miei seni: li facevo scorrere lungo tutta l’asta nodosa assaporando la cappella con la lingua fino a bere le prime gocce del suo liquido pre-spermatico. Guardai in alto sorridendo mentre con la lingua le mischiavo alla saliva con cui bagnavo per bene la sua cappella color rubino. Giulio ansimava, sbuffava, reclinava la testa.
Ma anche Pier reclamava attenzioni. Allungai così una mano, fino ad incontrare il suo membro. Lo strinsi da sopra il costume provocandogli un gemito. Ne percorsi i contorni palpandone la consistenza fino a regalargli la libertà che reclamava attraverso le pulsioni provocate dal legittimo proprietario. Pier mi aiutò a far scivolare a terra il costume lasciandomi libera di stimolare anche quell’uccello completamente glabro, una volta che lo avevo scappellato.
Liberai il cazzo di Giulio dalla sua prigione dorata per fare in modo di riuscire a masturbarli entrambi, le loro gambe leggermente divaricate. Era inebriante far scorrere le dita su quelle pelli vellutate e pulsanti, prima lentamente, per aumentare poi progressivamente la velocità, picchiettandoli sui miei capezzoli. Era bellissimo vederseli davanti alla faccia, sentirseli appoggiare dolcemente alla bocca prima d’iniziare a leccarli con delicatezza, sentire ogni piccola secrezione prodotta mischiarsi alla mia saliva per mantenere perfettamente bagnate le erezioni. Ed era ancor più meraviglioso, prenderli in mano e scorrerli bagnati tra le dita mentre i loro gemiti e i sospiri si mischiavano alle oscenità che mi sussurravano:
“Sei una vera troia… Continua a leccare! Voglio fartelo sentire in gola…”
“Una vera puttana! Non smettere…”
Le loro incitazioni fecero sì che gli sporadici colpi di lingua che davo, si trasformassero in due pompini. A fatica riuscivo ad ingoiare quegli uccelli. Laddove non ce la facevo, impazienti e frementi come non mai, erano loro a guidarli ora dolcemente, ora con foga, ma sempre con determinazione, all’interno della mia bocca, spingendoli fino a scontarsi con il palato prima e la mia gola poi.
Afferrandomi a turno per i capelli, mi tenevano ferma la testa cominciando a muoversi con regolarità, senza lasciarmi fiato. La stretta si allentava giusto il tempo di concedermi di espellere la saliva prodotta lasciandola libera di scorrere sui miei seni, la mia pancia, la mia esile striscia di pelo pubico per scomparire poi nelle mie parti più intime.
La tecnica era di chi aveva un’esperienza consumata in questo gioco voluttuoso: entrambi riuscivano ad arrestarsi esattamente un attimo prima del non ritorno, allontanandosi e fissandomi con un misto di ferocia e passione mentre io inerme rispondevo a quegli sguardi con gli occhi bagnati di lacrime e ancora rivoli di saliva che scendevano fin dentro di me.
Vidi solo lo sguardo d’intesa che si scambiarono prima di capire cosa volessero fare.
Pier mi fece alzare. Mi cinsero cominciando a strusciarsi su di me. Sentivo i membri duri perdersi tra il solco dei miei glutei e le mie labbra ormai fradice. Le lingue mi cercavano, giocavano con la mia a rincorrersi per poi aggrovigliarsi in una partita che toglieva il fiato.
Vidi la panchina. Vidi Pier sedersi.
Mi sentii piegare in avanti. Due dita chiedevano di entrare nel piccolo buco. Con fatica ne feci passare uno. Mi veniva chiesto di rilassarmi, ma faticavo a controllarmi. Entrava. Usciva.
La mia bocca non poteva gridare, non poteva gemere, non poteva godere. L’uccello di Giulio la imbavagliava.
Lo stesso dito entrò nuovamente. Avanzando un po’ di più. Sempre di più. Ecco, era arrivato in fondo. Cominciò a vorticare all’interno del mio sfintere.
Presto venne raggiunto dall’altro.…
“Ti prego non smettere…” questa volta ero io a supplicare in maniera ovvia ed indecente. Ma Giulio, sogghignando, mi reclamava così non ebbi il tempo di aggiungere altro.
Sentii il piede di Pier spalancarmi le gambe. Le sue braccia mi afferrarono il bacino. Contemporaneamente vidi il membro che stavo succhiando allontanarsi da me, e ne sentii un altro chiedere ospitalità. Da un'altra parte.
Sentii i miei sensi ottenebrasi, ma desideravo che quelle sensazioni mi penetrassero allo stesso modo di quanto stava per accadere al mio culo.
Dapprima fu la cappella. Si fece largo sfruttando la breccia aperta dalle dita. Poi fu tutto il resto dell'asta.
Gridai. Dal dolore, dal piacere. Non lo so.
So solo che sentivo il mio bacino dapprima sollevato e poi abbassato in maniera decisa, eppure con dolcezza. I movimenti erano secchi e si fermavano solo quando sentivano le palle di colui che mi stava possedendo in quel modo perverso. Io ne percepivo la dilatazione e lo sfregamento prodotto dentro di me che arrivava sempre più lontano.
Pochi secondi di attesa.
E il dolore lasciava via via posto ad un piacere sconsiderato. Poi una nuova spinta verso l’alto, senza mai uscire completamente da me. E così fino a che non mi abituai a quella presenza, tanto da permettermi di spalancare le gambe consentendo di godere anche a chi ero stata costretta a trascurare. Ma soprattutto, concedendo una nuova ondata di piacere a me stessa.
Dapprima furono le sue dita a premere nella zona ormai inumidita solo dai miei umori. Accarezzavano piano il clitoride che ancora non era esploso, solleticando anche il pelo soprastante. Giulio, con un mezzo sorriso dipinto sulle labbra, avvicinandosi, scomparì alla mia vista. Lo sentii baciarmi: il movimento della sua lingua si accompagnò a quello delle dita che, la prima volta, si avvicinarono alle mie labbra per essere leccate mentre la seconda, vennero usate per farsi strada nella mia fessura iniziando lo stesso identico gioco di chi mi stava prendendo da dietro.
Prima un dito, poi un secondo per dilatarmi leggermente. Iniziarono ad entrare, uscire. A roteare, come del resto prese a fare la mia testa prigioniera di quel vortice di emozioni.
Lo aiutai anch’io: volevo riprendere le redini almeno di quel gioco. Divenire la padrona del mio godimento. Infilai le dita di Giulio in bocca per poi, condurle un’ultima volta, com’era accaduto all’inizio, a toccare il clitoride. Ecco… Finalmente il piacere salì dalla mia femminilità. Debordò violento dalle mie viscere. Per un attimo la mia fessura rimase aperta, grondando un nettare che la lingua di Giulio, che osservava con lo stesso stupore di un bambino, raccolse con avidità, prima di scambiarsi l’ennesima occhiata d’intesa con Pier.
- CONTINUA -
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