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IL CONDOMINIO - CAPITOLO QUINTO (finale)


di Giangi57
05.02.2020    |    2.411    |    6 9.9
"», cominciò lei imbarazzatissima..."
CAPITOLO QUINTO

Ritornò la tranquillità e Dionigi si ritrovò con tre milioni in più. Tre giorni dopo la serata con i giapponesi (che per la verità lo aveva lasciato parzialmente deluso perché avrebbe voluto ancora una volta scoparsi la bella Liuko) stava nella guardiola quando Karina citofono e gli chiese di salire, tra una mezzora. Cinque minuti dopo vide scendere la signora Brusati e si precipito ad aprirle il portale. «Sa che Karina ha avuto sette in quel compito di latino?», lo informo lei gentilmente, prima di uscire con la Y 10.
«Sono contento», borbotto impacciato Dionigi e lei, incongruamente, arrossi, saluto con an cenno
della mano e usci con l'auto. Dionigi si chiese ancora una volta perché, da quel giorno in cui lui aveva preso la scossa e l'aveva vista in reggipetto e mutandine, la presenza di lei lo turbasse in modo disdicevole. Rispettava moltissimo quella donna, matura ma ancora bella e desiderabile, gli pareva un’offesa desiderarla. Questo non gli impedì, poco dopo di salire alla terrazza.
Karina lo attendeva. Era in costume da bagno, due sottili strisce di stoffa che, invece di nascondere, sottolineavano la prorompenza del suo corpo giovanissimo ma già pronto, già voluttuoso per gli occhi. Lei gli guardò per prima cosa la patta dei calzoni, sollevata visibilmente dal turgore del membro. Dionigi si augurò che Karina non intendesse provocarlo come l'altra volta. Tre giorni di astinenza gli erano stati quasi penosi, ora che le donne del palazzo di via Lazzaretto e le ospiti straniere lo avevano abituato a togliersi ogni voglia. Inoltre Karina era diversa da tutte le altre e lui ne era innamorato!
«Ti spiace chiudere con la chiave dall'interno Dionigi esegui, avanzando poi di qualche metro verso di lei. Quando fu a due passi Karina lo fermo con un gesto della mano ed un perentorio:
«Alt !. Ora voglio sapere da te che cosa sei salito a fare l'altra notte da quel culattone del Daddo», lo aggredì severa, «Non negare, sai! lo e la mamma eravamo sveglie, lei mi stava aiutando nel ripasso di geografia. Ti abbiamo sentito salire e, dalla finestra interna della mia stanza, ti abbiamo visto scendere.
La mamma c'è rimasta male, si chiede che cosa tu sia salito a fare. Lei sa benissimo che quello se lo
fa sbattere nel culo. Mica sarai stato con lui? Avanti, rispondi!».
Dionigi era allibito. Per l'accusa e per la durezza con la quale Karina l'aveva formulata. «Ti posso assicurare che sono salito al mezzanino soltanto per servire i cocktails!», sbottò infine.
«Allora perché il Daddo paraculo va dicendo a destra e a manca che il nostro portinaio vale tanto oro quanto pesa?».
«Chiedilo a lui, io non ne so niente. Per di più il Daddo non mi piace e non mi piacerebbe neppure
se fosse nato donna. Hai altro da chiedermi?».
«Sì. Ti sei fatta la Flora, non è vero? Non negare, porcaccione, l'ho vista io scendere in lavanderia tutta in ordine, quando c'eri tu, e risalire scarmigliata e rossa in faccia! ».
«Insomma, saresti una spiona in piena regola?», l'accusò Dionigi.
«Voglio soltanto sapere che razza di tipo sei. Hai una laurea in lettere e fai il portinaio. Perché? Sei forse un mafioso?».
«Se lo fossi ti sembra che starei qui a fare il portinaio? Lo sai che a Napoli sono centinaia i laureati
in lettere che non riescono a insegnare? Lo sai che molti di loro fanno gli spazzini, i guardiani di parcheggi, gli autisti di bus, i giardinieri? Io sono tra i fortunati, ho trovato una portineria a Milano, un alloggio, campo decentemente. Si può sapere che cazzo vuoi da me?».
Karina respirò a fondo, il suo sguardo mutò, si leccò le labbra in un gesto che provocò un guizzo da parte del membro di Dionigi, ingabbiato nei calzoni. Lei guardò la protuberanza, sospirò: «Ha ragione la mamma, non sei un mascalzone. Sei troppo schietto. E ora ti chiedo scusa. Ti chiedo scusa ma... fammelo vedere, Dionigi, tiralo fuori, altrimenti scoppio!», La guardò incredulo e lei arricciò le belle labbra in una smorfietta deliziosa.
«Lo sai che da quella volta qui sulla terrazza non faccio altro che masturbarmi? Si vedono le occhiaie?».
« No... non si vedono...», mormorò roco Dionigi.
«Anche tu ne hai voglia quanto me, però... io non posso e non voglio altrimenti mi farei sverginare.
qui, seduta stante. Ma questa voglia pazza e irragionevole io devo levarmela... ti prego, Dionigi, ti prego!».
«Vuoi... vederlo? Ti rendi conto che mi fai impazzire? Che mi viene duro ogni volta che ti guardo, ogni volta che mi rivolgi la parola? Non è un gioco, Karina!».
«Lo so. Non è un gioco. Dobbiamo prometterci a vicenda, dobbiamo giurarci che, dopo questo incontro, non saremo che amici. Io te lo giuro!».
« Ma... vuoi soltanto vederlo?!».
« Voglio toccarmi, voglio masturbarmi guardando il tuo cazzo enorme, nei sogni lo vedo ancora più grosso, mi appare mostruoso! Lo vedo anche in classe, attraverso le pagine dei libri, sui fogli dei quaderni, mentre guido il motorino! Basta! Voglio che tu faccia come me ma non devi avvicinarti. Guarda!». Karina scostò l'esile cavallo del tanga che le ricopriva il sesso. Apparve la sua nera peluria, rada a lasciar vedere il taglio netto del sesso. Le dita allargarono quel taglio, fu un baluginar di carne rosea che fece ammattire Dionigi.
«Vedi? Comincio io ma voglio che tu faccia lo stesso, voglio godere e vederti godere! Sarà la prima e l'ultima volta, te lo giuro!!».
Quelle piccole dita affusolate come danzavano sull'apertura appena accennata, come sfioravano e premevavo il puntino del clitoride! Come si velavano gli occhi blu di Karina! Dionigi quasi si strappò la cerniera della lampo. Tirò fuori il cazzo già bagnato, lo esibì, lo impugnò e mosse un passo verso Karina.
«No! Ti prego, Dionigi! Non muoverti!! Non dobbiamo toccarci!!», si mise in allarme lei ed addirittura angosciata. Lui si fermò. Karina riprese la danza della dita sul sesso, lentamente lui mosse la mano lungo il cazzo duro da dolergli e guardava le dita di Karina, il sesso di Karina, gli occhi di Karina inchiodati sul grosso cazzo duro...
«lo non resisto, sai...», quasi singhiozzo lei, «Sento che devo godere... devo godere... non posso resistere, davvero, Dionigi, non posso! guarda come vengo!! Oooh!! Guarda! sto venendo!!!».
«Anch'io, tesoro, anch'io!!», ruggì Dionigi e dal cazzo si sprigionarono violenti getti che, superando la distanza tra loro, li unirono nel piacere.
Dopo, restarono per qualche momento come sconvolti, e, infine, Karina mormorò con gli occhi smorti: « Vattene, Dionigi... Vattene via subito... giurami che non saremo mai più altro che amici... dimmi che sarai tu a respingermi se ci sarà una prossima volta...».
«Se non vuoi che ci sia una prossima volta ti prometto che non ci sarà», promise lui.
«Io... io capisco che non sono poi così ferma di carattere come credevo», sospirò Karina. «E non voglio dare un dolore alla mamma. Non posso farlo proprio con te!». Chiuse gli occhi e tacque. Dionigi non fece domande, soltanto più tardi, da solo, avrebbe cominciato a rimuginare su quell'affermazione di Karina, ma si sarebbe arrovellato senza costrutto. Perché non proprio con lui?

Trascorsero alcuni giorni e Fortunatamente o fortunosamente, Karina fu rimandata soltanto in latino. Più tardi avrebbe confidano a Dionigi che il prof viscido l'aveva rimandata soltanto per poterle proporre ripetizioni private. «E quello mica tira ai soldi sai ? » aveva riso Karina
Dionigi aveva giurato a se stesso di non creare più turbamenti alla ragazza che ora se ne stava tutto il giorno fuori casa a divertirsi con gli amici. Aveva a sua disposizione Rosy Mandorla, Flora Malvolti, Bruna Pigato. Poteva averle quando voleva ed erano tutte una più eccitante dell'altra. Perché correre rischi con Karina che aveva soltanto sedici anni? Comunque, tra pochi giormi, lei e la madre sarebbero partite per le vacanze. Erano proprietarie, beate loro, di un appartamento sulla Croisette, a Cannes; di un albergo a Courmayeur; di una villa in Brianza, non avevano certo problemi finanziari.
Un'altra promessa che Dionigi aveva fatto a se stesso era quella di non cedere più agli inviti di Daddo Gregori, per quanto allettanti fossero. Non voleva che la signora Brusati pensasse male di lui. E quell'accenno di Karina, ka domanda se per caso lui non fosse un mafioso, lo aveva fatto riflettere. Karina e sua madre avevamo parlato di lui, si erano poste domande sul suo conto. Aveva subito scritto all'Università di Napoli perché gli mandassero un diploma di laurea, non voleva lo scambiassero per un bugiardo millantatore...
Un pomeriggio, intorno alle quattro, gli citofonò Emma Brusati: poteva salire un momento da lei?
Dionigi chiuse le Metamorfosi che stava rileggendo mise il cartello e sali. Venne ad aprirgli lei, in abito da casa, un po scarmigliata, rossa in volto.
«Venga, Dionigi. Dio mio, se almeno Karina mi aiutasse un poco nelle faccende domestiche! Montagne di roba da stirare, da mandare in lavanderia, da ritirare, da sistemare armadi e cassettoni...».
Dionigi la trovava bella come sempre, forse un tantino di più con quell'aria famigliare, indaffarata. Lo condusse nel tinello, gli sgombrò una sedia, scusandosi con qualche imbarazzo. «Ho la casa tutta sottosopra, per fortuna fra tre giorni torna la Gesuina...».
«Se posso aiutare in qualche cosa», le sorrise Dionigi con simpatia e lei arrossì senza ragione, sembrava turbata, sedette sull'orlo di una seggiola già ingombra, badando a tirar la veste sulle ginocchia.
Indossava un abitino chiaro, a fiorellini, privo di maniche. Aveva proprio belle braccia, bianche e so
de e... Dionigi pensò a quando gli era quasi caduta addosso, seminuda, quel pomeriggio della scossa
elettrica e... gli venne duro di colpo!
«Ecco, Dionigi, io non so se posso chiederle questo favore... naturalmente pagando... nel suo tempo libero...», cominciò lei imbarazzatissima. Dionigi, sperando che non si vedesse il maledetto gonfiore dei calzoni, volle interromperla:
«Signora Brusati, di qualsiasi cosa si tratti, la mia risposta è sì. A condizione che lei non mi parli di denaro. Mi ritengo pagato in abbondanza dalla sua gentilezza, dico sul serio. Ora attendo di sapere...».
«Si tratta di Karina», disse lei, e si fece rossa, sembrava che non riuscisse a continuare. Dionigi invece si fece pallido per il timore che Karina si fosse lasciata sfuggire qualcosa con la madre!
«Ecco, io vorrei, se fosse possibile... ehm, se lei se la sente... vorrei che lei desse ripetizioni di latino Karina!», riuscì finalmente a dire la Brusati e Dionigi non capi perché l'avesse presa tanto alla lontana ma respirò di sollievo.
«Ma certo, ben volentieri», acconsentì e subito pensieri contrastanti gli attraversarono la mente:
fra madre e figlia sembravano voler fare a gara a quale delle due glielo facesse diventar più duro!
«Ma... ma non voglio che lei lo faccia gratis!». esclamò Emma Brusati. «Io... io ho detto a Karina che sarebbe stato un bene... insomma farle guadagnare qualcosa in modo adatto a lei, non come... come portinaio o... o peggio, con quel Daddo che le fa servire i cocktails!» Dionigi la guardò stupito e lei abbassò gli occhi, rossa in volto. C'era qualcosa che sfuggiva a Dionigi, non riusciva a raccapezzarsi...
«Oh! Avevo preparato la caffettiera! Prenderà almeno un caffè», disse precipitosamente lei, alzandosi di scatto. Corse all'angolo di cottura, separato dal tinello da un arco e la vide armeggiare con la caffettiera. Che diavolo poteva aver detto Karina alla mamma? Aveva forse avanzato l'ipotesi che lui fosse salito dallo stilista per tutt'altro motivo che servire i cocktails? Si alzó, andò ad appoggiarsi al divisorio. Lei non si voltò a guardarlo.
«Ho già detto al signor Gregori che non posso usargli altre cortesie, signora. Io.. se avessi saputo che lei disapprovava gli avrei detto subito di no». Lei non rispose e Dionigi, sempre più perplesso,
continuò:
«Non vorrei recarle fastidio per tutto l'oro del mondo, signora Brusati. Questo voglio che lei lo sappia». Lei continuava a tacere, si udi il rumore del caffè che passava attraverso il filtro, Dionigi non sapeva più che cosa dire, come comportarsi. La donna spense il gas, un po' di vapore usci dal becco della caffettiera e lei non accennava a muoversi.
Dionigi si guardò intorno alla ricerca delle tazzine, ce n'erano due sullo scolapiatti ma non avrebbe saputo dove posarle, la cucina era ingombra di asciugamani, tovaglie ripiegate, costumi da bagno, tutto accatastato sul tavolo e sulle seggiole. Fini per restare in silenzio, come lei. La vedeva di profilo, di un'immobilità assoluta. S'era tirata i bei capelli neri sulla nuca, qualche ciocca le ricadeva sul collo, osservò le sue piccole orecchie color rosa linea pura e slanciata del collo, la curva dolce dei fianchi e... mosse un passo verso di lei. Quando parlò la voce gli uscì roca, il cazzo gli faceva male dalla voglia: «Signora... vuole che... versi io il caffè?, Nessuna risposta, era come se lei non avesse udito, poi Dionigi percepì il suo respiro, le indovinò il seno in affanno per qualche oscura ragione e, all'improvviso, seppe che non avrebbe resistito oltre: voleva quella donna, la voleva come mai ne aveva desiderata un'altra, la voleva ad ogni costo, anche a costo di violentarla, sarebbe andato in galera ma doveva prenderla!
Le si accostò, le mise una mano su una spalla e subito lei implorò: «No, Dionigi, no! Se ne vada, per piacere, se ne vada!». In quel momento Dionigi realizzò che il desiderio era reciproco, lo avrebbe giurato. E comunque, se si fosse sbagliato, se non fosse stato così, era deciso a correre il rischio.
L'abbracciò stretta, la baciò sul collo, lei fece resistenza, supplicava di lasciarla andare, piangeva lacrime vere, lottava veramente ma già Dionigi l'aveva rovesciata, le spalle contro il tavolo, aveva sollevato l'abito e andava baciandole avidamente il volto, cercando le labbra che lei tentava di sottrarglisi. L'afferrò per i capelli, le morse le labbra, gliele succhiò, le infilò a forza la lingua in bocca e lei continuava a resistergli tra i singhiozzi, le invocazioni, non gridava ma lo supplicava di lasciarla andare. Le fece aprire le gambe insinuandovi le ginocchia brutalmente, si frugò a tirar Tuori il cazzo, glielo fece sentire contro il cavallo delle mutandine e le strinse forte le cosce, carne soda rivestita di seta, compatte, liscie che toccarle, palparle, stringerle era già una voluttà indicibile. Il tutto condito dall'autentica resistenza di lei. Oscuramente Dionigi capiva che Emma Brusati lo desiderava almeno quanto lui voleva lei ma che avrebbe dovuto violentarla sul serio.
«Tu mi fai perdere la ragione, signora Brusati! Mi fai impazzire ! Devo farlo, anche se mi costasse la prigione! non ne posso più!». Le allargò il cavallo delle mutandine, sentire sulle dita il folto, morbido pelo di lei, lo eccitò sino al parossismo. La strinse da levarle il fiato, da farle male, la frugò con le dita far strada al cazzo, quando entrò in lei con sforzo la sentì bagnata. Allora l'abbrancò per le natiche godendo di sentirle così dure e lisce e si spinse dentro di lei, a fondo. «Sei mia! mia!! mia!!», gridò e gridò anche lei, un singhiozzo profondo, era una resa per disperazione, perché il maschio, più forte, l'aveva piegata al suo volere. Ma, con esultanza enorme da parte di Dionigi, lui non aveva ancora cominciato quasi a muoversi che Emma venne, ebbe un orgasmo silenzioso ma di cui era impossibile non accorgersi per l'inumidirsi della pelle, il trasfigurarsi quasi doloroso dell'espressione, il rilasciarsi delle membra dopo gli attimi di spasimo.
«Signora Brusati, io ti amo!», esclamò Dionigi, accarezzandole le tempie umide. «Non è soltanto desiderio... io ti amo, ti ammiro, io ti trovo splendida... poi ti chiederò scusa, signora Brusati ma devi capire che non potevo, non posso fare a meno di te... di prenderti... ti giuro che mi sei sempre piaciuta ma era rispetto, ammiravo la tua bellezza ma da lontano... io non pensavo di poterti avere come... adesso... Lo senti, sono dentro di te... voglio restarci... vorrei restarci sempre...». Parlandole così aveva cominciato a muoversi e lo faceva adagio, con dolcezza, reprimendo la voglia di esplodere che gli si faceva sempre più urgente, fermandosi per un attimo... Emma ebbe un singulto, sospirò, chiudeva gli occhi per non guardare Dionigi, senza manco accorgersene gli aveva afferrato le spalle e stringeva quelle forti spalle d'uomo che la stava violando con dolcezza. Poi, all'improvviso, Dionigi vide gli occhi di lei spalancarsi, restare quasi sbarrati in un'espressione di infinita sorpresa, di meraviglia senza fine e... di nuovo s'irrigidì tutta e, questa volta, provo a mordersi il labbro ma non le riuscì di tacere.
«No...ton voglio godere ancora, noooo!!! aaah!!!»,
"Godi, amore mio dolcissimo, godi tanto, cara! Ti farò godere ancora, ti farò godere sempre, se tu lo vorrai, perché sono innamorato di te e ti desidero, i voglio, mi fai morire dal piacere!! Ecco, signora Brusati! ecco che vengo anch'io con te! con te!!!». Le ultime parole furono un ruggito mentre Dionigi esplodeva bagnandosi il ventre e l'abito, soffregando il cazzo contro il dolce pelo di lei, lamentandosi e gemendo poi, prima di chinarsi a baciarla sulla bocca asciutta. «Dammi la mano, signora Brusati, amore mio, stringi le tue dita sul cazzo... senti com'è bagnato? roba mia e roba tua, signora Brusati... e resta duro, ha ancora voglia di te».
«Oh, no! ti prego... non vo.. non posso più... no, Dionigi... caro! ».
«Io non so cosa tu provi per me, signora Brusati, ma io ti amo, te l'ho già detto e te lo ripeterò... Mi piacevi ma non sapevo di essere innamorato di te, di desiderarti, mi pareva peccato perché sei dolce e buona, signora Brusati... no, continua a stringere il cazzo, è tuo! resta duro fra le tue dita...». Le baciò i seni gonfi, sopra l'abito e lei sospirò, gli accarezzò la nuca con la mano libera, mentre con l'altra teneva stretto il membro ancora duro, ancora stillante.
«Aveva ragione Karina», sospirò con gli occhi chiusi. «Aveva ragione lei, che mi turbavi... io non me ne rendevo conto... Oh, non era ipocrisia, forse... però Karina lo diceva... sai, da quel giorno che prendesti quella scossa non ero più la stessa, avevo dimenticato completamente gli uomini... voglio dire i maschi, ero serena»,
«Sei stata troppo tempo sola, non è normale, sei troppo bella per restare sola, non è umano», le mormorò Dionigi, leccandole le labbra.
«è accaduta a entrambi la stessa cosa... di desiderarci all'improvviso... io non avrei mai osato... ti ammiravo ma mi sembrava peccato... non eri come le altre, non lo sei!».
«Oh, lo sono! Ora hai visto che lo sono», sospirò lei.
« No, non l'ho ancora visto del tutto, signora Brusati, e neanche tu. Sono un bruto a tenerti in questa posizione, ti porterò su un letto e godremo ancora tanto, insieme!».
«Bada, Dionigi! Non sono donna da avere un amante! Contentati di questa volta ed io mi sforzerò di far lo stesso! Io... non posso avere un amante! Mi vergognerei di fronte a Karina. O il matrimonio o niente!», Adesso erano in piedi e lui la teneva tra le braccia e se l'accarezzava tutta ma era sbigottito. Sposare Emma Brusati?! Era un sogno ma..
«Emma, signora Brusati mia! tu sei ricca, capisci? non ti rendi conto che Karina per prima mi prenderebbe per uno sfruttatore che approfitta dei tuoi sentimenti? Per di più napoletano!».
Per la prima volta lei rise e c'era un accenno di gioia nei suoi occhi. Gli strinse forte il cazzo duro
e disse: «Sei ricco anche tu, non credi?».
«Ma non puoi sposare un portinaio!».
«Vuol dire che insegnerai».
«Ma dovrei cominciare con delle supplenze, guadagnerei una miseria! che figura ci farei con me stesso se tu dovessi mantenermi?».
«Avresti tante ripetizioni che manco te lo immagini», lo contraddisse lei. «Comunque voglio una risposta. Se davvero mi ami non puoi esitare, Dionigi!».
«Ma tu, tu sei certa che il tuo sia amore e non soltanto desiderio?», si accigliò lui.
«Sai che sei buffo? Ti amo e ti desidero e voglio che tu mi porti in camera da letto», rise Emma, felice.
«E che ti baci sulla bocca e tra le cosce? che ti lecchi e che te lo metta dentro? che ti succhi queste poppe meravigliose?», chiese roco lui. «Dimmi cosa vuoi che ti faccia, dimmelo!!».
«Stiamo perdendo tempo», lo ammonì maliziosamente lei. «Dimmi, piuttosto, ti senti di voler bene anche a Karina? Lei ha molta simpatia per te, l’ho capito da tante piccole cose».
A quell'accenno il cazzo di Dionigi ebbe un vero e proprio sussulto tra le dita morbide di Emma. Lui rivide Karina che si accarezzava fissandogli il cazzo. Un po' roco rispose: «Anch'io per lei, tesoro! Ma ora vieni, andiamo in camera da letto e intanto dimmi cosa vuoi che ti faccia!».
La sollevò sulle braccia e usci dal cucinino. Sospirando lei mormorò, già tutta in voglia: «Le cose che un marito fa alla moglie.. voglio succhiare la tua lingua e che tu succhi la mia... mi piace... Poi voglio che mi palpi e mi accarezzi dappertutto... Poi voglio che tu mi dia il tuo grosso affare in bocca e che mi ordini di succhiartelo per bene se voglio... se voglio essere chiavata! Voglio che mentre te lo succhio tu mi tenga stretta per i capelli e che sia un poco brutale con me... anche questo mi piace... E poi voglio che tu mi chiavi tanto e bene, come hai fatto poco fa !».
«Tutto qui?», le chiese deponendola sul letto. «Ora spogliati, intanto. No, aspetta, preferisco farlo io.»
Mentre la spogliava, accarezzando e stringendo e palpando quanto gli capitava, chiese: «Non ti piacerebbe anche succhiarmelo mentre te la lecco? E inghiottire tutta la mia sborra? Dimmelo, dimmelo!!».
Ma intanto l'aveva rovesciata nuda sul letto e le era andato a cavallo, infilandole in bocca il cazzo duro e lei non poté rispondere che con un appassionato mugolare di consenso.


Fine
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