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Lui & Lei

IL CONDOMINIO - CAPITOLO TERZO


di Giangi57
05.02.2020    |    3.383    |    1 9.9
"Ora Dionigi non ne poteva più e decise che, ordini o contrordini avrebbe goduto..."
CAPITOLO TERZO

L'indomani, alle nove e mezzo del mattino, citofonò la signora Emma, vedova Brusati. Non riusciva più a staccare la spina dello scaldabagno, Dionigi poteva fare un salto su da lei? Erano settimane che combatteva contro quella spina.
Dionigi corse di sopra ben volentieri. Emma Brusati gli piaceva e non soltanto perché era una bella donna (oramai ne aveva a disposizione più giovani ed eccitanti in quel palazzo) ma perché la stimava.
Nonostante fosse la padrona del palazzo, nonostante fosse ricchissima, non c'era un briciolo di presunzione in lei e sempre, in ogni occasione, sapeva comportarsi da signora autentica. Inoltre... era la madre di Karina e lui era convinto di essersi perdutamente innamorato di Karina.
Lei lo ricevette in vestaglia e sandaletti da casa ma era perfettamente in ordine, era evidente che stava per uscire e doveva soltanto vestirsi.
«Sembra essersi incastrata nella presa e non vuol saperne di venire via».
«Dovrei tirarla via a forza ma temo di scrostare l'intonaco, signora Brusati», spiegò, «L'ideale sarebbe sostituire la spina con un interruttore.»,
«e quanto tempo ci vorrebbe?,,
«Una ventina di minuti, mezz'ora al massimo, signora».
«va bene. Ti ringrazio, Dionigi, ma quella spina stava diventando un'ossessione»,
Gli sorrise. Aveva raro il sorriso ma, quando sorrideva, le si illuminava piacevolmente il volto,
Dabbasso lui frugò nella cassa degli attrezzi, trovò tutto l’occorrente. Stava per risalire quando suonò il citofono esterno e lui andò ad aprire. Un tizio vestito da bullo di periferia, sui quarant'anni, chiese della signora Brusati
«La signora l'aspetta?»,
«Mi ha mandato a chiamare lei, Gioan», replico quello, affettando impazienza, A Dionigi non andava essere chiamato Gioan e, per quanto ne sapeva lui, era in procinto di uscire.
«Lei come si chiama?», chiese al bullo.
«Uhei, cosa te ne importa a te?», replicò quello con malgarbo. «Comunque la signora Emma mi aspetta, va ben? Allora, ti fai da parte?».
«Aspetti un momento, chiedo alla signora, rispose Dionigi, trattenendo la voglia di rifilargli un cazzotto. «Chi devo dire?».
«Dicci che c'è il marito della Gesuina e spicciati, Gioan!»,
Dionigi conosceva la Gesuina, una brava donna che veniva tutti i giorni per i mestieri a casa della vedova Brusati. Si rese conto che da qualche giorno non la vedeva. Guardò male il bullo prima di chiudergli la porta in faccia. Al citofono la signora Brusati sospirò: «Quel tanghero! Veramente doveva venire due giorni fa. Lo faccia salire, Dionigi, lo sbrigo in cinque minuti».
Dionigi prese la cassetta con le sue cose, aprì al bullo e lo fece entrare, «La madona, uei! Ancora un secondo e ti saluto vedova Brusati, io me ne andavo, sai?-, sbuffo, In ascensore squadrò con disprezzo Dionigi e la sua cassetta e Dionigi gli prese le misure, cosi ad occhio: un balordo di cartone, gli sarebbe piaciuto davvero ammollargli uno sganassone sul grugno. Suono, la signora Brusati venne ad aprire, salutó freddamente il bullo: «Entri, Grigotti. Veramente l'attendevo due giorni fa».
«Avevo da fare», rispose l'altro in tono sgarbato.
«Stia tranquillo che non le porterò via molto tempo, replicò fredda la Brusati, «Venga in studio, pochi minuti basteranno».
Dionigi andò in bagno, prese una pinza e, supponendo che al posto della spina ci fosse il naso di Grigotti, strinse forte. Insieme alla spina venne via la presa con un pezzetto di muro. Ora si trattava di staccare la corrente. Usci dal bagno e udì le voci dei due nello studio.
«Se crede che io mi lasci intimidire da uno come lei si sbaglia di grosso, sa?», senti dire alla Brusati.
«Ho sempre pagato Gesuina un terzo più della paga sindacale e non concederò altri aumenti. Piuttosto lei stia attento, Grigotti, perché Gesuina si è confidata con me: se vengo a sapere che lei la rimanda sul marciapiede mi basta una telefonata ad un mio amico commissario di polizia e la faccio sbattere in galera! E ora se ne vada, fuori di casa mia!».
«Un momento, te! Ma chi tí credi di essere!», ruggì l'altro. «Guarda che io ti metto le mutande per cappello, zòccola di merda!».
Dionigi allibi, un secondo dopo dimenticò l'interruttore principale che era uscito a cercare e si precipitò nello studio. Un attimo prima di entrare udi il sonoro rumore di uno schiaffo e, quando si presentò sulla soglia vide l'espressione infuriata della Brusati e il Grigotti che si portava una mano sulla guancia. Quando l'uomo fece per reagire, slanciandosi sulla signora Brusati, scattò prima Dionigi, afferrandolo per la collottola. Per lui era un dono insperato. Scrollò il balordo così forte da fargli battere i denti e, intanto che c'era, mise in pratica certi insegnamenti napoletani del suo rione. Gli diede una ginocchiata proprio contro l'osso sacro e gioi, sentendo il suo grido di dolore. Gioi ma continuo a scrollarlo finché non fu Emma Brusati a gridargli di smetterla.
«Gli romperà l'osso del collo, Dionigi! Lo lasci andare!».
Trascinò il balordo giù per le scale e, come ne aveva l'occasione, lo mandava a sbattere contro le pareti oppure contro la ringhiera di ferro battuto. Al mezzanino gli diede un calcio nel sedere e, a piano terra, un cazzotto in piena faccia e uno nello stomaco. Quando lo buttò fuori dal portone si sentiva in pace con se stesso, aveva saldato il conto ed era soddisfatto. Per risalire prese l'ascensore.
« Santo cielo, Dionigi, è stato davvero un caso fortunato che tu fossi presente!», esclamò la Brusati, aprendogli la porta. «Non so come me la sarei cavata, altrimenti! ».
« Ho visto che ha saputo tenergli testa», le sorrise contento Dionigi. «D'altronde avrebbe sempre potuto chiamarmi col citofono e se quel balordo avesse osato toccarla lo avrei mandato all'ospedale con prognosi perlomeno riservata».
« Eh, visto come lo hai trattato non esito a crederti», e la signora ebbe una risatina forzata.
« Mi spiace per il ritardo», le disse lui. «Ora sistemo la presa, poi dovrà asciugare per un paio di giorni ma l'interruttore funzionerà».
«Grazie, Dionigi, posso attaccare il ferro, nel frattempo?».
«Certamente, signora», rispose stolidamente lui.
Prese i fili e ne ricavò una scossa che lo mandò a sbattere contro la parete di piastrelle, semisvenuto. Ciò che accadde subito dopo lo avrebbe ricordato, ma confusamente, in seguito. Emma Brusati, sentendo il grido che gli era sfuggito si precipitò nel bagno. Era senza vestaglia, in reggipetto, mutandine e reggicalze. Stordito com'era Dionigi ebbe la visione di un corpo bianco, colmo, eccitante, il corpo di una sconosciuta tanto che si chiese vagamente chi fosse quella donna provocante e seminuda.
«Oh, mio Dio! mio Dio! Dionigi! come ti senti?».
Si chinava su di lui, a un certo punto scivolò sulle piastrelle levigate, gli cadde addosso e lui ne sentì la sodezza del corpo, il profumo della pelle e dei capelli. Si districarono, lei voleva aiutarlo a rialzarsi ma già Dionigi andava riprendendosi. «Colpa mia… colpa mia, signora... non ho staccato la corrente… una scossa!».
«Mio Dio! Avevo attaccato il ferro! sono una sciocca incosciente, Dionigi! come ti senti? meglio? Stai bene? parlami, non mi lasciare in ansia!».
«Sì, mi sento meglio, signora... non si preoccupi… no, mi lasci pure, mi rialzo da solo». Soltanto a quel punto lei s'accorse di essere seminuda. Soffocando un'esclamazione di vergogna corse via, quando tornò in vestaglia lui s'era rialzato, ormai era scomparsa ogni traccia della scossa, «Sono io lo sciocco, signora, lei deve perdonarmi. Dovevo staccare la corrente. Se lei ha finito di stirare».
«Si, avevo terminato un momento prima che tu...».
Era rossa in volto, confusa, quasi balbettava.
«Dionigi, io non so come ringraziarti di... di tutto. Però, per questo lavoro dell'interruttore devo pagarti. Io...». La interruppe, garbato ma deciso; discussero, Dionigi e lei entrambi ostinati, finché Dionigi non sbottò: «Signora Brusati, vorrei farle capire che, qualsiasi cosa faccia per lei, non la faccio per dovere o per denaro, la faccio perché ne ricavo un piacere, io... io non so come spiegarmi...".
S'interruppe perché lei, all'improvviso s'era fatta rossa come un pomodoro maturo e non sapeva più da che parte guardare. Vi furono attimi di imbarazzo da parte di entrambi prima che lui raccogliesse la sua roba. Lei lo accompagno alla porta e teneva bassi gli occhi, come per vergogna, lui balbettò impacciato qualcosa, scese dabbasso.
Per tutto quel giorno si sforzò di ricordare se quella della donna in mutandine, reggipetto e reggicalze, era stata veramente la figura di Emma Brusati o se lui, scosso dalla corrente elettrica, l'aveva sognata. E, ogni volta che rivedeva mentalmente quell'apparizione, gli veniva duro e se ne vergognava, si diceva: Dionigi sei un mostro sessuale, un mandrillo malato, un maledetto maiale, proprio con lei! La madre di Karina!
L'indomani, alle tre e mezzo del pomeriggio, citofonò Daddo Gregori, lo stilista. Gentilissimo come al solito pregò Dionigi di salire da lui ché doveva parlargli. Dionigi non era mai salito al mezzanino superiore come impropriamente lo chiamavano gli inquilini del palazzo. Gli aprì Daddo in persona e Dionigi faticò a trattenere un moto di stupore. Il famoso stilista vestiva una corta tunica romana fermata da un'antica moneta d'oro, era a piedi scalzi, con un'ombra di rossetto sulle labbra e gli occhi bistrati.
«Venga, carissimo custode, venga! Volevo giusto scambiare due chiacchiere con lei, due chiacchiere amichevolissime! Prego venga, la guido all'interno del mio tugurio».
Il “tugurio” di cui parlava il Gregori, in realtà copriva un piano intero del palazzo, il pavimento era una distesa di moquette, le pareti erano dipinte a colori pastello e, addossati alle pareti, mobili d'antiquariato europei, indiani, cinesi, africani Daddo Gregori sedette a gambe incrociate su un paio di cuscini e invitò Dionigi a fare altrettanto.
«Sieda, caro custode, sieda e parliamo da amici, da fratelli».
Dionigi sedette sui cuscini a gambe incrociate e Daddo Gregori sorrise soddisfatto e incoraggiante. «Sa che lei è proprio un bel giovine, custode mio carissimo? Bello d'aspetto, e gentile e... anche robusto. Acciderbola come ha conciato ieri il Fausto? Non afferra? Fausto, sa? Quello che aveva un piccolo commercio con il Mandorla, Ohibỏ, questo Mandorla! L'ho pregata di salire, Cérbero carissimo, perché ho da raccontarle, spiegarle, la piccola e banale storia di Giulio Mandorla di cui lei salvò la moglie da una sorte peggiore della morte, come un tempo si diceva».
Dionigi ascoltava più stupito che interessato, chiedendosi tuttavia dove lo stilista intendesse andare a parare.
«Dunque, mio carissimo, lei deve sapere che il Mandorla, come tanti altri che fanno il passo più lungo della gamba, si è trovato a un certo punto invischiato nel fallimento non potendo restituire i soldi che i clienti a suo tempo gli avevano affidato. Per evitare la galera ha pensato bene di fare i soldi vendendo coca nel suo ambiente. Poi è successo che non riuscisse più a pagare i fornitori. In parole povere usava i soldi della coca presa a credito per tappare i buchi con i suoi clienti. Allora niente più polvere ma, nel frattempo, lui aveva imparato a usarla personalmente. Ha pianto e supplicato, versato qualche acconto ma per tappare un buco doveva aprirne un altro. Infine ha pensato di dare la sua auto in pegno, contro qualche dose di polvere bianca...».
«Signor Gregori, se lei mi ha fatto salire qui per questo le dico subito che questa storia non mi interessa e non voglio saperla», lo interruppe Dionigi.
« Io sono intervenuto soltanto perché quel Fausto, se è di lui che parliamo, intendeva violentare la signora Rosy. Tutto il resto non mi interessa davvero».
« Ma era soltanto una spiegazione dei fatti, carissimo», sorrise il Daddo. «La bella signora Rosy ha chiesto prestiti a tutti in cambio di prestazioni... diciamo così personali, mi capisce? Per esempio da me ha avuto cinque milioni per una sola serata, mica noccioline».
L'espressione incredula di Dionigi dovette risultare evidente perché il Daddo si interruppe e chiese: «Perplesso? Per via della cifra o che?».
«Diciamo semplicemente perplesso», borbottò Dionigi.
«Scacci ogni tipo di perplessità, custode mio carissimo e diletto», sorrise il Daddo. «Lei sa che sono uno stilista di un certo calibro, se mi permette.
Da me vengono giapponesi, americani, tedeschi. Sono ben pagato e... naturalmente ho l'obbligo di ricevere, di far divertire questi clienti che fanno o dinazioni di centinaia di milioni. Allora invito delle ragazze, belle signore... lei mi capisce, nevvero Mentre Daddo parlava le sue mani inanellate svolazzavano come farfalle, accompagnando le frasi sottolineandole. «La Rosy Mandorla ad esempio si vede subito che non è... come dire... una donna de comprare, una professionista, è dolce, ha modi da signora... insomma, per una festa con i tedeschi le ho dato cinque milioni e devo dire che se li è guadagnati, capirà, se ne è fatti tre e si è pure divertita
«Tutto questo a cosa ci porta?», chiese brusco Dionigi, «Che c'entro io?».
«Arrivo al punto», disse Daddo. «Sono rimasto impressionato dal modo con cui lei ha trattato il Fausto, quello è un duro, sa? Un duro autentico. Impressionato nella maniera giusta; poi, io aborro la violenza e, se la Rosy non voleva, ebbene non voleva punto e basta. Lei ha fatto bene, Dionigi carissimo, e il Fausto qui dentro non ci metterà più piede. Ora io mi chiedevo se lei, per caso, non avesse in animo di guadagnarsi un milioncino per una serata, un milione netto, pulito, niente ricevute, niente tasse».
«Un milione per... per che cosa?!?, si incupì Dionigi
«Non mi fraintenda, amico guardiano dei miei beni! Niente prestazioni sessuali ma stasera verranno da me i tedeschi e... quando bevono chi li tiene più? Ordine, ci vuole, e lei è la persona adatta per garantirmelo. Supponiamo che un tedesco esageri con una mia indossatrice: interviene lei. Supponiamo che un tedesco ubriaco voglia portarsi via una delle mie sculture come ricordo: interviene lei. Tutto qui. Le chiedo di intervenire soltanto se il ricevimento degenera. Non ci saranno poi troppe persone. Tre indossatrici, una sarta e una fotografa da parte mia, poi i compratori della mia nuova linea invernale degli industriali tedeschi con moglie (o con amante, questo non mi interessa) e il loro interprete, che è un amico mio fidato. Allora, che ne dice?».
«La signora Brusati sa di queste sue festicciole?», chiese Dionigi, preoccupato.
« Non ho mai dato scandalo, carissimo! Rispetto e stimo la signora Brusati. Benché la sua morale sia rigida non è una beghina. Inoltre i suoi abiti li disegno io. In esclusiva. Dunque?».
«Accetto», sospirò Dionigi.
«Oh, carissimo! ma è meraviglioso! Qui ci vuole un drink! Venga, intanto le mostrerò qualcosa in modo che si renda conto del défilé di questa sera. Venga, carissimo, venga con me!».
Daddo Gregori si alzò e parve svolazzare leggero attraverso la moquette mentre Dionigi lo seguiva, guardandosi intorno. L'appartamento era stato diviso in tanti piccoli box nessuno dei quali aveva una porta. Giunsero ad una cucina dove una ragazza magra, dai capelli rossi, sorvegliava un frullatore elettrico. La ragazza indossava calzoncini corti, un esiguo reggiseno ed era scalza. Quando si voltò a sorridergli interrogativa Dionigi notò che era anche bella, con un visetto spruzzato di efelidi.
«Giorgia, amore mio», la interpellò Daddo. «Ci faresti un drink? Esclusivamente vegetale per me, l'amicissimo Dionigi scelga lui».
« Mi contenterei di un bicchiere di bianco», borbottò Dionigi. La rossa che Daddo aveva chiamato Giorgia lo guardò, dapprima valutativa, poi con aperta simpatia. «Un bianco secco? Oppure un Sauvignon leggero?».
«Una cosa poco impegnativa», le sorrise Dionigi. Gli era piaciuta a prima vista quella ragazza, era semplice, schietta, niente trucco. Lei servì un intruglio verde a Daddo, versò in due calici il Sauvignon e ne tenne uno per sé.
« Alle nostre fortune», brindò Daddo.
«Evviva noi! », disse Giorgia, sorridendo a Dionigi.
«Cin cin», rispose banalmente lui. Bevvero. Daddo disse a Giorgia che Dionigi sarebbe stato il loro angelo custode per quella sera e lei annui, sembrava soddisfatta per la notizia. «Dovresti dargli un'idea di come si svolgeranno le cose durante il défilé, Giorgia. Una cosa breve, il nostro è intelligente, capisce le cose al volo e, quando non le capisce.
picchia come un fabbro».
«È lui che ha pestato Fausto, vero? Grazie anche da parte mia, tesoro, quello era un porco, un farabutto, un figlio di puttana!».
«Requiescat in pace!», salmodiò Daddo. «Vuoi dare quest'idea al nostro custode?»,
«Andate in saloncino e datemi tre minuti», disse Giorgia e corse fuori dal cucinino. Daddo pilotò Dionigi attraverso altri ambienti sino a un piccolo salone dove una schiera doppia di poltroncine imbottite, prive di schienale, apparivano come due lunghissimi divani, uno dietro l'altro. Da uno stipo laccato trasse un fascio di banconote da centomila, ne contò dieci e le diede a Dionigi. «Pagamento anticipato. Sulla fiducia. Tra galantuomini. Sieda, carissimo, ora Giorgia ci mostrerà un pizzico di défilé».
Le poltroncine erano morbidissime, ci si sprofondava. Di fronte, su una pedana imbottita di moquette, stava la passerella.
«Quest'anno presenterò soltanto sei pellicce sei,»,
dichiarò il Daddo. «Tutte di ermellino, tutte perfette nelle pelli, tutte meravigliose. Soltanto ermellino. Una pelliccia reale, carissimo! realmente reale! Ora vedrà, si renderà conto».
Apparve Giorgia, avvolta in una stupenda pelliccia di ermellino. Aveva raccolto i capelli rossi in un precario chignon e qualche ciocca rosseggiava sul colletto morbido della pelliccia. Indossava scarpine di raso dal tacco altissimo. Percorse la passerella, gli occhi di fronte a sé, superba e bella, tornò indietro e, quando fu all'altezza del Daddo e di Dionigi aprì di colpo la pelliccia mostrando il corpo nudo. Dionigi strabuzzò gli occhi. Giorgia era magra che si vedevano le costole, i seni erano piccoli, quasi accennati, col capezzolo sproporzionato. Dalla vita in giù le anche erano sode e compatte, al vertice un sentiero stretto di corti peli rosso chiari lasciava intravvedere il taglio della vulva, Furono pochi attimi, però sufficienti perché a Dionigi venisse duro, ma duro sul serio, duro che sollevava la patta dei calzoni chiari, di stoffa leggera. Poi Giorgia richiuse la pelliccia e, da qualche parte, risuonò uno squillo ovattato, melodioso,
«il telefono ! Dev'essere Francesco !», esclamò Daddo, alzandosi, «Fagli vedere la pelliccia 'quattro', Giorgia, torno subito», Scomparve svolazzando e Giorgia sorridendo a Dionigi, ferma sulla passerella di fronte a lui, «Preferisci davvero vedere la pelliccia 'quattro o ti contenti della mia?», gli chiese provocante mentre apriva ancora la pelliccia di ermellino a mostrarsi nuda,
«La tua... la tua...», borbotto Dionigi.
«Ti piaccio davvero?».
«E me lo chiedi?»,
«Allora guarda pure ma voglio guardare anch'io, capito? Fammelo vedere, bel fusto! Vediamo se corrisponde alla tua corporatura»,
« Ma... ma... Giorgia, se viene il signor Gregori? Io non so....»
« Se viene si lustra gli occhi, ammesso che sia il caso, non preoccuparti, bel figo. Allora, me lo mostri?». Teneva la pelliccia sempre aperta, le gambe divaricate, gli occhi fissi sul gonfiore della patta dei calzoni. Dionigi abbassò la lampo, armeggio, lo tiro fuori ed il cazzo svettò minaccioso, grosso e lungo, duro, con la grande cappella rossa che pareva l'elmo di un guerriero. Giorgia si leccò le labbra, gli occhi luccicarono mentre mormorava:
«Un gran bel cazzo, proprio merce di prima qualità. Ora voglio prendermene un assaggio.» Scese dalla pedana e si tolse la preziosa pelliccia, appoggiandola con cura sulle poltroncine. Poi si inginocchiò di fronte a Dionigi e, come lui fece per abbrancarla, lo fermò con un gesto,
«Tu non far niente, questo è un servizio a cura della casa e, se mi credi, lo faccio proprio volentieri».
Dapprima accarezzò il cazzo con due mani, allisciandolo con i palmi morbidi, poi lo impugno, lo strinse un poco, lo avvolse nei soffici capelli rossi che aveva sciolto, lo baciò, ne succhiò la goccia in punta,
«Mi piace, ha pure un buon sapore, sai? Ci sono certi cazzi che non mi dicono... non ci lego non mi fanno sangue.. se te lo succhio per benino se ti faccio venire nella mia bocca mi prometti che mi terrai presente, questa sera?».
«Que... questa sera? Ma... ma io non so se questa sera... insomma se potremo fare...».
«Dico nel caso», spiegò lei accarezzandogli il cazzo con i capelli. «Nell'eventualità, nell'ipotesi ... sono stata chiara?».
«Si! sì, certo, se.. se dovessi potere... io... puoi star tranquilla, Giorgia, tu mi piaci molto».
«Uhm... quando un maschio ha la possibilità di scelta non è mai propenso a mantenere le promesse», disse lei, guardandolo con malizia,
«e può darsi che questa notte ti si presentino altre occasioni».
«Guarda, io mantengo sempre le promesse!», bofonchiò Dionigi che non ne poteva più dalla voglia.
«Ti prego, Giorgia...»
«Certo che non faccio un sacrificio», sospirò lei e, subito dopo, imboccò il cazzo e incominciò a succhiarlo. Lo sapeva fare, pensò Dionigi e, da qualche tempo a questa parte, aveva imparato a distinguere quando glielo succhiavano per farlo diventar duro e poi goderselo oppure lo facevano per debito di riconoscenza dopo aver goduto, oppure per semplice passione, cioè succhiavano il cazzo perché gli piaceva di sentirselo in bocca, gli piaceva di succhiarlo, farlo godere, e provavano quasi altrettanto piacere che il maschio. Giorgia lo succhiava con passione, ne fu certo sin dal primo momento. Le accarezzò i capelli rossi e le disse:
«Mi piace come lo fai… sento che piace anche a te».
Unica risposta un mugolio appassionato, le mani di lei che gli accarezzavano il tronco duro mentre la bocca succhiava la cappella. Non menava il cazzo, lo accarezzava, ad un certo punto se lo tolse di bocca e vi strusciò contro la guancia ed i capelli prima di ricominciare a succhiarlo voluttuosamente.
«Giorgia, cosi mi fai venire... guarda che mi piace troppo... vorrei far godere anche te... perché non possiamo farlo?». Lei levò gli occhi a guardarlo, lentamente si separò dal cazzo e vi appoggiò la guancia mentre rispondeva:
«Si che possiamo farlo ma… ma adesso voglio bere la tua sborra! Questa notte farò in modo che tu possa stare con me come più ti piace... Forse non ti succhio bene?».
Mi fai morire dal piacere, piccola... io... io volevo soltanto ricambiarti».
«Sta' certo che te ne darò l'occasione, bel fusto! Un cazzo come il tuo mica si trova tutti i giorni! Ora voglio che mi sborri in bocca, che tu me ne faccia tanta ma tanta! Sborrami in bocca, caro!».
Se non voleva altro! Dionigi le afferrò la testa, la guidò in quel suo delizioso movimento di abbassare la testa e rialzarla mentre succhiava avvolgendogli la cappella nella lingua deliziosa. Ancora pochi ma intensi momenti di piacere, poi il culmine e fu una sensazione davvero fuori dal conosciuto: come se Giorgia si abbeverasse alla sua linfa vitale, come se lui si dissanguasse ma dolcemente, voluttuosamente, un piacere indicibile che si prolungava, che non finiva mai e lo stordiva, mentre Giorgia continuava a succhiare e lo faceva divinamente, gli assorbiva gli umori, lo prosciugava, gli parve che una parte del midollo se ne andasse nella dolcissima bocca di lei…
«Ti è piaciuto? Dimmelo, voglio saperlo»..
«Non so come dirti... è stato meraviglioso, Giorgia... come se tu avessi bevuto il mio corpo intero, linfa, carne ed ossa... mi sento vuoto, meravigliosa- mente vuoto».
«Parli bene, tu... ti esprimi come un romanzo, per essere un portinaio... mi piaci, sai? Manterrai la promessa?».
«La manterrò, Giorgia!».
Non sono una puttana, vero?
«Non bestemmiare! Perché dici queste cose?.»
«Di solito un uomo, quando ha avuto facilmente ciò che voleva.…»
«Parli di uomini stupidi»
Non facciamo discorsi filosofici, ora, sorrise lei rialzandosi. Dionigi non si accorse che il sorriso rivolto a lui soltanto parzialmente era troppo appagato per accorgersi che Daddo Gregori, appostato dietro un divisorio, stava ancora spremendosi il cazzo che si era menato lussuriosamente mentre assisteva alla scena...

Alle ventuno e trenta precise Dionigi chiuse a chiave la guardiola e sali al mezzanino superiore. S'era rifatto la barba ed era fresco di doccia. Era anche nervoso ed eccitato, Alle nove aveva fatto salire la troupe di Daddo Gregori. Due indossatrici, una biondina esile e una splendida nigeriana. Con loro c'erano la sarta, una grassoccia piacente, sulla quarantina e la fotografa, una ragazza nerboruta stracarica di borse e di attrezzi che, si vedeva subito, aveva poco o niente di femminino. Gli ospiti tedeschi sarebbero arrivati più tardi insieme a Francesco, l'interprete.
Venne ad aprirgli la ragazza nera che lo considerò con un'occhiata ironica di cui Dionigi non seppe rendersi ragione. Comunque lo salutò con cordialità: «Ciao, io sono Winona, entra»,
Dentro, era tutto un fervore di opere. Daddo, truccatissimo, indossava una lunga veste trapuntata in oro ed era indaffarato a sorvegliare la mise en scene nel saloncino. Grandi vassoi con tartine per tutti i gusti, secchielli d'argento per lo champagne, bottiglie di whisky inglese e americano erano disseminati nei punti strategici e Giorgia, vestita unicamente di un paio di shorts, correva da un punto all'altro per controllare tutto. Salutò Dionigi con un sorriso ed una strizzatina d'occhi. La fotografa stava piazzando i suoi trespoli, osservando l'ambiente con occhio professionale e non degnò Dionigi di uno sguardo.
«Gigì! Dov'e Gigì?», si agitava intanto Daddo, sfarfallando per il saloncino.
«Sono qui, Daddo, eccomi!», esclamo la biondina esile sbucando da dietro un paravento giapponese. Era del tutto nuda, i biondi capelli sciolti le raggiungevano le natiche. Sul corpo aveva piccole stelle di strass, fissate con adesivo.
«Prepara adeguatamente Dionigi, tesoro!», ordinò frettoloso il Daddo e già stava rivolgendosi ad altre incombenze quando Gigì corse a prendere per mano lo sbigottito Dionigi e se lo tirò dietro, sollecitandolo.
«Fa presto, dai, bel fusto!». Oltrepassarono un box dopo l'altro sino a raggiungere, attraverso chilometri di moquette, quello destinato a spogliatoio. «Togliti di dosso quella roba, caro», invito frettolosa. Senza manco guardarlo cominciò a considerare le varie tuniche di foggia romana appese sulle grucce «Extra longue, per te... fammi vedere un po’ ... ecco, proviamo con questa, dovrebbe andarti bene, poi vedremo per i sandali». Tolse la tunica dalla gruccia e si voltò per incontrare l'espressione sbalordita di Dionigi.
«E non fartelo venir duro così presto, dai!» lo ammonì Gigì.
Al diavolo tutto! pensò Dionigi, mica siamo tra educande! In un baleno fu nudo e lei già gli drappeggiava la tunica, incurante del suo gran cazzo ritto. «Si, dovrebbe essere la tua misura. Infilala».
Dionigi indossò la tunica che gli arrivava a meta polpaccio, e indossò i sandali che Gigì gli porgeva.
Dionigi cercò di ritrovare, in quella casa singolare, priva di porte e di identità singole, il box dello spogliatoio. Quando lo raggiunse dentro c'era Winona che stava frugando dentro un bauletto e masticava imprecazioni colorite, molte delle quali Dionigi non aveva mai sentito.
«Com'è che parli così bene l'italiano?», le chiese mentre infilava l'orologio in una tasca della giacca.
« Nacqui a Firenze, bischero!», bofonchiò la nera.
« Ma dove si saranno cacciate le maledette collanine bantù?».
«Bene, ovunque tu sia nata, sei un gran pezzo..»,
sospirò Dionigi guardandole il culo.
« Secondo me vanno matti per te anche se non metti collanine», sospirò Dionigi. «Sembri una statua d'ebano, di ebano lucidato a spirito, sempre che tu sia d'accordo».
«Ma va' a fare il culo, te ed i complimenti tuoi, cazzone!», sbuffò lei. «Aiutami ad allacciare la collana, piuttosto e non metterti in testa idee strane. Se ti avanza un goccio siamo già d'accordo che tocca a Giorgia, intesi?».
Arrivarono i tedeschi. Due coppie. Un grassone pelato, il cranio calvo come una palla da biliardo, ornato da una coroncina di capelli rossi. L'altro lungo, magrissimo, allampanato, con il pomo di adamo che pareva un ascensore in continuo movimento. Abiti scuri, cravatte intonate, scarpe che avevano l'aria danarosa. E avevano le mogli (o le amanti, come aveva insinuato Daddo). Le mogli non erano niente male. Quella del grassone era una bionda con le trecce pesanti a incoronarle il capo, gli occhi di un celeste sbiadito e il corpo solido di una contadina renana. L'altra, la moglie del lungo, aveva la fisionomia di una russa asiatica. Il volto lungo, gli zigomi pronunciati, una bocca carnosa, gli occhi neri come i capelli, lisci e tagliati corti.
Assistito da Gigi e controllato a vista da Daddo che sfarfallava intorno agli ospiti, Dionigi, nella sua tunica romana, servì i primi drinks mentre quelli si aggiravano ancora per l'appartamento. Dietro di loro Francesco, una checca a prima vista, elegantissimo, tedesco impeccabile (a quanto ne sapeva Dionigi) li tallonava traducendo. Dietro Francesco, che i tedeschi chiamavano Franzisko veniva Dionigi, avvolto nella sua tunica romana, i capelli neri spartiti nel mezzo da una riga, una benda rossa in fronte.
Un giro per il grande appartamento, esclamazioni ammirate, i due tedeschi che si guardavano intorno alla ricerca delle indossatrici che erano scomparse, le loro donne che osservavano il frastornato Dionigi, un altro drink, un altro ancora e i compratori erano pronti per il défilé.
La fotografa cominciò a scattare le prime foto, il Daddo se ne stava accanto alla fila di poltroncine e guatava gli ospiti, dall'altra parte stava Dionigi, in seconda fila, dietro i tedeschi il Francesco, pronto a tradurre. A un cenno del Daddo la sarta manovrò le luci. Quelle del saloncino si spensero, i faretti inquadrarono la passerella.
«Et voilà!», esclamò Daddo, sfarfallando con le mani inanellate.
Apparve Giorgia, avvolta in una favolosa pelliccia di ermellino. A Dionigi sembrò una ragazza di sogno, proprio come Giorgia voleva apparire ai tedeschi. Giorgia, camminando sulla moquette della passerella, incedeva leggera, sembrava che le scarpette di raso non toccassero qualcosa di solido ma calcassero le nuvole. Lei andò avanti e indietro poi, al centro della passerella, si voltò verso i tedeschi, sorrise e... aprì la pelliccia. Il suo corpo nudo scintillò, Dionigi restò con gli occhi incollati al pube rosso ma non era il solo. I due compratori maschi emisero grugniti di approvazione e, quando Giorgia scomparve, si scambiarono impressioni. Poi entrò in passerella, un'altra esibizione. Il corpo nudo scintillante di paillettes, grugniti dei tedeschi e... Dionigi osservo con qualche stupore gli occhi accesi delle loro donne, soprattutto la moglie del lungo. Quegli sguardi accesi erano per le pellicce oppure per corpo nudo della mannequin? Gigi scomparve tra gli applausi e fu la volta di Winona. Una venere nera, avvolta in una candida pelliccia di ermellino. Il cazzo di Dionigi, che aveva dato segni di risveglio già durante le apparizioni di Giorgia e di Gigi, si rizzò del tutto, con prepotenza, prima ancora che Winona aprisse la pelliccia. Lei, dopo un bis sulla passerella, se la tolse per gettarla elegantemente sulle spalle mentre usciva, ondulando le anche e lasciando che i tedeschi si lustrassero gli occhi sul culo superbo.
Subito dopo le tre ragazze riapparvero, ma non sulla passerella. Vennero direttamente alle poltroncine ed ognuna portava la sua pelliccia sul braccio in modo che le due coppie potessero esaminarne davvicino la fattura
Il lungo accarezzò il culo di Winona che gli sorrise condiscendente, il grasso le cosce di Gigì che si chino a baciarlo sulla bocca. La tedesca bruna ne approfittò per accarezzarla da tergo fra le cosce e Gigì si volto a sorridere, compiacente.
La bionda dalle grosse trecce chiese qualcosa, ridendo, a
Franzisko, e lui tradusse: «Perché le ragazze sono nude e l'uomo è vestito?».
«Lui è timido, va incoraggiato», ridacchiò vezzeggiando il Daddo.
«Inkoracciato cozzì?», chiese la bionda nel suo italiano teutonico e, mentre Dionigi reggeva il vassoio, sollevò la tunica e mise in mostra il cazzo duro.
«Oh. wonderful, Hans!», esclamò, agguantandolo. Dionigi doveva badare al vassoio e non si mosse.
«Oh, ya, Grete!», rise il grassone chiamato Hans, e aggiunse qualcosa che fece arrossire Francesco. L'interprete non riusciva a staccare gli occhi dal cazzo di Dionigi e tutti se ne accorsero e risero. Tutti meno Dionigi che fissava come un allocco la mano imbrillantinata di frau Grete che gli stringeva il cazzo duro. «Tuo nome cuale?».
«Io? Dionigi...», sospirò l'interessato.
«Io Grete, molie di Hans».
«Tanto piacere», borbottò Dionigi. Se quella non gli mollava il cazzo come avrebbe fatto a servire i drinks?.
«Tu Dionicci molto crosso, molto wonderful. Tu befi drink con io, ya?». Finalmente gli lasciò andare la verga e prese un bicchiere, la sua amica un altro. Frau Grete bevve un sorso e accennò a Dionigi di bere dal suo bicchiere. Un'occhiata a Daddo che sorrise, invitandolo con gli occhi a compiacer la donna.
«Cin cin...» «Skoll...».
«Coraggio, coraggio, amici miei! Beviamo tutti!», sollecitò il Daddo bevendo il proprio intruglio verde.
Il grasso Hans pizzicava il sedere di Winona, il suo amico magro la toccava tra le gambe. La tedesca bruna si attirò Gigì sulle ginocchia e prese a baciarla sulla bocca. Frau Grete sollevò nuovamente la tunica di Dionigi e gli menò un poco il cazzo duro. Lui s'accorse che Daddo li guardava, accarezzandosi sopra il peplo romano che indossava.
La tedesca bruna e Gigì continuavano a baciarsi con la lingua. Ma gli affari sono affari e vengono prima di ogni altra cosa perciò Daddo batté imperiosamente le mani inanellate ed annunciò che sarebbe ripreso il defilée. Subito dopo avrebbero fatto festa.
Francesco tradusse e i tedeschi, disciplinatamente, si ricomposero ma la bruna, prima di lasciar andare Gigì, le succhiò i seni e Dionigi capì perché la sarta non avesse decorato seni e pube con le stelline di strass...
«Un bel contratto, Daddo ha fatto centro! In quanto a te datti da fare con la bionda e non preoccuparti del marito, gli piace vederla scopare con un altro».
«E tu come lo sai?», chiese Dionigi, sospettoso.
«Lo ha detto lui alla moglie, che vuole guardarvi mentre tu la inculi, dice che vuol sentirla gridare mentre la sfondi».
Nel frattempo frau Grete e la sua amica ridevano e confabulavano tra loro, bevendo un bicchiere dopo l'altro. La bruna si chiamava Hanna e suo marito Franz.
Rientrarono le ragazze e subito Hans e Franz le agguantarono ridendo e disputandosele. Gigi ridacchiò: «Cari bamboccioni miei, ce ne sará per tutti, non temete...», e li sfotteva mentre quelli cominciavano a togliersi la giacca. Franz, ridendo, agguantò Giorgia e la bacio sulla bocca, tenendola abbrancata per il culo. Hanna afferrò Gigi e Grete, ridendo, sollevò nuovamente la tunica di Dionigi e gli baciò la pelle, dandole poi un succhiotto d'assaggio. «Tutti nudi!», strillò eccitato Daddo. «Toglietevi le vestimenta, crucchi! Tutti nudi, non vorrete mica mettere in imbarazzo le mie ragazze?».
Gigi cominciò a sbottonare la camicia di Hanna che lasciò fare. Dionigi, accarezzando le trecce bionde di Grete che adesso gli succhiava golosamente il cazzo, le guardava. Francesco tradusse il 'tutti nudi' e subito Grete smise di succhiare e si alzò, gli occhi brillanti per l'alcool e l'eccitazione. Baciò Dionigi sulla bocca e la sua lingua era dolce, sapeva di lingua femminile e di coktail e, intanto che si succhiavano le lingue, lei gli teneva in mano il cazzo e andava palpugnandolo goduriosamente. Quando si staccarono lei era ancora più rossa ed eccitata di prima. «Tu, Dionicci spoliare me! subito! » ansimò allargando le braccia. Dionigi le tolse la giacca e, intanto che lei si sbottonava la camicia, le sganciò la gonna. Ripose ordinatamente gli indumenti sulla poltroncina e lei, tolta la camicia, gli si mostrò in reggipetto mutandine e reggicalze. «Io piace tu cossi! Forse tu volere tutta nuda?».
«Stai bene cosi, sei eccitante con le calze nere ma questo e queste te le devo levare.», le sorrise
Dionigi, sfiorando il reggipetto. Sorridendo lasciva lei si voltò, lasciò che glielo sganciasse e si volse a chiedere il giudizio di lui. Due poppe grandi, più grandi di quelle di Rosy Mandorla ma altrettanto ferme e belle, non se lo sarebbe aspettato. Gliele accarezzò e le strinse un poco. «Sono grandi e belle, Grete!». Lei infilò due dita tra la pelle che aveva bianca come il latte e l'elastico e accennò a toglier si le mutandine di pizzo nero ma non compi il gesto. Voleva che fosse lui a togliergliele e Dionigi lo fece, scoprendo una piccola foresta bionda, Le accarezzò quei peli folti e morbidi e, a questo punto, lei gli sollevò la tunica e gliela fece sfilare dalla testa.
Se loro due si davano da fare neppure gli altri erano rimasti inerti. Daddo e Francesco erano già nudi e brindavano guardandosi negli occhi. Il cazzo dello stilista non era neppur male anche se era ancora molle mentre quello di Francesco, già duro, era piccolo e canino, dalla cappella singolarmente appuntita. Winona aveva spogliato Hans, una pelosa botte di lardo dal cazzo non ancora completamente duro. Hans aveva conservato i mocassini ed i calzini corti ed era buffo ma a Winona non importava, glielo stava menando con sapienza, accarezzando e stringendo, mordicchiandogli i pettorali che parevano quelli di una donna non fossero stati così pelosi.
Franz e Giorgia erano in stadio già più avanzato: lui era allungato su una poltroncina, a gambe larghe e Giorgia, inginocchiata tra le sue cosce magre, gli succhiava il cazzo, lungo e bianco, ben duro nella bocca della ragazza. Anche Hanna era nuda, un bellissimo corpo da modella con piccoli seni a pera che in quel momento erano preda delle mani e della bocca di Gigì. Anche Hanna, come Greta, credeva alla suggestione erotica del reggicalze e delle calze nere e le aveva conservate.
Hans e Winona salirono sulla passerella e lui chiamò la moglie.
«Grete! Grete!», e le faceva cenno di salire, lo fece anche a Dionigi.
«Io e tu fare amore insieme, mio marito Hans lui piace vedere me che io godo con maschio che non è lui! », disse Grete tutta accesa e, afferrato Dionigi per il cazzo, si avviò decisa alla passerella. Vi salirono e lei si stese supina e si tirò addosso Dionigi.
«Subito dentro io! Subito dentro io!» ansimò imperiosa.
«Niente giochetti, vuole che tu la chiavi», gli spiegò Winona che, accosciata accanto a Hans, gli manipolava con successo il cazzo.
«Questi due sono porci ma proprio porci, scommetti che lei è già zuppa nella fica?».
Fieni, fieni dentro io!!», ansimò Grete, allargando le grosse cosce bianche.
« Fieni, Dionicci, aah! Dionigi non se lo fece ripetere. Si inginocchio tra le cosce della donna ma, nonostante Winona lo avesse avvertito che Grete non desiderava preliminari non poté trattenersi dall'assaggiare con la lingua la sua fica. Fu soltanto un assaggio ma la fece gridare, udì che anche Hans gridava qualcosa che non capì, ovviamente. Comunque aveva sentito sulla lingua il denso umore di lei e aveva capito che era più che pronta, Winona non s'era sbagliata a indovinare che era zuppa...
Lentamente glielo mise dentro, strappandole un singulto di libidine. Il grosso cazzo entrò adagio ma con facilità per tutta la sua lunghezza e Dionigi cominciò a pompare, spiando l'espressione di lei che si mordeva le labbra. Le palpò i seni, godendo a sentirne la consistenza e Grete cominciò a respirare in modo strano, aspirando ed emettendo l'aria: «Fffffaaah!!» ed alternava questa maniera singolare di esprimere il piacere con improvvisi, forti lamenti e con invocazioni in tedesco nelle quali ricorreva il nome del marito, Hans.
A un tratto Dionigi si vide Hans a fianco, quasi a contatto con lui che fotteva la moglie. Una mano dal dorso peloso afferrò un seno di Grete e lo palpò, lo strinse forte. Accanto ad Hans si piazzò Winona, le dita strette intorno al cazzo del grassone che adesso s'era fatto duro, con una grande cappella rossa.
Hans grugniva affannato qualcosa, Winona capi, disse a Dionigi: «Lui vuol vedere bene, vuol vedere il tuo cazzo che entra nella fica della moglie!!».
«Ya, ya! io federe!», ansimò Hans e Dionigi, compiacente, si mise un poco di traverso per favorire il tedesco che adesso strabuzzava gli occhi sul so cazzo inanellato dalla fica. Anche a Dionigi piaceva guardare. Intorno alla verga stava formandosi un cerchio di spuma bianca.
«Sta già godendo, la troia!», osservò Winona.
«Aaaah Hans!! Hans!! Schwein!!! Saukerl!!! Ooooh !!» gridò Grete dimenandosi sul sedere paffuto. Hans ruggi qualcosa di incomprensibile e si chino a succhiare la grossa mammella della moglie. Dionigi glielo ficco dentro sino ai coglioni con un colpo, poi aumentó il ritmo e lei venne farfugliando qualcosa, tutto il gran corpo bianco tremò, ricoprendosi di un velo di sudore e, alla fine, Grete lasció le gambe e Dionigi capi che sarebbe stato inutile continuare a scoparla e si fermo. Hans tolse la mano di Winona dal suo cazzo duro, le disse qualcosa in tedesco.
«Dice che non vuol godere ancora, » spiego Winona a Dionigi. «Chiede se puoi trattenerti dal venire perché devi metterglielo nel culo quando Grete sarà di nuovo pronta. Almeno credo di aver capito cosi e Francesco non è in grado di tradurre, Dionigi venne fuori dalla fica di Grete che cominciò a colare e si guardò attorno. Accanto alla fila di poltroncine, sulla moquette, Hanna stava furiosamente leccando la fica bionda di Gigi. Poco distante Franz aveva messo Giorgia a testa in giù contro una poltroncina e la fotteva da dietro, tenendola agguantata per i piccoli seni. Fotteva con calma, senza fretta, in silenzio. Accovacciati sui cuscini stavamo poi, intenti a fare lingua in bocca ed a menarselo a vicenda, Daddo e Francesco. Effettivamente Franzisko non sarebbe stato in grado di tradurre, in quel momento, e Dionigi si accontentò della approssimativa traduzione di Winona. «Di' a Hans che posso aspettare ma... che ha intenzione di fare, lui?»,
Hans si spiego con i fatti. Baciò la moglie sulla bocca, i due si scambiarono parole in tono tenero e Wimona commentò:
«Che strani personaggi... il verro e la sua scrofa, sembra che le voglia più bene quando lei si fa chiavare da un altro».
Hans insisteva a chiedere qualcosa a Grete, lei rispondeva sempre
«Ya, ya, Schatz... mmmmh! ya... ain, ya, Liebling... ya!», e a un certo punto, Hans rialzò la moglie a culo in su ed era davvero un gran culo, bianco, paffuto, burroso. Poi Hans cominciò a leccarle fica e culo e lei prese a gemere e, dopo un poco, a lamentarsi come aveva fatto quando Dionigi la chiavava. Dionigi abbracciò Winona e si baciarono con la lingua. Lei gli prese il cazzo in mano e ridacchiò, golosamente: «Con la scusa che te lo tengo in tiro, vero?» e glielo menò deliziosamente.
«Come vorrei chiavarti, cara!», sospirò lui, «Non mi lamento, naturalmente, ma... sei tutt'altra cosa di Grete».
«Ma non altrettanto facile da accontentare, sai? Comunque si vedrà, adesso non venirmi in mano, per carità, siamo tutti a disposizione dei tedeschi».
«Allora lasciami stare il cazzo, cara, sarà meglio», ghignò Dionigi, Insieme diedero un'occhiata intorno. La situazione era stazionaria per quanto riguardava Franz e Giorgia. Lui continuava a fotterla da dietro, era come se stesse facendo un lavoro e vi si applicava con impegno mentre Giorgia sospirava.
«Almeno lei finirà per godere ma temo che io e Gigi resteremo a secco, questa sera», sospirò Winona. Guarda Gigì cos'è costretta a fare con quella porca di Hanna. E pensare che anche ad Hanna piace il cazzo, sai? Ma lei e Grete si son messe d'accordo. La prossima volta sarai di Hanna, per questa sera sei di Grete».
Hanna e Gigì stavano mettendo in pratica un superbo sessantanove tra donne e si leccavano con furia. « Ma... Gigì non è... lesbica?», chiese Dionigi. «A guardarla si direbbe»...
«Gigi può godere anche con una donna», ammise Winona, «ma preferisce il cazzo. Non è una lesbica, è una maiala, come si dice a Firenze».
Dionigi spostò lo sguardo su Daddo e Francesco. L'interprete aveva fatto mettere Daddo carponi sui cuscini e lo stava inculando. Contemporaneamente gli menava il cazzo e Daddo ansimava e lo invoca- va:
«Si, dammelo tutto! Sei il mio stallone, tu! Sfondami! Sono la tua puttana, fammi sborrare!!».
Riportarono lo sguardo su Hans e Grete. Il grassone stava leccando la moglie e sembrava instancabile. Il cazzo gli s'era piegato in due e lui continuava con la lingua, culo e fica, culo e fica e lei si lamentava, a un certo punto invoco:
«Dionicci!! Ooooh!!! Dionicci!! ».
«è pronta a farsi inculare, la puttanona! ».esclamò Winona. Piantaglielo nel culo e spaccala, è quello che vogliono entrambi! »..
«Ma se le faccio male?», esitava Dionigi. Non ebbe più scrupoli quando il grasso Hans, le labbra ancora appiccicose dei succhi della moglie, si fece da parte ed invitò Dionigi con un gesto esplicito.
«Daglielo tutto, mi raccomando »., invito Winona, mentre Hans, gli occhi accesi, si disponeva nuovamente a guardare. Dionigi si aggiustò dietro le chiappe favolose di Grete e le appuntò la cappella dritta contro l'orifizio.
«Vieni qui, Winona, allargale le chiappe a questa troia!», Winona allargò le natiche di Grete e Hans grufolò, infoiato:
«Ach! Ya! Yal! So, »
Dionigi spinse un poco, la grossa cappella sforzo anello elastico sino a deformarlo. Per un attimo, mentre Grete gridava, temette che l'avrebbe lacerata ma Hans gli urlò
«Herein! herein!. »
«Vuole che glielo infili, dentro, dentro», tradusse Winona e Dionigi spinse, lasciò che Grete urlasse e Hans tappo la bocca della moglie. Le si mise di fronte e, afferratala per le trecce, le infilò in bocca il cazzo nuovamente duro. «Scheisse! Scheisse!!s grugniva pompandola in bocca. Ora Dionigi non ne poteva più e decise che, ordini o contrordini avrebbe goduto.
«le sborro in culo! », disse a Winona.
«Accertati che prima abbia goduto», gli consiglio cinicamente lei,
«Certo che 'sti crucchi gli è vero che son bischeri! Avrebbe potuto darmela a me una bella vergata, e invece che fa? Si fa spompinare dalla moglie mentre lei lo piglia in culo da n'altro! Ovvia, un ce più religione a questo mondo! Meglio l'Africa nera, te lo giuro, che laggiù certe cose 'un si fanno, miseriaccia ladra!».
Ma tu ci sei mai stata in Africa?», volle sapere Dionigi che se ne stava comodo in quel budello caldo e stretto.
«E che, son grulla?», ghignò Winona, «Meglio Firenze, dove vivo, Milano o Roma dove ho trovato lavoro. Ma ora fotti, spaccala tutta e vedrai che ti ringrazia!». E Dionigi cominciò a fottere. Fotteva con un occhio al buco di lei deformato dal gran cazzo duro e uno all'espressione di Hans che stava maltrattando i capelli della moglie, quasi volesse scotennarla. Ma erano cazzi loro, tra moglie e marito non mettere il dito, lui si contentava di averci messo il cazzo. A un tratto Grete cominciò a dimenarsi Hans si tirò indietro e chiamò a sé Winona che si allungò carponi a prendergli in bocca il cazzo duro. Grete, sbattuta vigorosamente da Dionigi che sentiva avvicinarsi il piacere, poggiò la fronte sulla moquette della passerella e la sua mano andò fra le cosce, Dionigi vide che si pompava nella fica con due dita e la sentì tremare e inumidirsi mentre rantolava qualcosa di incomprensibile. Alla fine vennero insieme, lei gridando forte, Hans nella bocca di Winona, Dionigi nel culo di Grete, squassandola con gli ultimi colpi poderosi.
Occorse qualche tempo perché Dionigi riuscisse a tirarlo fuori da quel culo che era come un pozzo di lussuria concentrata. Grete infatti, sentendolo ancora duro, stringeva lo sfintere, non ammetteva di restare priva di quel cazzo e si rassegnò soltanto quando lo sentì fuori del tutto. Dei quattro, la sola Winona non aveva goduto e guardò con desiderio il cazzo ancora duro di Dionigi.
«La notte gli è ancora lunga», sospirò, «e le danze sono appena cominciate. Speriamo che di quella verga d'asino ne resti un boccone anche per me, povera negra di Firenze!».

Ridevano tutti ma Dionigi avrebbe voluto scoparsi Winona oppure Giorgia e avrebbe anche voluto sapere l'ora ma persino i tedeschi avevano tolto l'orologio dal polso per essere più nudi. Stesa bocconí sulla moquette dopo essersi scolata un paio di whisky Grete appariva sfinita o forse era soltanto ubriaca. Hanna, seduta su una poltroncina, considerava con aria torva Gigi che stava brindando con Hans. In quanto a Franz s'era tirato sulle ginocchia Winona e stavano bevendo dallo stesso bicchiere
Dionigi non aveva nessuna voglia di bere e invece ne avrebbe avuta di fumarsi una sigaretta, magari nel cucinino dove la sarta, grassoccia, graziosa e sposata felicemente, dormiva con la testa reclinata sul tavolo. Tuttavia nessuno fumava. Il lungo Franz adesso stava accarezzando le poppe di Winona mentre Gigi, incurante delle occhiatacce di Hanna, stava menando il cazzo molle di Hans, nella speranza di ricavarci alla fine qualcosina.
Daddo e Francesco tornarono dal cucinino ed ognuno reggeva un vassoio con bicchieri da cocktail colmi di intrugli colorati. Dionigi aiutó a servire e tutti ebbero il loro bicchiere ma lui lasció il suo nel vassoio.
« Poco alcool, vero? Fai bene», approvo Daddo,
«E come dosare una medicina, tanto quanto basta, Il troppo ammoscia l'erezione. Okay, approvo e vado a prepararti personalmente un frullato rigeneratore»,
Prima che Dionigi potesse protestare scomparve, canterellando felice. Francesco approfittò della sua assenza per chiedere alla fotografa di scattare sul cazzo di Dionigi che riposava tranquillo, pendulo tra le cosce muscolose. «Poi ne farai un'altra quando ce l'ha duro: prima e dopo la cura, ah, ah, ah, chissà come si divertiranno i tedeschi!».
Dionigi diede un'occhiataccia a Francesco e la fotografa manco si degnò di rispondere.
« Dionicci, mio Dionicci!», invocò Grete, rivoltandosi sulla moquette. «Io tanta volía fare pipi», egli tendeva la mano perché l'aiutasse a rialzarsi. La sollevò senza sforzo, prendendola sotto le ascelle e lei gli s'addossò tutta, gli prese il cazzo e ne soffregò la cappella contro i peli biondi della vulva.
«Mmmmh! gut! bono tanto bono!!», rise ubriaca. Lui le tolse di mano il bicchiere che aveva vuotato in un sorso solo e le accarezzò la schiena setosa, il culo grosso e tenero, glielo palpò con gusto, era un gran bel culo.
A un tratto Hanna si alzò dalla poltroncina e venne a mettersi a fianco di Dionigi e Greta, cui disse qualcosa.
« Io, Hanna e Dionicci pipi!», tradusse Grete prima di scoppiare in una risata da ubriaca.
«Prima drink, ancora drink...». Dionigi era indeciso. Non gli pareva giusto darle ancora da bere. Guardò verso il marito di lei ma Hans era tutto preso dalla bocca di Gigiì. Si strinse nelle spalle e diede a Grete il suo bicchiere.
«Skoll..., cin, cin, buon pro ti faccia», disse lui.
«Tu non befere con io?», protestò Grete.
«Oh, si che beve, come no?», disse Daddo, apparendo con in mano un bicchierone di frullato. Dionigi lo prese, brindo con Grete che a malapena si reggeva in piedi. Sapore di frutta e, probabilmente, un po' di liquore. Non gli dispiacque e bevve tutto.
«Ora pipi ! » annunció Grete, strizzando gli occhi celesti per mettere a fuoco la figura di Dionigi. «Ora pro nobis», borbotto lui, provocando una risatina sciocca di Hanna che aveva capito. Si avviarono tutti e tre e Dionigi, in mezzo alle due donne, le teneva abbracciate per la vita, loro gli si strusciavano contro, malferme sulle gambe. Lui si sentiva forte, quel frullato gli aveva fatto bene, levandogli di dosso la stanchezza della giornata. Trovarono facilmente la stanza da bagno perché era l'unica, in quella casa stranissima, ad avere una porta che peraltro non si curò di chiudere. Grete sedette per prima sul water, sospirando di sollievo mentre si liberava il corpo del liquido. Poi, mentre lei sedeva sul bidet, fu la volta di Hanna a sedere sul water.
« Ach! mio kulo Dionicci tutto romputo...», si lamentava Grete massaggiandosi con lo schizzo la parte offesa. Hanna restava seduta sul water, in attesa, considerando il gran cazzo di Dionigi che, quasi senza che lui se ne accorgesse, stava gonfiandosi, riprendeva consistenza. Hanna lo prese in mano, lo palpeggiò e mormorò qualcosa in tedesco. Dionigi la lasciava fare, condiscendente. Si sentiva in forma splendida, non gli sarebbe spiaciuto fottere Hanna. Le fece una carezza sui capelli mentre il cazzo gli si rizzava sempre più tra le dita della donna. Lei soppesò nel palmo i testicoli e disse qualcosa a Grete che rise. Finalmente Grete si asciugò con una salvietta e Hanna prese il suo posto sul bidet. Dionigi pensò che, già che si trovava in loco, poteva farsi una pisciatina anche lui. Grete rise e gli impugnò il cazzo semiduro, dirigendo il getto con scarsa precisione e ridendo. Poi, tirandoselo dietro per il cazzo, fece mettere Dionigi di fronte al lavabo, insaponò e lavo ma quegli armeggi non erano altro che un tentativo di sega con acqua e sapone e il cazzo divenne di colpo duro nella mano di Grete che rise scompostamente. Glielo asciugò e sospinse Dionigi contro Hanna. Un giochetto gradevole e lui si lasció imboccare dalla bruna mentre Grete glı accarezzava la schiena e gliela leccava. Hanna si teneva in bocca il cazzo e faceva andar velocemente la lingua, se lo assaporava tutto mentre gli accarezzava i coglioni Una mano di Grete andò a stringere quella porzione che restava fuori dalla bocca dell'amica e Hanna, comprensiva, si contentò di succhiare la cappella mentre Grete menava l'asta. Una cosa piacevole e infatti Dionigi sospirò contento ma non intendeva godere nella bocca di Hanna, gli sarebbe piaciuto chiavarsela in piena regola, mostrarle che il cazzo è sempre meglio di una lingua femminile. A Grete doveva essere passata, almeno in parte, la sbronza perché adesso, eccitata, serrò tra le sue una coscia di Dionigi e cominciò a strofinarvi contro la vulva.
Lui la ricambiò accarezzandole il gran culo e provando a ficcarle un dito tra le cosce ma aveva una gran voglia di fottere Hanna. Purtroppo non avrebbe potuto spiegarsi e così lasciò fare ancora per un poco sinché non fu la stessa Grete a risolvere quel la situazione ambigua. Si scostò ansante da Dionigi e parlò concitata a Hanna. Immediatamente la bruna si alzò dal bidet e tutte e due sospinsero il perplesso Dionigi fuori dalla stanza da bagno. Rientrarono nel saloncino dove la situazione era andata nel frattempo maturando.
Stesi sui cuscini Daddo e Francesco erano impegnati in un sessantanove appassionato. Hans aveva nuovamente il cazzo duro e Gigì glielo stava succhiando. Franz stava leccando la fica di Winona che lo spronava gemendo ed artigliandogli i capelli biondi. La fotografa aveva ricominciato a scattare a ripetizione e fotografò anche Dionigi, Hanna e Grete mentre salivano sulla passerella imbottita di moquette. Giorgia, rimasta sola, guardò con desiderio il gran cazzo di Dionigi ma non osava aggiungersi sulla passerella alle due tedesche che avrebbero avuto il diritto di prelazione per tutta la nottata, diamine erano i loro mariti che avevano acquistato l’intera collezione!
Una volta sulla passerella Grete disse a Gigì
«io e Hanna, io e Hanna, io e Hanna! Tu capire? »
«E come no!», ghigno Dionigi, palpandole una mammella e toccando il bel culo sodo di Hanna e «te, io e Hanna, io e Hanna, io e Grete, okay? » realtà aveva capito che sarebbe dovuto restare a disposizione soltanto di loro due e non badare alle altre ragazze e non gli pareva una rinuncia tanto grave. Ma, in pratica, non era soltanto questo che le due volevano, lo capi quando le vide mettersi carponi ed offrirgli la vista allettante di culo e fica e sembravano dire scegli tu. Poi ebbe un barlume, forse volevano che le chiavasse contemporaneamente, aun po’ di cazzo ad una e un poco all'altra? Per saperlo non c'era che un mezzo... Si mise in giusta posizione dietro Grete e le infilo dentro la fica tutto il palo provocando in lei un lamento lussurioso. Poi infilo due dita dentro la vulva scura di Hanna, che rispose con un sospiro di soddisfazione. Entrambe le fiche erano significativamente bagnate e, per un poco, Dionigi ci diede dentro con il cazzo e con le dita, poi cambio donna e Grete gemette forte, si lamentò con Hanna che si lascio sfuggire un lamento di piacere sentendosi penetrare sino in fondo da quel grosso cazzo duro. Cercando di compensare Grete con le dita Dionigi si godeva per qualche affondo la fica scura di Hanna ma ora non soddisfatto. Avrebbe voluto rivoltare Hanna e andandole sopra, schiacciarla sotto il suo peso e schiacciandole le mammelle sode mentre la fotteva. Forse per questo motivo il suo cazzo, pur restando duro ed inflessibile, traeva il minimo piacere da quella soluzione e lui era certo che l'orgasmo avrebbe tardato a venire. Cambiò ancora e sentì che Grete fremeva, la sua fica aveva spasmi intesi a catturare completamente la verga del maschio, forse avrebbe fatto meglio a far godere prima Grete in modo da potersi dedicare completamente a Hanna, come desiderava e nella posizione che desiderava. Al quinto o al sesto cambio si rese conto che Grete stava per godere e allora insisté con lei, spingendo più svelto e più forte il cazzo dentro quella bionda fica ribollente e fu subito premiato perché Grete comincio a gridare e si moveva tutta, il suo gran culo andava incontro ai colpi. Hanna non si lamento neppure quando Dionigi le tolse la mano dalla fica per essere libero di agguantare le grosse poppe dell'amica, anzi cambiò posizione e si stese di fianco, le gambe larghe, le dita della mano a stuzzicare il clitoride mentre guardava eccitatissima Dionigi che fotteva la sua amica.
Anche Dionigi la guardava. Scopava forte Grete che stava godendo e, nel momento in cui la bionda ebbe l'orgasmo Hanna e Dionigi si guardavano fissi, si desideravano dicendoselo con gli occhi. Tuttavia Dionigi non mostro alcuna fretta di uscire da Grete la cui fica palpitava ancora dopo il piacere. Continuò a scoparla ma adagio, accarezzandole i fianchi dopo che, nel momento del piacere, le aveva strizzato forte le mammelle. Ora si guardo intorno.
Le parti fra Winona e Franz si erano invertite. Adesso era lei che succhiava e menava il cazzo di Franz, lungo e bianco. Giorgia, nell'attesa, li guardava e aveva un bicchiere in mano. Hans invece stava scopando Gigi. Erano stesi di fianco, una gamba della biondina sulla spalla grassa e pelosa del tedesco che grugniva nella sua lingua, dicendo chissà quali porcherie mentre chiavava con buon ritmo. In quanto a Francesco e Daddo era un deja vc Francesco ingobbiva sul dorso dipinto a stelline dello stilista e gli infilava il cazzo in culo, scopandolo svelto e, intanto, glielo menava. «Aaaah! Cosi ! con il tuo cazzo in culo mentre mí fai una sega ! si, mi piace caro, sento che tra poco tí godo in mano !», si affannava Daddo e Francesco gli ribatteva
«E io ti sborro in culo! Te lo spacco, il culo! ».
Finalmente Dionigi usci da Grete che si era accasciata bocconi, il volto sul braccio ripiegato, priva di forza. Uscì da lei e guardò significativamente Hanna. La bella bruna allungò una mano verso di lui e il gesto denotava qualcosa più del consenso, era quasi una supplica. Dionigi strinse quella mano, le si stese accanto e la baciò sulla bocca. Mentre lo faceva
si rese conto che, per tutta la sera, aveva desiderato la bocca di lei, grande e carnosa. Scintille di piacere gli percorsero il corpo, si accentrarono sul cazzo rendendolo ancor più gonfio e duro, così come gonfie e dure erano le mammelle di lei che accarezzava e palpava mentre succhiava la lingua dolcissima di Hanna. Pensò che avrebbe goduto dentro di lei, la sua mano scese a coprire quella della donna che si stava accarezzando, lei ebbe un gemito che cercò di trattenere, le dita di Dionigi frugarono insieme a quelle femminili mentre i due continuarono a baciarsi con la lingua... Poi Dionigi pensò che fosse giunto il momento e dolcemente si staccò da lei, la costrinse sotto e intanto la baciava e succhiava i seni tosti, sentiva contro la lingua i capezzoli duri come chiodi, capì che Hanna ne aveva talmente voglia che non avrebbe tardato a godere. Allora indirizzò il grosso cazzo dritto contro il bersaglio dolce e Hanna lo afferrò con la mano, come a trattenerlo.
«Langsam, Tioniggi! sachte! oh, sanft, Tioniggi, bitte!». Lui non capì le parole ma il tono era di raccomandazione, come se lo pregasse -e in realtà era così-di far piano, con delicatezza. Dionigi lo capì, lasciò che fosse lei a guidare il cazzo dentro il piccolo cespuglio scuro, lasciò che fosse lei ad adoperare entrambe le mani per allargarsi ed era una pratica estremamente voluttuosa perché in quel modo, mentre si apriva, gli accarezzava la cappella con le dita... Mentre il grosso cazzo entrava lei ebbe un grido di passione, le sue dita accarezzarono per qualche istante il piccolo clitoride che rosseggiava al culmine dell'apertura vulvare, poi il grande tronco di carne del maschio, entrando e spingendosi a fondo, compresse il punto del piacere e lei ritirò le dita.
Quando Dionigi fu tutto dentro si chinò a schiacciare con il suo corpaccione solido il bel corpo di Hanna. Le loro labbra si incontrarono, le gambe di Hanna si incrociarono sopra le reni del maschio e fu il principio. Con nessuna donna Dionigi aveva scopato così bene, così come in perfetta simbiosi tra maschio e femmina. C'era una fusione di carne tra loro, sin da principio un sincronismo di movimenti che lui non avrebbe mai supposto quando Hanna pareva tutta presa di Gigi. Adesso era tutt'altro, adesso era soltanto e compiutamente femmina, splendidamente femmina. Muti si baciavano, si succhiavano e mordevano le lingue mentre il cazzo di lui faceva il suo lavoro, la colmava tutta, la pompava forte e dolce;
soltanto i respiri, che si confondevano e si mischiavano, erano più intensi del normale e chiunque li avesse uditi senza tuttavia vedere avrebbe indovinato che si trattava di due amanti intenti a prendersi. Lo indovinò Grete che, sfinita, giaceva bocconi ma trovò la forza di sollevarsi a guardare, puntellandosi su un gomito, e invidio Hanna che era tutt'uno con il corpo del maschio. Grete capi che il piacere di Hanna non era libidine ma pura e semplice essenza di vita. Sapeva che Hanna non amava Franz, né il suo modo freddo di prenderla e di rapportarsi con lei; erano semplicemente legati da affetto, reciproco interesse, convenienze sociali che dimenticavano nel corso dei loro viaggi. Grete, invece, amava profondamente Hans e ne era riamata. Per loro il sesso era suscettibile di complicazioni di ogni genere, purché intense, purché fuori dalla rigida norma dell'abitudine. Soprattutto purché vissuto insieme.
Franz invece se ne infischiava di Hanna, lasciando la semplicemente libera di arrangiarsi. Mentre Hans godeva del piacere della moglie Franz se ne disinteressava.
Grete guardò in basso e vide Franz. Stava scopando con Winona e lo faceva alla sua maniera. Gli piaceva farlo da dietro, alla pecorina mentre Grete sapeva che Hanna voleva essere schiacciata e baciare il suo partner, esserne baciata e toccata mentre facevano all'amore. Franz aveva messo Winona in ginocchio su una poltroncina e la scopava da dietro lui in piedi... Con metodo, senza stancarsi, senza gemere, senza grugnire, senza dire parole sporche. La scopava e basta. Come una macchina. Efficiente senza dubbio, Grete aveva scopato una volta con hai e ne aveva ricavato piacere ma soltanto il minimo indispensabile per raggiungere l'orgasmo. Non c'erano stati voli sopra le nuvole, grida, morsi, parole da trivio, soltanto una specie di stantuffo lungo e bianco e, alla fine, Grete non aveva potuto fare a meno di godere. Gli occhi di Grete tornarono all'amplesso tra Dionigi e Hanna. Lei s'era fatta la fama di lesbica perché trovava le donne più dolci, più sincere e più appassionate nell'amore tra loro. Grete sapeva che Franz la prendeva una volta la settimana, regolarmente e per lui era uno sfogo e insieme un esercizio ginnastico. Hanna avrebbe voluto molto di più e l'aveva cercato nelle donne ma la sua omosessualità non era naturale, bastava guardarla sotto Dionigi per capire che era femmina da maschio.
In quello stesso momento Dionigi pensava le stesse cose. Sentiva le gambe di Hanna serrarsi con forza progressiva, i talloni di lei battergli sui glutei mentre la fotteva appassionatamente. La sentiva raggiungere l'orgasmo, la assecondava nei minimi movimenti ma... era lui che si trovava strano, non era normale che fosse così appassionato nella mente e così freddo nei sensi. Il cazzo gli pareva duro innaturalmente, era come avulso dal cervello che, da sempre, era padrone di sensazioni, impulsi, e governava sovrano il cazzo ed il padrone del cazzo.
Questa volta il cervello non dava alcun imput, restava lucido e riflessivo, registrava ogni sospiro, ogni briciola di piacere, ma non v'erano segni che prima o poi, quel piacere sarebbe esploso nell'orgasmo liberatorio...
«Aaaah! godiamo insieme!! io ti sborro nel culo sei la mia troia!!» gridò in quel momento Francesco e gli fece eco la voce strozzata di Daddo:
«Si! io vengo, amore mio! Spaccami, Francesco, sbroda nel mio culo, che sto venendo anch'io!!».
Anche Hans soffiava più forte mentre scopava Gigì,
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