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Lui & Lei

IL CONDOMINIO - CAPITOLO SECONDO


di Giangi57
05.02.2020    |    2.962    |    2 9.9
"Al primo istante di sorpresa subentrò in lui la preoccupazione..."
CAPITOLO SECONDO

Col mese di giugno venne finalmente il caldo e nell'alloggio della portineria si stava bene, c'era più fresco che negli altri appartamenti.
Dionigi aveva ogni ragione di dichiararsi soddisfatto. Di sé e del proprio lavoro. Flora Malvolti si era rivelata un'amante calda e appassionata, pronta a ricevere ma prontissima a dare. Due o tre volte la settimana scendeva alla lavanderia e Dionigi se la godeva in tutti i modi e la faceva godere. Al di fuori di questi loro incontri era rispettosissimo con lei e la trattava come se tra loro non ci fosse assolutamente niente al di fuori di un rapporto che intercorre fra un portinaio gentile e una casigliana bene educata. Flora gli era grata anche di questo.
Insomma Dionigi avrebbe dovuto essere felice o quasi ma... ma si era innamorato di Karina Brusati, innamorato senza rimedio e purtroppo senza speranza. A parte la differenza di età e di condizione lei lo trattava come un vecchio amico ma sotto il profilo che Dionigi avrebbe desiderato non lo vedeva neanche. E lui impazziva di amore e di desiderio. Eh, sì, anche di desiderio perché Karina, in giugno, sembrava un fiore sbocciato da poco. Alta, squisitamente modellata, con quei corti capelli neri e gli occhi azzurri avrebbe fatto voltare per la strada anche un novantenne. Aveva quella freschezza mista a sensualità che fa ammattire gli uomini e, siccome Dionigi era uomo, ammattiva pure lui. Adesso Karina girava in maglietta Lacoste, gonnellina corta, scarpe tennis sui piedi nudi. Continuando a scorrazzare in motorino s'era abbronzata e Dionigi sapeva che prendeva anche il sole sulla terrazza ovest, riservata all'appartamento Brusati.
La fine delle scuole si avvicinava e Karina, che frequentava la seconda liceo, prevedeva di essere rimandata in almeno due materie, latino e geografia, forse in matematica, ma non se la prendeva più di tanto. Un pomeriggio verso le quattro scese a chiedere aiuto a Dionigi per sistemare un dondolo sulla terrazza ovest e a lui non parve vero di accettare.
Il palazzo disponeva di una grande terrazza divisa in settori. Il settore nord, sopra il frontale del palazzo, era comune a tutti coloro che, fra gli inquilini, volessero stendervi i panni ad asciugare. La porzione a est era appannaggio del direttore Pigato e famiglia, quella a sud dello stilista Gregori che vi aveva fatto costruire un grande capanno tipo tucul e invitava gli amici, a sera dopo cena, per fantasiosi drinks. Infine c'era quello a ovest che era di pertinenza Brusato.
Agguantata la cassetta dei ferri Dionigi chiuse la guardiola e si avviò all'ascensore, contravvenendo alle regole che gli vietavano di abbandonare la portineria se non per casi urgenti. Chi avesse suonato, infatti, non avrebbe ricevuto risposta ma lui pensava che tutti gli inquilini avevano la chiave del portone e, una volta tanto, avrebbero potuto aprirselo da soli, abbandonando per un momento le auto sul passo carraio. Era in preda all'emozione quando entrò nella terrazza ovest. Vide subito il dondolo squinternato ma non v'era traccia di Karina che lo aveva preceduto. Poi la vide uscire da una piccola cabina in legno e a momenti gli veniva un colpo: lei s'era messa in costume da bagno ma quello che indossava era un costume per modo di dire: un tanga costituito da un filo tra le natiche che manco si vedeva e, sul davanti, un triangolo di stoffa che a malapena le ricopriva il sesso. In quanto al reggiseno, poi, si vedeva sin troppo la sua inutilità, non era che una striscia di stoffa nera che ricopriva i capezzoli.
Conscia dell'effetto che aveva suscitato in Dionigi lei assunse un paio di pose provocanti mentre faceva dondolare la cinghia di una macchina fotografica.
«Sai fotografare, Dionigi?». Lui inghiotti saliva quando volle rispondere gli uscì dalla gola un rauco borbottio.
«Ti faccio effetto? Speriamo bene. Ora voglio che mi prendi qualche foto, ho promesso di regalarle a quei compagni di classe che saranno bocciati cosi se le tengono come segnalibro...», e intanto guardava i calzoni di Dionigi e la montagnola che vi era sorta improvvisamente al centro.
«Sai, io penso che gli sarà di conforto, magari ci si spareranno su delle seghe dell'ostia». Rise e sogguardò maliziosa Dionigi che era rimasto a bocca aperta, incapace di profferir parola.
«Cos'è che c'è, adesso, ti ho scandalizzato? Ma dai, cosa vuoi che me ne importi se si masturbano con le mie foto».
«Ma... ma... Karina!», riuscì finalmente a protestare lui.
«Lo sa tua madre che... non è troppo presto per prendere il sole in costume da bagno? E poi... insomma, io quelle foto mica te le faccio! Se lo viene a sapere la signora Brusati mi caccia su due piedi!».
«Ma dai! mica sono nuda, no?».
«Eh, nuda no, ma quasi», e Dionigi, guardandola da capo a piedi inghiotti nuovamente saliva. Era pazzo di lei ma, ora, Karina, lo metteva in difficoltà, forse lo faceva apposta, voleva stuzzicarlo e poi, se lui avesse fatto il viscido, come diceva sempre parlando del suo professore di latino, magari lo avrebbe deriso...
«Dionigi, dai, fa no il bamba, adesso!», si stizzi lei.
«Guarda ti faccio vedere come funziona». Aveva estratto la macchina fotografica dalla custodia, gli si accostò per mostrargli i dispositivi e a lui tremarono visibilmente le mani quando prese la macchina. Poi Karina andò a sedere sul dondolo e Dionigi, con un sospiro, la inquadrò, scattò una foto. Una posa diversa, un altro scatto. La fotografò dieci volte in dieci pose diverse e ogni posa era più osé della precedente. Inoltre Dionigi ebbe la netta sensazione che gli occhi di lei fissassero il malloppo fin troppo evidente dei suoi calzoni ma non sapeva proprio cosa farci, mica si poteva mettere una mano in tasca...
«Il rullino è finito, Karina».
«Okay, se son venute bene una la do anche a te. Sai, nel caso che anche tu...».
«Grazie, non la voglio, ti vedo tutti i giorni in carne ed ossa»,
«E cosa ne dici della mia carne e delle mie ossa?».
Lo stuzzicava apertamente ma, se si fosse lasciato andare, gli avrebbe fatto uno sberleffo, ci avrebbe giurato...
«Niente male, meriti un sei più».
«Eh la madonna come sei tirato! », rise lei. Si mosse un po' sul dondolo che mandò stridori preoccupanti di ferraglia.
«Se vuoi che ci dia un'occhiata scendi di lì», le disse Dionigi, chinandosi sulla cassetta degli attrezzi. All'improvviso lei si fece seria, gli accennò di tacere.
«Ssst! Vienimi dietro», sussurrò scendendo dal dondolo.
«Ti faccio assistere ad uno spettacolino».
Lo prese per mano, avviandosi verso la porzione di terrazza comune. «Non far rumore, mi raccomando», gli sussurrò.
«Ma dove mi porti? Cosa c'è da vedere?», chiese lui preoccupato. Quella era una testa matta, magari lo cacciava in un pasticcio... Lei si sporse a guardare attraverso la porta semiaperta della terrazza comune. Panni stesi ad asciugare al sole, nessuno in vista. Attraversarono silenziosi la terrazza sino al divisorio, costituito da un graticcio in legno verde, fatto a losanga. Sotto il graticcio, a intervalli regolari, erano disposti cassoni di cemento verde con piante rampicanti che avrebbero dovuto assicurare una relativa privacy. Accennandogli di far silenzio e sempre tenendolo per mano Karina si accostò a un punto dove l'edera era più rada e consentiva di guardare sulla terrazza est, quella di pertinenza dei Pigato. Si udivano voci sussurrate ma abbastanza chiare e Dionigi riconobbe quella della signora Bruna Pigato e quella di Nino, il figliastro antipatico.
«Dai, Bruna, mettiti come piace a me... »,
«Uffa, ma la vuoi finire? Va giù a studiare, va'...,
«Prima mettiti come dico io... »,
«Evvabbene, ma spicciati, voglio prendere il sole...»
Karina attirò maggiormente a sé Dionigi, si trovarono fianco a fianco, lei un po' davanti a lui che non poté evitare il contatto. Sentiva contro il cazzo la natica di lei e se ne eccitò talmente che gli si misero a ballare le ginocchia e temette di venire nelle mutande, scioccamente. Karina non mostrò di essersi accorta di nulla e gli indicava qualcosa attraverso lo schermo dell'edera. Finalmente gli riuscì di guardare. Erano effettivamente Bruna Pigato, la moglie giovanissima del direttore di banca e il suo figliastro, il Nino che Dionigi considerava stronzo e maleducato.
Erano entrambi nudi, lei distesa su un fianco sopra una brandina da spiaggia ed il suo corpo era davvero una statua di carne come Dionigi aveva immaginato, soltanto il piccolo triangolo nero fra le cosce non era roba da statue. Nino stava in piedi, il cazzo ritto nella mano e se lo menava adagio, in atteggiamento impaziente. Un cazzo piccolo, bianco, incappucciato che usciva soltanto la punta rossa della cappella. Con uno sbuffo di sopportazione Bruna Pigato si mise in ginocchio sulla brandina e lui le andò dietro, infilò dritto quell'uccello di striminzite proporzioni e cominciò ad agitarsi come un forsennato. Per circa tre secondi. Poi lei lo ammonì, in quieta:
«Sta' attento, non venirmi dentro!», e Nino un passo indietro e schizzò all'aria.
«Hai finito?», chiese lei. «Dammi un po' di olio solare, prima di andartene».
«Non posso, ho un appuntamento e devo ancora far la doccia. Ciao».
Stava già raccogliendo maglietta e calzoncini e si avviava alla porta.
«Stronzo!», gli gridò dietro lei.
«Stronza sarai te», le replicò prima di scomparire dietro la porta della terrazza. Con un sospiro lei si alzò, andò a una panchina a prendere un flacone di olio e una salvietta. Stava per stendersi nuovamente sulla brandina quando i suoi occhi incontrarono quelli di Dionigi. Fu un attimo, lui si scosto ma con la certezza che lei lo avesse visto.
Karina lo prese per mano e si allontanarono in silenzio,
«Hai visto che roba, con la mammetta? », gli sussurrò lei mentre attraversavano la terrazza comune.
«Mica è proprio sua madre, è la matrigna», osservò Dionigi ma era egualmente impressionato. Senza contare che quel suo dannato affare gli s'agitava dentro le mutande peggio di un cavallo imbizzarrito
«è sempre la moglie di suo padre, no? » gli fece notare Karina mentre entravano nell’ala ovest. «Comunque sono due stronzi, lui e lei»
«Certo non si comportano bene», borbottò Dionigi
«Però lo spettacolo ti è piaciuto, no ? » volle stuzzicarlo lei.
«Guarda, non negare perché si vede sai?», e gli batté un colpetto irriverente sul malloppo.
«Era così anche prima! si lasciò sfuggire Dionigi e l'attimo dopo si sarebbe tagliato la lingua a morsi. Karina lo guardò maliziosamente mentre sedeva sul dondolo scassato.
«Me n'ero accorta, sai Sono lusingata, signore, davvero lusingata.., e già» una risatina squillante. «L'ho visto mentre mi fotografavi e... l'ho sentito mentre guardavamo la Bruna e quel porcello del Nino. Però chissà perché lei lo lascia fare. Pensi che ci provi gusto?»
«Direi proprio di no», sbuffo Dionigi Seti, se devo ripararti il dondolo scendi da li, altrimenti me
ne torno in portineria. Magari dabbasso c'è qualcuno che insiste al citofono.
«No, niente riparazioni al dondolo. Per quello risaliamo domani. Tu lo ripari e io prendo il sole. Ti va? Oppure hai paura?».
«Paura di cosa? Di cosa dovrei aver paura?» chiese lui ma la voce risuonò falsa.
«Che io ti seduca, no?», rise lei
«E smettila!».
«Sei sempre eccitato, non negarlo, ti faccio effetto».
«E allora? Mi fai effetto si. Sono normale, sai ?»
Me lo fai vedere?»
«Ma... Karina, guarda che.. insomma… »
«Perché? Voglio vederlo. Scommetto che ce l'hai più grosso di quello di Nino. »
«Karina, guarda, io scendo in portineria ! »
«Aspetta, scemo! Voglio vederlo, davvero. Senza secondi fini. Prometto. Soltanto vederlo. Sono curiosa Ne ho già visti, cosa credi! Quest'anno hanno rifatto i gabinetti a scuola e io, con le mie compagne guardavamo i maschi da una fessura di un tavolato quando andavano a pisciare. Una volta uno della quarta si è sparato anche una sega».
« ma guarda che roba! se lo sapesse tua madre, se salisse alla terrazza, se ti sentisse parlare a questo modo e... e io che ti ascolto».
«e ce l’hai duro..», ghignò lei con una smorfietta carica di malizia.
«dai, Dionigi, tiralo fuori! Se me lo fai vedere io ti fo vedere la mia cosina. Restiamo dove siamo adesso, senza avvicinarci, senza toccarci. lo te la mostro e tu me lo fai vedere».
Adesso lo fissava seria, gli occhi azzurri intenti nei suoi, le belle labbra rosse appena dischiuse a rivelare la chiostra candida dei denti. Quasi in un sussurro insisté
«Dai, voglio vederlo..».
E Dionigi, sconvolto, perse la testa. Voleva vederlo? E lui lo avrebbe tirato fuori, glielo avrebbe fatto vedere, avrebbe considerato la differenza tra il cazzettino incappucciato di quello stronzo del Nino e il suo ! Ecco, l'aveva tirato fuori e svettava dai calzoni diretto superbamente al cielo, a Karina parve un enorme minareto di carne sormontato da una grande cupola rossa e un goccia brillava al sole sopra quella cupola...
Dionigi vide l’espressione di lei. Era rimasta a bocca aperta, gli occhi sbarrati, non scherzava più
«E la tua cosina?», le chiese roco.
«Non me la fai vedere?».
Lei s'era fatta pallida, persino le labbra le si erano sbiancate, gli occhi solitamente di un celeste brillante le si erano fatti opachi, come attraversati da un velo di foschia. All'improvviso balzo giù dal dondolo, corse veloce verse la cabina e vi si rinchiuse.
Dionigi resto come un allocco, con il cazzo all'aria, a fissare sbigottito la porta chiusa della cabina. Infine rinfoderò a fatica il pene che non voleva saperne di restare dentro le mutande, tirò su la lampo e stava raccogliendo la cassetta degli attrezzi quando Karina usci, vestita. Gli si accostò esitante,
«Devo chiederti scusa, Dionigi... lo volevo stuzzicarti un po'.. poi ho capito che sono una cretina... mi hai fatto effetto, sai... non sarebbe stato più un gioco... dimmelo pure che sono una stronza ! » .
«No, non te lo dico perché non lo sei», sospirò Dionigi. «Senti, è meglio che io scenda per primo, domani salirò ad aggiustarti il dondolo, ma presto, quando non ci sei. D'accordo?».
«D'accordo», mormorò lei, ancora pallida. «Amici come prima?».
«Ma certo».
«Non me ne vuoi per la stupidata che ho fatto?».
«No, non te ne voglio affatto. Ciao»,
«Ciao», sospirò Karina.
L'ascensore era occupato e Dionigi era ancora tutto sottosopra, preferì scendere le scale a piedi. Dabbasso, ferma accanto alla porta della guardiola, stava Bruna Pigato, Indossava uno chemisier decisamente estivo, privo di maniche, con una scollatura quadra, sandali dal tacco basso. Sembrava impaziente.
«Eri su in qualche appartamento, Dionigi?», domandò in tono chiaramente inquisitorio.
«No, signora Pigato. Stavo in terrazza a riparare il divano a dondolo della signorina Brusati». La risposta sembrò turbarla.
C'era anche Karina, con te?».
«No, ero solo», menti istintivamente. «Le serve qualcosa, signora?».
«Devo parlarti. Non qui, scendiamo un momento in lavanderia».
Il cervello di Dionigi cominciò a lavorare febbrilmente mentre scendevano i pochi gradini per il seminterrato. Lei fece alcuni passi all'interno prima di voltarsi a fronteggiare Dionigi.
«Eri tu che mi spiavi, vero?». Non gli diede il tempo di negare.
«Non poteva essere Karina. Ho visto chiaramente un paio d'occhi marrone attraverso l'edera. Marrone come i tuoi. Cosa hai visto? Giochiamo a carte scoperte, Dionigi!».
Lo fissava fredda, attenta alle sue reazioni ma, con un napoletano, ci vuole altro.
«Signora, non capisco cosa intenda lei però, se ero io, ciò che ho visto lo sa lei e, se non ero io, non posso sapere cosa ci fosse da vedere. Comunque non ho spiato nessuno».
«E invece sì. Forse non l'hai fatto di proposito, forse non volevi ma hai sentito delle voci, ti sei incuriosito e... hai visto. Ora ascoltami bene. Non mi piace tergiversare. Se veramente hai visto io... sono pronta a darti qualcosa in cambio del tuo silenzio. Mi sono spiegata? La merce l'hai già vista, ne sono certa, non potevi essere che tu. Ora dammi una risposta chiara e non prenderla alla larga. »
«Certo la merce è di prima qualità», rispose Dionigi.
Poche parole ma, appena il tempo di pronunciarle e ce l'aveva duro. Adesso non ne poteva più di quelle docce scozzesi, gli scoppiavano le palle. Perciò aveva tagliato corto. Non distolse gli occhi da quelli di lei e vi lesse sollievo.
«L'accordo è fatto, allora», disse Bruna Pigato.
« Però... devo essere ben certa di ciò che hai visto. Non mi va di darla gratis, tanto per essere chiari. Allora?».
« Allora Nino è uno stronzo autentico. Prepotente, viziato, un cazzo da ridere e non sa fottere. Ti basta?». Il cazzo urgeva nelle mutande di Dionigi e, nei coglioni, lo sperma si comprimeva pericolosamente. Meglio provvedere con urgenza e il bersaglio era a portata.
« Mi basta», Lei ebbe un sorrisetto divertito, nonostante la situazione ma immediatamente si rifece seria. «C'è una cosa ancora più importante: di te mi fido, non mi sembri carogna e poi... siamo d'accordo sul compenso. Ma devo sapere se davvero Karina non era sulla terrazza. Devo esserne certa, Dionigi! Basterebbe un suo accenno, anche velato, a sua madre o a qualcun altro del palazzo e sarei rovinata. Mario, mio marito, non esiterebbe a chiedere il divorzio».
«Karina è uscita alle tre e mezzo», rispose tranquillo Dionigi. «Passando mi ha chiesto di riparar-
le il dondolo per domani. Perché dovrei mentire su questo punto? ».
«Va bene, ti credo». Era evidente il sollievo di Bruna.
«Ed ora non vuoi vedere tu la merce?», insinuò Dionigi, abbassando la cerniera lampo. Tirò fuori il cazzo e Bruna reagì come Karina: spalancò tanto d'occhi e si leccò le labbra.
« Madonna che sberla di cazzo!! Oh beato!», Dionigi non aveva mai sentito tali apprezzamenti dalle sue scarse donne napoletane. Se l'erano preso dentro oppure in bocca, punto e basta. A Milano invece sembrava che facesse furore. Non si fermò a chiedersi se i napoletani lo avessero più grosso dei milanesi o se fosse lui ad avere un cazzo fuori misura.
Se il commento di Bruna Pigato significava gradimento lui era a posto.
«Dionigi, io.. io ero pronta per una sveltina ma... questo cazzo me lo vorrei godere con calma, capisci? Sono le cinque e mezzo, quasi, e tra una mezz'ora mio marito esce di banca...». Sembrava sincera e, intanto che parlava, gli aveva afferrato il coso e lo palpava, lo stringeva, le afFlorava nello sguardo una chiara ammirazione mista a voglia,
«Sono di tempi lunghi, capisci?», spiegò senza distogliere gli occhi dal cazzo che andava manipolando.
«Ma io non ne posso più. Non sono un coniglietto come Nino ma adesso sento che potrei godere in meno di tre minuti», la pregò abbracciandola. Lei gli fece sentir subito la lingua e le mani di Dionigi scesero ad abbrancarle il culo che era di marmo come aveva immaginato. Un frutto di marmo, ma rivestito di seta
Bruna si staccò, ansimando:
«Te lo prendo in bocca, ti faccio godere cosi, va bene?»
Non attese risposta, Si inginocchiò e, dal modo con cui gli prese in mano il cazzo, Dionigi capi che era un'esperta ma non soltanto questo: le piaceva prendere il cazzo in mano e in bocca e lei gliene diede immediatamente la dimostrazione. Aveva un certo suo modo di menare il tronco mentre succhiava delicatamente la cappella che denotava in lei non soltanto competenza ma anche passione. Infatti articolava il polso in modo che le dita, strette sul membro, assumevano un movimento quasi circolare e, soprattutto, stringeva forte. Era evidente che il sesso del cazzo nella mano la eccitava. Lo teneva impugnato esattamente a metà, quando arrivava alla cappella la strusciava con il pollice e, quando scendeva sino alla base, allentava la stretta e le dita si facevano carezzevoli sui coglioni gonfi. Come se non bastasse la sua bocca compiva un'opera di suzione estremamente voluttuosa: la lingua leccava la cappella e il frenulo, le labbra si stringevano in cima per lasciar spazio alla mano che manovrava il cazzo e, quando succhiava, pareva voler estrarre a forza la linfa da quel cazzo che teneva in mano e in bocca...
« Tesoro, così mì fai godere subito!», rantolò Dionigi,
«Oh, ma domani ti ripago, sai? Te ne do quanto ne vuoi, finché non dici basta!».
Un accenno di mugolio, era un consenso, gli morsicchiò leggera il cazzo mentre lo stringeva forte.
«Succhia, tesoro, succhia!! Succhia cosi, mi fai venire!! Aah!! ti godo in bocca!! Vengoooo!!!», e lei succhiò tutto, ed era tanto, succhiò sino all'ultima goccia e continuava a suggere con forza, gli spremeva il cazzo, leccava e succhiava e Dionigi dovette forzarla perché smettesse. Bruna si rialzò con gli occhi accesi e ansimava come se avesse goduto lei, era pallida, tirata in volto: «Sono tutta bagnata, hai un gran bel cazzo, tu!».
«Vuoi che te la lecchi? Che ti faccia godere?», propose subito lui.
«No non mi va di godere così, con la lingua! Domani voglio levarmi la voglia del tuo cazzo! Me la leccherai ma soltanto poco, Mario non sa fare altro e più mi lecca e meno godo... Lasciami andare, adesso, ho un gran mal di testa, mi succede sempre Quando mi vien la voglia sino a questo punto e poi non riesco a soddisfarmi. Ciao, devo scappare. Domani, verso le quattro, scendo da te. Ma non mi va nella lavanderia, potrebbe sorprenderci chiunque e poi. mi piace farlo a letto..».
«D'accordo, andremo nel mio alloggio. Domani è giusto giovedì, nessuno potrà dir niente se non sto nella guardiola».
«Tienimi in caldo quella stanga che ti ritrovi tra le cosce!»
«A domani, ti aspetterò con ansia e... con la mia stanga in tiro! ».

Al mattino, dalle otto alle nove, uscivano, quasi tutti. Facendo l'inventario delle auto rimaste in cortile Dionigi sapeva chi era dentro e chi era fuori. Quel mattino, alle nove, la Saab del Mandorla era ancora nel cortile, alle nove e trenta non era ancora uscita, alle dieci era ancora lì e Dionigi capì che il Mandorla non sarebbe andato in ufficio. Magari un'influenza, un raffreddore, un'indisposizione qualsiasi. Ma, in fondo, che gliene fregava se il Mandorla non era andato in ufficio? La verità era che Dionigi era nervoso, anzi aveva i nervi addirittura a fior di elle. Non vedeva l'ora che fosse pomeriggio, che Bruna Pigato scendesse in portineria, che lui la stendesse sul letto e... che cosa le avrebbe fatto, oltre che chiavarla? Come l'avrebbe chiavata? In che posizione? A pensarci gli veniva duro e lui si innervosiva, si dava dello stupido. Per tutta la notte aveva fatto sogni in cui si vedeva tra due donne, la Bruna Pigato e la Flora Malvolti che facevano a gara per dargli piacere ma lui non riusciva mai a venire perché, da un balconcino, Karina lo spiava e Dionigi non aveva occhi che per lei che, nel sogno, lo incitava:
“Dai, fammi vedere quando sborri! fammi vedere quanta ne fai!”, e lui impazziva, si svegliava digrignando i denti...
Alle undici era tanto teso che considerò seriamente l'ipotesi di masturbarsi per allentare la tensione.
Alle undici e cinque scese nel cortile Rosy Mandorla e sembrava agitata, quasi in angoscia a giudicare dallo sguardo che rivolse di sfuggita a Dionigi che se ne stava dentro la guardiola. La vide aprire il portoncino pedonale e restar li sul marciapiede. Forse aspettava il medico per il marito ma non lo avrebbe certo fatto arrivare prima, aspettandolo fuori di casa.
Alle undici e un quarto Dionigi la vide rientrare insieme a un tizio dai capelli lunghi sulle spalle e
la faccia butterata che lui conosceva. Sapeva che era un amico di Daddo Gregori perché una volta gli aveva impedito di entrare e quello s'era ribellato e aveva cercato di colpirlo con un pugno. Dionigi era una pasta d'uomo ma non gli andava d'essere preso a bersaglio, cosi aveva agguantato per il colletto il butterato, gli aveva dato una scrollata niente male e, per finire, un diretto nello stomaco. Quello s'era messo a vomitare sul marciapiede intanto che correva con alle calcagna Dionigi che voleva suonargliene ancora ma, più tardi, Daddo Gregori aveva cito fonato in portineria spiegando a Dionigi che il butterato era un suo collaboratore ma non gli aveva mosso alcun rimprovero. Dionigi non capiva come quel ceffo patibolare, poco in linea con lo stile del Daddo, potesse collaborare al lavoro del Gregori ma non erano affari suoi. Adesso lo vide venire verso la portineria e teneva per il gomito, familiarmente, Rosy Mandorla, bianca in volto e come atterrita, Si preparò ad aprire la porta della guardiola quando vide, con stupore, che entravano nel seminterrato e il butterato aveva tutta l'aria di sospingere Rosy Mandorla. Scomparvero e Dionigi, perplesso e preoccupato, si chiese se non avrebbe fatto bene a scendere a sua volta, magari con una scusa, per accertarsi che tutto andasse bene. Ci rifletté un paio di minuti e poi decise di scendere. Lo fece in silenzio, se avesse captato una semplice conversazione privata, se non ci fosse stato motivo di preoccupazione, non si sarebbe mostrato, non voleva mettere in imbarazzo Rosy Mandorla.
Era strano che si fossero infilati nella rientranza se dovevano soltanto parlare. Li sentiva, però, e vedeva le ombre di entrambi proiettarsi contro la parete bianca.
«Ecco, qui ci sono le chiavi dell'auto, mi dia la busta, adesso», sentì che diceva Rosy.
«Okay», l'ombra dell'uomo intascò qualcosa, mostrò qualcosa che sembrava una busta. «Questa però te la devi guadagnare, bellezza. Lo sai cosa voglio da te. Può darsi che facciamo ancora credito a tuo marito ma tu devi essere brava, capito?». L'ombra allungò una mano, si sentì un grido soffocato di Rosy: «No! questo no! mi lasci stare. Mi dia la busta, io le ho dato le chiavi della macchina!».
«E piantala di far la schizzinosa, non sei in condizioni di darti arie da santarellina, sai? Andiamo, sta' buona!». Poi rumore di lotta, le due ombre avvinghiate, lei gridava:
«No, vigliacco! Chiamo aiuto!».
Rumore di stoffa lacerata, l'ombra del butterato piegò all'indietro quella di Rosy.
«Guarda che prima ti spacco la faccia e poi me la dai per forza, stronza!!», urlò il butterato e, a questo punto, Dionigi ritenne che fosse suo dovere intervenire.
In due balzi fu all'altezza della rientranza. Il butterato aveva piegato Rosy sulla cassapanca e, con le ginocchia fra le gambe di lei, era chino a morderle un seno. Dionigi lo agguantò per la collottola e lo strappò via dalla donna, mandandolo a sbattere contro la parete.
«Adesso non te la cavi con un pugno nello stomaco, sai?», ruggi. «Adesso ti cambio i connotati, figlio di puttana!». Era letteralmente inferocito. Gli fece battere due o tre volte la testa contro la parete e quando lo vide stralunare gli occhi cominciò a colpirlo al volto, glielo ridusse a una maschera di sangue in pochi secondi mentre l'altro non riusciva a difendersi.
«No, Dionigi! cosi lo ammazzi!», Rosy gli si aggrappò, piangeva con una guancia tumefatta, la camicetta lacerata, lo supplicava di smettere. Finalmente Dionigi si acquietò, l'altro scivolò per terra privo di sensi e lui vinse la tentazione di dargli un calcio nei coglioni. Rosy Mandorla restava sempre stretta a lui e tremava, scossa dai singhiozzi. Le passò un braccio intorno alle spalle.
«E tutto a posto, adesso, signora Rosy. Ora lo butto fuori, stia tranquilla, si calmi.. »
«La... la busta di... di mio marito!», riuscì a pronunciare tra un singulto e l'altro.
Dionigi annui, fece per chinarsi sul butterato ma Rosy gli si aggrappò con forza, tremando sempre più forte, continuando istericamente a singhiozzare.
«Si calmi, signora Rosy, si calmi, è finito tutto, adesso.... » Se la teneva stretta, un braccio intorno alle spalle, le accarezzava il volto come avrebbe fatto con una bambina, soltanto che Rosy non era affatto una bambina e lui tette simili non le aveva mai viste, cosi grandi e belle, erano quasi inverosimili e... gli venne duro. Se ne vergognò moltissimo ma... gli restava duro e lei era cosi tenera e indifesa tra le sue braccia... il suo corpo era morbido, caldo contro quello di Dionigi. Le accarezzò le braccia nude, poi tentò di ricoprirle i seni con i lembi della camicetta ottenendo soltanto il risultato di sFlorarglieli e di sentirsi irrigidire il cazzo sino allo spasimo...
«Da brava, smetta di piangere, ora... Vuole che citofoni a suo marito?».
«Oh, no! no! per carità! lui... lui sta male...», e nascose il volto contro l'ampio petto di Dionigi che non sapeva come accidenti comportarsi, sentiva il leggero profumo dei capelli di lei, quelle tette elastiche premute contro il petto... Le accarezzò la schiena, risali ai capelli e... porca miseria infame! non ne poteva più dalla voglia, tremava addirittura mentre quella continuava a scuotersi tutta nei singhiozzi!
«Come faccio a salire... in queste... condizioni!», e giù a piangere come una fontana.
«Ma non è mica colpa sua, signora! Vuole che l'accompagni io? Le do una mia camicia», Niente da fare, continuava in quei singhiozzi irrefrenabili e lui continuava ad accarezzarla, adesso un po' dappertutto e lei gli si appiccicava come il naufrago a un salvagente, certamente non si rendeva conto della situazione, poveretta... gli stava inzuppando di lacrime tutta la camicia e lui rischiava di inzupparsi le mutande..
«Coraggio, signora Rosy, adesso non deve piangere più... non è più il caso... sono qua io», e le baciava i capelli, le accarezzava i fianchi, soprattutto quello che era rimasto completamente nudo per via della camicetta lacerata... Se lei mi aspetta un momento qui, da brava, butto fuori questo balordo e poi le do una delle mie camicie, tanto per salire in casa».
«La busta... la busta!», ansimò lei. «La busta... di...mio marito!».
«Si, adesso gliela prendo, signora Rosy». Finalmente lei si scostò un poco. Dionigi poté chinarsi a frugare nelle tasche della giacca del butterato. Ne trasse la busta, un paio di chiavi della Saab.
«Sono sue anche queste?», chiese a Rosy. Lei annui, tirando su col naso e Dionigi non riusciva a staccare gli occhi da quelle poppe che sfidavano la legge di gravità, grandi e sode, dai capezzoli a punta, leggermente divergenti all'infuori. Il reggipetto, strappato insieme alla camicetta, le penzolava su una spalla e lei non se accorgeva, non si rendeva con to di avere i seni completamente nudi, anzi si soffio il naso con un lembo della camicetta lacerata,
«S... s... ssono della Saab.. la voleva in pegno.. voleva l'auto in p... pegno», riuscì a dire, squassata dai singulti. Dionigi posò la busta e le chiavi sulla cassapanca e si chinò ad agguantare il butterato per i baveri della giacca. «Ora lo butto fuori, signora, mi aspetti qui».
«No! N... non te... ne andare! ho paura! grido lei e tornò ad avvinghiarglisi, si spiaccicava tutta contro di lui, contro il pene duro dentro i pantaloni, gli gettò le braccia al collo e Dionigi perse la testa e glie lo disse:
«Rosy! signora Rosy! lei mi fa uscire fuori di testa! io... io non ne posso più!!», e cominciò a baciarla sulla bocca, a palparla tutta e lei gli rispondeva fra i singulti, si lasciava baciare i seni che poco prima il butterato aveva morso, se li lasciava accarezzare e mormorava:
«Oh, si, Dionigi, con te non ho paura».
« Ma tu... tu lei mi fa impazzire dalla voglia, signora Rosy! Non lo capisce? Non sono mica fatto di legno!!», gridò Dionigi, palpandole il culo, facendole sentire il cazzo duro. Lei non faceva che restituirgli i baci, anche con la lingua, era come disperata e ripeteva in continuazione:
«Si! si! resta qui con me.... tienimi stretta!».
Dionigi capiva che lei era in preda ad una specie di crisi isterica, in quelle condizioni sarebbe stato criminale approfittare di lei ma in preda ad un altro tipo di crisi era anche lui, porco demonio!
A risolvere la situazione fu il butterato. Lo udirono lamentarsi mentre cercava di tirarsi su, il volto imbrattato di sangue che andava già rapprendendosi.
«Questo bisogna buttarlo fuori immediatamente!», esclamò Dionigi,
«Ora lei faccia la brava, non si muova di qui! ». La trattò bruscamente, allontanandola da sé, la issò di peso a sedere sulla cassapanca e Rosy restò lì a tremare, sbarrando gli occhi sul balordo che tentava di rialzarsi. Dionigi lo agguantò senza tanti riguardi una mano sul colletto l’altra sul fondo dei calzoni gli fece attraversare rapidamente la lavanderia e, una volta risaliti al cortile, si accertò che nessuno tosse in Vista oppure affacciato alle finestre interne prima di sospingerlo al portone. Apri quello pedonale e ringhiò rivolto al balordo:
«Se entro trenta secondi non sei scomparso ti rincorro e questa volta vai dritto all'ospedale! Mi hai sentito, brutto figlio di puttana? Rispondi!. » Quello annui, corse via zoppicando, tenendosi sulla faccia un fazzoletto, girò l'angolo. Dionigi ridiscese di fretta in lavanderia, Rosy era accoccolata sulla cassapanca e piangeva come una fontana ma non singhiozzava più. La gonna leggera le era rimasta al di sopra delle cosce e, quando sollevò il volto verso Dionigi che la chiamava sommessamente, appoggiandole una mano sulla spalla, lui le vide gli occhi tumefatti dal pianto, la guancia sinistra portava i segni del manrovescio con cui il butterato l'aveva colpita con violenza.
«E andato, scappato via di gran carriera, signora Rosy. Ora si metta tranquilla. Vuol venire nel mio alloggio a lavarsi il viso? Su, smetta di piangere, è andato tutto bene, alla fine».
«Se non ci fossi stato tu chissà come mi avrebbe ridotta, quel vigliacco! Mi ha sempre fatto paura! », si lamentò Rosy, tra le lacrime.
«E un vigliacco! Uno schifoso!».
«Gli ho dato la lezione che si meritava», disse Dionigi.
«Non ha visto che faccia? E le assicuro che non si farà più vedere, da queste parti».
Tirò fuori un fazzoletto dalla tasca posteriore dei calzoni e le asciugò gli occhi, poi glielo diede perché facesse meglio lei che adesso s'era messa seduta sulla cassapanca e le sue ginocchia erano proprio contro il cazzo di Dionigi. Messosi tranquillo durante l'estromissione del butterato il cazzo di Dionigi era tornato in resta alla vista delle cosce di Rosy e adesso, contro le ginocchia di lei, era duro più che mai.
«La porto nel mio alloggio, signora.... »
«Si... va bene..., lei tirava su col naso, piangeva ancora un poco.
«Come sono conciata! ».
«Le darò qualcosa da mettersi, una camicia, una maglietta...». La prese per la vita e la mise in piedi, strusciandosela tutta contro.
«Mi tremano le ginocchia... quel vigliacco...», pianse lei e gli s'appoggiava tutta. Dionigi non chiedeva di meglio ma... avrebbe avuto uno sbocco quella situazione oppure gliene sarebbe venuto soltanto un mal di testa? Ricominciò ad accarezzarla, a blandirla, a rassicurarla, e intanto le baciava i capelli. Lei sospirò:
«Devo essere un orrore!».
« Ma cosa dice! Lei è una donna deliziosa, signora Rosy! Una donna bellissima... e io... sarà meglio che saliamo, sa? perché io...».
«Ancora un momento, Dionigi, mi tremano le gambe», e gli nascose la testa contro il petto. «Restiamo così ancora un momento, sinché non mi passa».
Insomma, possibile che non si rendesse conto? Decise di essere chiaro con lei, magari anche brutale, ma non poteva continuare così, lui non reggeva più quella condizione del cazzo che gli procurava dolore addirittura...
«Signora Rosy, cara...», e le accarezzava i fianchi, strusciava i palmi contro quei seni deliziosi, «Io... insomma, gliel'ho detto prima... sono un uomo normale... lei me ne ha fatto venire una voglia che... poi non rispondo più di me stesso... mi capisce?».
«Oh, sì, Dionigi, capisco! sei eccitato, lo sento, oh, povero caro... ma io ti lascio, sai? io ti lascio sfogare...», e gli s'appese al collo, gli offerse bocca e lingua ed era una lingua dolcissima, tenera, tutta sua, una lingua saporita da succhiare, roba che se non avesse smesso subito lo avrebbe fatto sborrare nelle mutande! Ora però non doveva avere fretta, Rosy era sua, gli si dava, forse per voglia, più probabilmente per riconoscenza ma non era né il caso né il momento di distinguere. Doveva comprimere l'ansia, la voglia, 1l'urgenza di godere subito. Le sollevò la gonna e le sfilò le mutandine, e lei lo aiutò con movimenti delle gambe. Quindi la prese di peso e la fece sedere sulla cassapanca. Voleva succhiarsela un poco prima di scoparla. Docilmente lei si stese sul dorso, gli aprì le gambe e lui, in ginocchio, si trovò di fronte a un cespuglietto scarso, biondo, profumato. Le aprì la vulva con le dita ed applicò le labbra al sesso, cominciando con un bacio che lei dovette gradire perché cominciò a gemere, a sospirare, a lamentarsi.
«Oh, Dionigi, sì! fammi così! mi piace! oooh, caro, caro!»,
Lamenti e consensi che lo eccitarono maggiormente. Succhiò il piccolissimo clitoride, lo leccò, leccò tutta quella bella fica e, adesso che tutto era più che esplicito e la sapeva consenziente, tutta l'ansia di prima passò e lui si sentiva il cazzo duro e pronto, sapeva che gliene avrebbe dato abbastanza per farla godere. Ciò che non aveva calcolato era l'ansia di lei. Il passaggio dal terrore al piacere fu per Rosy talmente intenso che lei venne subito.
«Ooooh!!! basta!! smetti, Dionigi, smetti, tesoro caro!! Prenditi il tuo piacere, adesso... io ho goduto tanto... mmmh! oh, vienimi addosso, caro! vieni! godi anche tu! voglio che godi tanto, caro!! vieni!».
Lui si rialzò, lei aveva le belle gambe abbandonate, l'espressione ancora estatica assunta nell'orgasmo e la vide bellissima, dolce, abbandonata a lui, completamente sua. Si chinò a baciarla sulla bocca, un bacio leggero, lei gli sorrise tenera. Poi le accarezzò quei seni favolosi, li baciò, leccò il punto dove il butterato aveva lasciato l'impronta dei denti e certamente le sarebbe venuto un livido.
«Ti fa male?».
«Un pochino», sorrise lei accarezzandogli i capelli, «ma se mi baci li è la cura migliore... Dimmi, ti piacciono i miei seni? Non sono troppo grossi?».
«Che eresia! Sono stupendi, Rosy! Grandiosi! Non ho mai visto seni più belli dei tuoi!».
«Succhiali un poco, caro! mi piace, lo fai con dolcezza», sospirò lei e Dionigi, frenando la voglia di penetrarla, le succhiò i capezzoli e li senti irrigidirsi quasi subito. Allora li leccò, li baciò, leccò quei grandi seni teneri ed elastici e lei gli premeva una mano sulla nuca e sospirava, dopo un poco mormorò:
« Vienimi dentro, caro, mettilo dentro! tu non hai ancora goduto», e gli serrava i fianchi tra le gambe, vieni, mettimelo dentro, voglio che tu goda! ».
«Prima te la bacio ancora un poco, mi piace leccartela, Rosy, mi piace moltissimo, poi godiamo insieme, vuoi?».
«Oh, sì, caro! come sei caro... sei dolce, Dionigi, vuoi davvero che godiamo insieme? Oh, tesoro, leccamela soltanto un poco, però... soltanto un poco, sai?».
«Si! sì! soltanto un poco!», promise Dionigi ed era già scivolato giù, il volto tra le cosce bianche di lei, le labbra su quel cespuglietto biondo. Lei gli s'aprì tutta e la lingua di Dionigi ritrovò la carne già bagnata, la leccò, si esaltò a quel sapore delizioso, la linfa di lei era salata. Rosy cominciò immediatamente a gemere.
«Oh, come lo fai bene, Dionigi caro! ancora un poco ma... soltanto un poco, voglio sentirti tutto!».
Dionigi le infilò la lingua dentro, come fosse un pugnale di carne e lei lo afferrò per i capelli e gridò:
«Non farmi venire così! non voglio! », ma gli spalancava la fica contro la bocca e lui capì che le sarebbero stati sufficienti ancora pochi attimi per venire. Allora smise e si rizzò. In piedi tra le belle gambe di Rosy guidò il cazzo con la mano dritto in mezzo al piccolo cespuglio biondo, la grossa cappella accarezzò voluttuosamente l'apertura tra le piccole labbra intime, infine entrò, adagio, lenta, sino a scomparire dentro la fica e Dionigi spingeva centimetro per centimetro, osservando l'espressione di Rosy che adesso si addentava il labbro e chiudeva gli occhi, lo sentiva entrare ed era completamente concentrata in quella penetrazione che la occupava tutta! Dionigi sentì che era piacevolmente stretta, la fica gli disegnava un anello di tenera carne intorno al cazzo, finalmente!
«Oh, così, caro! così! com'è duro dentro di me!».
« Sì, è tutto dentro, Rosy! Tutto! È tuo, ti piace?».
« Oh, sento che non resisterò per molto, sento che godrò subito, caro! Mmmmh! Tu sei tanto taro... oooh! tesoro! mi piace tanto!».
Com'erano lisce e tenere le sue cosce bianche, com'erano voluttuose da accarezzare mentre lui la pompava adagio... Poi le accarezzò i seni, li strinse un poco senza smettere né mutare il ritmo e lei gridò:
«Se continui così mi fai venire! Continua!!».
«Si, come ti piace, tesoro! Come ti piace! Godi, tesoro, godi!!».
«Ooooh!!! vieni anche tu!! godiamo insieme!!! Io vengo!!!».
« Anch'io! anch'io!! Oh, Rosy, godo!!! Ecco!!! Aaaaaah!!!».
Riuscì a tirarsi fuori una frazione di secondo prima che il suo cazzo sparasse tutto ciò che aveva dentro, con la violenza di un bazooka. La prima salva andò a frustare addirittura il volto di Rosy, le altre si abbatterono sui seni, sull'abito, sul ventre, caddero a inzuppare i peli biondi del pube mentre lui se lo menava furiosamente. Gocciolava ancora quando scivolò in ginocchio, la bocca sul sesso di lei tumefatto, la lingua a suggerne gli umori.
« No! no! Dionigi, no! ti prego! », supplicava lei e tentava di sottrarsi. «Oh, mi fai soffrire, lasciami!!». Si rialzò a malincuore, non gli era ancora scomparsa la voglia di lei. Ma l'aiutò a rialzarsi, la baciò sulla bocca e se la strinse tutta contro, mormorandole parole affettuose e di ammirazione. Lei lo ricambiò.
« Ti devo molto, Dionigi, più di quanto tu non creda. E non solo perché mi hai salvata da quel mostro schifoso, no, anche perché... perché... forse non ci crederai mai ma era da tanto tempo che io non godevo... che non provavo così piacere... non so come spiegarmi».
«Rosy, tesoro, io voglio lasciarti libera, non ti chiederò mai niente ma, quando vorrai...», rispose Dionigi e lei sorrise, annui con un pizzico di malizia. Dionigi le diede le chiavi della Saab e la busta, appena rigonfia, chissà cosa conteneva. Poi salirono al cortile, Dionigi spiò che non ci fosse nessuno nei dintorni, aprì la porta del suo alloggio e lei vi si infilò di corsa. Dionigi le mostrò lo stanzino da bagno e mentre lei era dentro a rassettarsi frugò nei cassetti alla ricerca di una camiciola o di una maglietta che potessero andarle bene, trovò una vecchia Lacoste verde stinto, originale made in Napoli, quella che riusciva a stento ad infilarsi. A Rosy avrebbe dovuto andar bene, con quel paio di tette che si ritrovava...
Dal bagno venne un'esclamazione costernata e, subito dopo, ne usci lei e non sapeva se ridere o preoccuparsi,
«Ho dimenticato un pezzo, giù in lavanderia», disse maliziosamente a Dionigi e, repentinamente, sollevò la gonna che aveva ripulita alla bell'è meglio dagli schizzi di sperma e mostrò il soffice cespuglietto biondo, niente mutandine!
« Le ho dimenticate», e rise, dimentica di ogni altra cosa.
Forse si attendeva che lui, almeno, sorridesse ma non fu così. Al solo vedere quel biondo batuffolo di pelo morbido il cazzo di Dionigi si levò come una serpe e lui non trovò di meglio che tirarlo fuori dai calzoni e mostrarlo a Rosy che lo fissò a bocca aperta.
«Non dovevi mostrarmi i tuoi tesori, Rosy», le disse roco.
«Ma... ma... Dionigi! E... enorme, il tuo affare! Io lo avevo sentito ma... oh, com'è grosso e lungo!!», esclamò lei. Si leccò le labbra e aggiunse:
«Mi fa paura, caro... Davvero, sai?».
«Ti ho fatto male?», chiese lui, preoccupato.
«Neanche per sogno!», esclamò lei, convinta.
« Ma... se l'avessi visto prima mi sarei preoccupata. Vuoi dire che... ti è venuto così duro solamente perché ho sollevato la gonna?».
«Sì, di colpo, Rosy!».
«Dionigi, caro, è tardi... Giulio, mio marito, mi aspetta, si starà chiedendo come mai tardo tanto».
Lui la trovava bellissima, così incerta, a torso nudo, con quelle due poppe inverosimili, bellissima e... arrapante al mille per mille.
«Dionigi, io... vuoi che te lo baci?» gli chiese e continuava a guardare il cazzo come fosse il primo che vedeva.
«Non sono brava, sai... ma se vuoi...»
«Oh, vieni, tesoro!», tagliò corto lui, sospingendola verso la stanza da letto. La fece sedere su una poltroncina e non era la bocca che voleva ma quelle meravigliose, fantastiche, voluttuose poppe. Accarezzò i capezzoli con la cappella vellutata e lei capi subito, gli racchiuse il cazzo fra i seni, lasciò che Dionigi si sfregasse a quel modo ma, dopo un poco implorò con voce roca: «Fammelo succhiare un poco, caro! non credevo che ne esistessero di cosi grossi! ».
L'accontentò, badando a non cacciarglielo quasi del tutto in bocca per non soffocarla. Era davvero incapace di far pompini, non aveva mentito. Lo leccava, provava a succhiare, lo mordicchiava, impugnandolo con ambo le mani per paura che la strangolasse. Ma, proprio per questo, era eccitantissimo quel suo inesperto prodigarsi. Ad un tratto si scostò, a momenti Dionigi non riconosceva la sua voce quando si mise a gridare:
«Sbattimi sul letto, amore!! Oh, ti prego, dammelo come prima!! Sul letto, vienimi addosso, mettimelo dentro!!».
Impazzito di voglia, contagiato dalla voglia di lei che gli appariva irriconoscibile, Dionigi ebbe tuttavia l'accortezza di farle togliere la gonna, già abbastanza spiegazzata, prima di stenderla sul letto. Le fu addosso e si trovò alle prese con una Rosy sconosciuta, non più la donna dolce e remissiva, appassionata e tenera ma una femmina impazzita che gli serrò le reni tra le gambe e, quando la penetrò, gli andava incontro ribattendo colpo su colpo, gli piantava le unghie nella schiena, gridava come una forsennata. Venne dopo pochi istanti, con un singhiozzo muto, irrigidendosi tutta, le vide il bianco degli occhi e si spaventò, non riuscì a godere a sua volta.
Ci vollero alcuni minuti perché Rosy si riprendesse e fu come se fosse uscita da un coma, lo guardo come se non lo riconoscesse e intanto lui s'era tirato fuori e gli s'era ammosciato il cazzo
che le fosse venuta una crisi cardiaca.
«Oh, Dionigi, caro... non so cosa mi è preso… mi son sentita volare in cielo, era troppo.., ho avuto come la sensazione di morire perché volavo in alto, in alto, sempre più in alto... non ho mai goduto cosi tanto in vita mia... quasi una sofferenza, te lo giuro ! »
«Ecco, Rosy. 1o... io non ho goduto ancora... mi sono spaventato, pensavo che tu stessi male».
Oh, povero caro! vuoi che te lo baci?».
«E tardi, Rosy, avremo tempo, se vorrai... Scendo a recuperarti le mutandine... Ora misurati questa maglietta»,
«Senti, io salgo senza mutande, intanto sono settimane che mio marito non mi cerca... Tienile tu, me le darai ».
La maglietta le andava quasi bene, si baciarono ancora, con tenerezza, prima che Dionigi, dalla soglia dell'alloggio, le accennasse che la strada era libera...

Steso sul letto Dionigi fumava ripensando a Rosy Mandorla. In realtà lui non aveva grande esperienza di donne e Rosy l'aveva sorpreso in un certo senso, sopraffatto. Nel seminterrato era stata una dolce amante, sul letto una baccante sfrenata. Valle a capire, le donne, E chissa cosa aveva combinato il marito, perché la esponeva a certi rischi, e cosa c'era nella busta...
Si addormentò, sognò di Karina che lo guardava seria e gli diceva: «Hai un bel cazzo, ora che me l'hai fatto vedere devi darmelo!»
Si svegliò alle tre e mezzo, una doccia lo rimise a nuovo, il pensiero che Bruna Pigato avrebbe dovuto scendere da lui, tra poco, gli fece rizzare il cazzo. Che fica, quella! E che stranissimo periodo che era questo, nella sua vita! S'era già fatto Flora Malvolti, una donna bella e superba che non si sarebbe mai sognato di scopare. S'era goduto Rosy Mandorla in circostanze singolari e, tra poco, avrebbe posseduto Bruna Pigato, un corpo statuario, lei altera e in apparenza inaccessibile. “Tienimi in caldo quella stanga che ti ritrovi tra le cosce !!”
gli aveva raccomandato dopo avergli fatto un pompino superbo...
La stanga in questione era dura forse prematuramente e Dionigi le diede un colpetto affettuoso. Non aveva mai supposto di possedere un cazzo apprezzato in quel modo dalle donne ma, giá che lo aveva, lo avrebbe fatto funzionare al meglio. Per il momento si preparò un caffè e accese una sigaretta. Il caffè stava già filtrando quando suono il campanello d'ingresso. Corse ad aprire ed era Bruna Pigato, davvero una statua in un abito corto, semplice, senza trucco e lui avrebbe giurato che non portava reggipetto sotto il vestito. Non aveva calze, sandali dal tacco basso, un leggero profumo di sali da bagno quando gli passò accanto, guardandosi intorno con curiosità.
«Dunque questo è il tuo regno? Che buon aroma di caffè!». Entrò in cucina, disinvolta, sedette su una seggiola impagliata, accavallò le gambe con la grazia di un'indossatrice. Gambe perfette, naturalmente. Tutto in lei era perfetto, il volto non aveva un'imperfezione, il corpo era di un'armonia eccezionale.
«Mi offri una tazza di caffè?».
Dionigi le servì il caffè, sedette di fronte a lei,
«Oggi non hai l'obbligo di aprire il portone, vero?».
«Il giovedì è il mio giorno di festa».
«Allora resterò con te un paio d'ore. Ieri, il tuo affare, così grosso e così duro, mi ha intrigata, non appena risalita a casa ho fatto da me, capisci? e ho goduto quasi subito, pensando al tuo cazzo».
«Che in questo momento mi sta venendo duro»,
sospirò Dionigi.
«Allora andiamo pure di là», decise lei, alzandosi.
«Però devi promettermi una cosa: sarò io a guidare, tu non prenderai nessuna iniziativa. Prometti?».
«Prometto», disse Dionigi, «Farai ciò che vorrai, sarò il tuo schiavo, sarò ben felice di esserlo».
«Sarebbe la prima volta», sospirò lei. Dionigi la prese per mano, la condusse in camera da letto. «Ora spogliati nudo, voglio vedere bene come sei fatto».
Le ubbidì mentre lei si sfilava l'abito dalla testa. Sotto non indossava che un paio di minuscoli slip di seta rossa. Sistemò l'abito sulla spalliera di una poltroncina, si tolse i sandali e sedette sul letto ad osservare Dionigi che s'era messo nudo, il cazzo che gli rampava fieramente contro il ventre.
«Sei ben fatto, un bel ragazzo e... hai un cazzo bellissimo, grosso e lungo ma.. bello, soprattutto! Ora stenditi sul letto!».
Le ubbidi e lei gli si accoccolò a fianco, si chinò a baciarlo sulla bocca, brevemente gli fece sentir la lingua mentre lo accarezzava sul petto, il palmo liscio scendeva adagio verso il ventre; mentre lui attendeva che gli impugnasse il cazzo la mano risalì e lei tornò a concedergli la lingua ma erano soltanto brevi assaggi, poi rialzava la testa. Infine gli impugnò il cazzo ma fu soltanto per tastarlo, per stringerlo forte.
«Hai proprio un bel cazzo, mi mette una voglia!», sospirò. Dionigi taceva, teso, mantenendo fede ai patti. Lei si chinò ancora a graffiargli leggermente il petto, glielo mordicchiò, gli leccò i capezzoli, poi si rialzò ancora, gli accarezzò il ventre ma senza toccare la verga, sfiorò soltanto la cappella, facendolo rabbrividire di aspettativa e di infine si abbassò ancora e gli diede la lingua da succhiare:
«Mi stai torturando ma mi piace!», sospirò Dionigi e intanto ringraziava mentalmente Rosy Mandorla che lo aveva fatto godere quel mattino, altrimenti sentiva che non sarebbe stato in grado di reggere per molto quella strana situazione, una sorta di voluttà che gli veniva concessa goccia a goccia, piccole punzecchiature di piacere...
«Sei bello, sei giovane, sei ben fatto, Dionigi! », sospirò di rimando lei.
«Mi sento già calda, non sono ancora al punto ma... oh, aspetta!».
Gli si mise a cavallo di una coscia, gliela serrò forte fra le sue.
«Sei forte, com'è muscolosa la tua coscia! »,
e cominciò a soffregare adagio la vulva sulla carne soda di lui, gli accarezzava le palle gonfie, gli graffiava leggermente i peli intorno al cazzo che però non toccava. «Mi piace, sai? Mi preparo, sento che sto già bagnandomi un poco... adesso voglio fare un'altra cosa... sei il mio schiavo, vero? dimmi che lo sei!».
«Sono il tuo schiavo, fammi ciò che vuoi!», esclamò Dionigi ed avrebbe voluto aggiungere: voglio darti tanto cazzo da lasciarti tramortita! ma questo non lo disse. Lei si portò le mani alle mammelle, autentiche sculture di carne, se le strinse e stuzzicò i capezzoli, mormorando:
«Tra poco sono pronta... lo sento... mi sto bagnando, sai?».
«Ti farò godere !», mormorò roco Dionigi,
«Voglio fare un'altra cosa, adesso... soltanto un poco... », ansimò Bruna. Smontò dalla coscia di lui e si fece più avanti, flettendo le ginocchia fini per sedersi sul suo volto, la fica sulla bocca del maschio che subito sporse la lingua ad assaggiare. Non contenta lei gli gravò sulla bocca con quasi tutto il peso, cominciò a sfregar così la fica e se la apriva con le dita, iniziando a lamentarsi. «Sei il mio porco ed io sono una troia, sono già bagnata! tutta bagnata! Leccami, porco! leccami! infilami la lingua, mangiami la fica! Lo senti come te la do? Ti piace? Sei un porco... anch'io... sono una gran porca!! ».
Avesse continuato così Dionigi sentiva che gli si sarebbero spaccate le labbra, gliele avrebbe stritolate, le sentiva gonfie, contuse, gli bruciavano...
«Mmmmmh! ti faccio quello che voglio! ora basta, però, voglio il tuo cazzo!!».
Aveva quasi gridato, lui capì che, adesso, non sarebbe stato difficile farla godere. Adesso lei arretrava standogli però sempre a cavalcioni, cercava con la mano il cazzo, quando lo trovò lo strinse forte, lo lisciò tra le dita, lo guidò mentre flettendo le ginocchia si abbassava e, finalmente, Dionigi lo sentì penetrare in una guaina lubrificata e strettissima, lo assali il piacere all'improvviso, non era mai entrato in una vagina così stretta! Strinse i denti, cercando di pensare ad altre cose, l'ondata di piacere si arrestò e intanto lei cercava la miglior posizione per potersi muovere sul cazzo che aveva conquistato. Per un poco ristette ansimando, assaporando a fondo quella completa penetrazione, i peli del pube si mischiavano. Lei fece un piccolo movimento rotatorio, emise un lamento, poi un gemito lungo gli appoggiò le mani sul petto ma era incapace di muoversi. Dionigi le andò incontro e lei rantolò:
«Non muoverti! Sta' fermo! Sta' fermo ! »
Infine riuscì a muoversi lei ma in quella posizione aveva poco gioco, soltanto qualche centimetro del la verga durissima poteva muoversi dentro quella nicchia voluttuosa. A lei però bastava. Comincio a muoversi, a dimenarsi e si lamentava forte: «Ooooh ooh!! così sento che godo, sai? sento che godo !».
«Godi, tesoro! godi!», la incitò Dionigi mentre lei si agitava massaggiandogli il cazzo racchiuso fra le strette pareti vaginali.
« No! ancora no! mi piace troppo, voglio che duri ancora!», sì lamentò lei, fermandosi. Si incurvo tutta a baciare Dionigi sulla bocca, gli succhio la lingua e, piegandosi in quel modo, un po' del membro usciva dalla fica. Lui si inarcò a rimediare. Bruna ebbe un fremito lungo, gli morse le labbra già martoriate dalla pressione della fica, infine si rialzò e riprese ad agitarsi. Si mordeva le labbra, si accarezzava i seni, il suo volto già cominciava ad assumere l'espressione estatica che precede l'orgasmo ma adesso non gridava più, era tesa, in ansia per il piacere che sapeva sarebbe arrivato, che stava arrivando...
Dionigi si attendeva da lei, quando fosse giunto il momento, un orgasmo terremotale e già andava chiedendosi se gli sarebbe convenuto godere anche lui in quella posizione oppure cambiarla, prolungare il proprio piacere oltre quello di lei. Fu sorpreso, perciò, quando tutto accadde in modo ben diverso da come se l'era immaginato.
Dapprima sul bellissimo volto di Bruna apparve un'espressione di infinito stupore e lei s'irrigidì tutta, le sue dita artigliarono le cosce di Dionigi, piantandogli le unghie nella carne e tutto il corpo di lei si fece all'improvviso rugiadoso. Poi il suo volto si trasfigurò, i caldi occhi marrone brillarono per un attimo prima di farsi opachi, lei s'abbatté come svenuta sul petto di Dionigi. Al primo istante di sorpresa subentrò in lui la preoccupazione. La rivoltò supina sul letto e, naturalmente, gli s'era ammosciato il cazzo. Pensava ad un malore, a come soccorrerla ché gli pareva come morta, poveraccia e gli vennero i sudori freddi, altro che cazzo duro! Poi vide che gli splendidi seni si abbassavano ed alzavano in un respiro regolare, morta non lo era di certo. Però aveva gli occhi chiusi le labbra asciutte semiaperte, insomma non era mica una cosa normale. Si guardò il cazzo che gli pendeva molle e inutile tra le gambe e sembrava anche lui mortificato.
« Ma guarda cosa mi hai combinato!». gli sfuggi ad alta voce e, subito dopo, ebbe un sobbalzo perché, dalla gola di Bruna, usciva un suono inconfondibile: lei stava russando. Un russare leggero, aggraziato se vogliamo ma, per la miseria, lei russava!
Mentre Dionigi la fissava a bocca aperta Bruna aprì gli occhi, lo guardò come se non lo riconoscesse, emise un debole lamento, seguito da un lungo sospiro di beatitudine.
«Oh, Dionigi caro! Ho goduto in maniera incredibile! Non credevo che il piacere potesse essere cosi intenso. A un certo punto non ho più resistito, mi son detta che morivo e invece ho cominciato a volare, mi sentivo leggera come una piuma! volavo... volavo... mmmmmh! Che beatitudine!».
« Io invece mi sono spaventato, accidenti!», borbottò lui ma era ben contento che tutto rientrasse nella normalità.
«E tu? Hai goduto tanto? Oh, mio Dio!! Dionigi!! Mi hai forse goduto dentro?» Era balzata a sedere
sul letto, spaventatissima, una mano sulla bocca.
«lo non posso prendere la pillola e...».
«Tranquilla, non ho goduto per niente», sbuffò lui.
«Ma come!? Davvero? Ma... io non ti sono piaciuta?».
«Eh, accidenti, se mi piacevi! Ma a un tratto ti sei fatta pallida e credevo ad un malore».
«Oh, povero caro!! Io... io non capivo più nulla, giuro! Ma... ma cosa hai fatto alla tua bocca?! E gonfia, rossa.…!»
«lo non le ho fatto niente», ghigno Dionigi, sono stati i peletti della tua fica. Ma non mi lamento, sai, mi è piaciuto come me la strofinavi sulla bocca !»
«Povero Dionigi! sono stata pazza e crudele, vero? Pensavo soltanto al mio piacere».
Gli leccò le labbra, gliele baciò delicatamente e Dionigi sorrise:
«E a lui non ci pensi? A lui che ti ha fatto godere tanto? Che facciamo, adesso?»
«Oh, povero tesoro! Bella la mia stanga, com'e diventata morbida! E bella anche cosi, sai? Anche così...».
«Prova a prenderla un poco in mano», suggerì lui, e lei non aveva ancora allungato la mano che il cazzo, in previsione, ricominciava a gonfiarsi, si induri immediatamente nella mano di lei.
« Mi è diventato grosso in mano, hai visto? Oh, com'è bello! poverino, lui voleva godere e io sono stata cattiva».
«Ti farà godere ancora, se vuoi»,
« Ma... io... non voglio essere egoista, caro! Tu hai dovuto trattenerti e adesso ne avrai tanta voglia, non è così? E io sono di tempi lunghi, l'avrai visto», Bruna era incerta ma già guardava golosamente il cazzo duro tra le sue dita, già considerava una possibilità lussuriosa, già si faceva venire certe idee,
«Bruna, tu sei di tempi normalissimi», replicò Dionigi, «Sono forse i tuoi, chiamiamoli cosi, amanti che non sono all'altezza. Io dico che sei più che normale. Vuoi provare? Questa volta, però, facciamo a modo mio».
«Oh, sì, caro! come vuoi tu!», Dionigi le si stese accanto e, come lei gli riprese il cazzo in mano, lui cominciò con Bruna gli aveva prontamente aperto, «Mi piace, sai?», gli confidò lei dopo un momento.
«Sto bagnandomi di nuovo... oh, non avrei mai creduto così in fretta, è la prima volta che mi succede».
«E non sarà l'ultima», promise Dionigi,
« Voglio sperarlo, caro!», sospirò lei. Dionigi, con delicatezza, le fece aprir le dita che si articolavano voluttuosamente sul cazzo Non aveva alcun bisogno di scaldarsi e voleva invece scaldare lei. Continuando a giocare con la mano sulla fica umida si chinò baciare i seni turgidi, le lecco i capezzoli e glieli strinse fra le labbra, glieli succhio sino a che lei non si lasciò sfuggire un sospiro lungo.
«Caro! dammi il tuo cazzo in bocca voglio succhiartelo! soltanto un poco !», implorò Bruna a un certo punto.
«Vuoi che ti lecchi anch'io? Facciamo insieme?»
propose astutamente Dionigi che non voleva perdere terreno con lei,
«No, tu hai le labbra gonfie», esitò lei ma si capiva benissimo che ne avrebbe avuto voglia.
«Come dico io, facciamo insieme ma come dico io!», ordinò Dionigi. Le andò a cavalcioni all'incontrario e mise la testa tra le belle cosce di lei, sode come marmo, lisce come rivestite di seta. Le aprì con le dita il sesso, con delicatezza spinse la punta della lingua all'interno di quella carne rosa, cominciò a stuzzicarla e intanto lei s'industriava a catturare il membro, si contorceva per prenderlo in bocca, finalmente Dionigi si senti succhiare, leccò e succhiò a sua volta con avidità sinché non la senti tremare. Allora smise e costrinse lei a fare altrettanto ma il grosso cazzo usci di bocca a Bruna con un rumore di risucchio che denotava la resistenza che lei aveva fatto a lasciarselo strappar via. Una giravolta e lui fu tra le sue gambe aperte, guidò il cazzo con la mano, infilò dapprima la cappella ed ebbe la soddisfazione di sentirla gemere, spinse più a fondo, la sforzò con decisione, fu tutto dentro. Allora l'abbracciò, le infilò la lingua in bocca e restarono così, fermi per qualche momento, scambiandosi piacere con le lingue. Poi fu per prima Bruna a muoversi, ad andare incontro al maschio che la penetrava sino in fondo.
«Facciamo adagio, cara, te ne do quanto ne vuoi », le disse. «Ma se senti di godere subito godi! non fermarti! ti piace, così?».
«Spingi, tesoro! spingi!!», gli rispose roca sulla bocca e lui s'avvide che stava già partendo, altro che tempi lunghi. «Spingi! più forte!», gridò ancora Bruna. «Godiamo insieme!! Ecco, oooh! io ci sono gia! io vado in cielo!, caro!! OOH!!!». La vide fare una smorfia come di sofferenza mentre godeva trasfigurandosi nel piacere e continuò a pomparla svelto, sempre più svelto mentre lei restava inerte, pallidissima. Finalmente il piacere giunse anche per lui, quando si tirò indietro era stralunato e le afferro una mano portandosela sul cazzo che schizzava.
Dopo, giacquero insieme e lei, incredibilmente, s'era addormentata proprio come prima, respirava pesante, lui la tenne fra le braccia sinché, pochi minuti dopo, non si risvegliò e gli disse in un sussurro tutta la sua felicità di donna pienamente soddisfatta.
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