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Lui & Lei

Cinque biglietti da cento per una puttana...


di Membro VIP di Annunci69.it xNemesi
01.02.2022    |    3.697    |    5 9.4
""Allora, la macchia?", mi chiede..."
Blackshop - Mario Biondi
https://www.youtube.com/watch?v=xB2PNpovC74



"Tutto questo ti costerà caro. Molto caro", dice...
"Duecento? Trecento? Di più? Fossero anche cinquecento... Ti voglio!"...
“Non essere ingenuo. Sai che non è di questo che sto parlando. Non è solo una questione di soldi lo sai e poi non credo che ti manchino.”

Il suo sguardo è affilato come uno scanner.
Gli manca solo la luce verde fosforescente ma, per il resto, è penetrante come il led appuntito di una macchina. Freddo e senza sentimento.

Passo una mano sulla montatura degli occhiali. È un gesto rapido. Scorro indice e pollice sulla stanghetta, in avanti. Provo a togliermi da questo imbarazzo appiccicoso come un chewing-gum masticato e sputato sull'asfalto sotto il sole d'agosto...

“Scopare con una puttana", prosegue, "Ti lascia un segno addosso.
Come una macchia, una tatuaggio sulla pelle. Te ne accorgi dopo. Un giorno, quando ormai ce l'hai e ti chiedi se l'hai sempre avuta. Ti sembra di no, ma non ne sei sicuro. E poi comincia ad assillarti. Scopare con una puttana è quella macchia indelebile. Inspiegabile, magari innocua per qualcuno..., ma indelebile.”


Lei è bellissima.
Di una bellezza immediata eppure remota.
Diafana ed elegante, indossa un tailleur grigio che ne mette in risalto le lunghe gambe. La gonna è corta e non riesce a nascondere completamente un pallido indizio di calze autoreggenti che si sporgono come bambini curiosi, dal bordo di una finestra.
I capelli biondi sono corti e le danno un'aria di indipendente sensualità.

"Ti avviso. Questa macchia è un piccolo foro. All'inizio non passa nulla, o quasi nulla, ma piano piano i bordi si allentano. Il foro si allarga ed il malessere inizia ad entrarti dentro. Senza che te ne accorga, diventa un buco, slabbrato ed osceno. Ed una sera torni a casa, entri nell'ingresso. Lasci il portafoglio ed il cellulare sul tavolino, insieme alle chiavi perchè di sicuro lo hai, tu sei un tipo da tavolino all'ingresso, hai proprio la faccia da uno che possiede un tavolino, bello, costoso..., magari antico e lo tiene all'ingresso, sotto uno specchio. Posi i tuoi oggetti sopra questo fottuto tavolino ed alzi lo sguardo e..."

La seguo attentamente. Sono atterrito...

“E guardi la tua immagine riflessa. Niente di diverso dal solito, ma solo apparentemente. Il solito volto del solito uomo, con la sua solita presunzione e sicurezza. Il solito bell'aspetto, curato ma con quella piega nello sguardo un po' triste. Eppure quel giorno quella macchia d'un tratto è più nera. Il foro sta diventando una voragine. Non te ne sarai accorto, ma inizierai a fare acqua da tutte le parti.”

Rimane in silenzio...
Mi osserva con i suoi liquidi occhi azzurri. Uno sguardo che nasconde dolcezza in un volto felino di tigre, posso sentire il crepitare del fuoco nelle sue vene. Posso percepire la lotta eterna tra il suo rimanere ferma e immobile, sicura, davanti a me, e quella irrequietezza che cerca di controllare.
È una bomba pronta ad esplodere. Il silenzio si allunga, sino a diventare l'appendice monca di un discorso che si appanna nella memoria di entrambi. Siamo seduti in un privè di un elegante locale nel centro di Milano un sabato sera proprio sotto il mio ufficio.

"Non sai cosa decidere?", mi chiede.

"A dire il vero io so cosa voglio"..., e ascoltare la mia voce esprimere questo concetto per la prima volta con una certa sicurezza mi stupisce.
Mi tolgo gli occhiali e li poso sul tavolo. Prendo il bicchiere e butto giù un sorso del liquido arancione che c'è dentro, non ricordo neppure cos'è, percepisco appena il sottofondo alcolico, mescolato ad un sapore dolce come il tanfo dolciastro di un peccato soltanto accennato.

"Voglio te. Ti voglio adesso.", le dico.

Ride. Ride di una risata troppo limpida per essere genuina, forse è nervosismo penso.
Ha portato avanti il suo bluff, il suo atteggiamento da donna abituata a vendere il proprio corpo, quell'insignificante contegno di chi, ogni volta, vorrebbe non cedere non svendersi per poche centinaia di euro. Ho visto il suo gioco, non mi sono lasciato ingannare dalla sua sicurezza, e adesso sembra in difficoltà.
Si muove in avanti, per prendere il bicchiere. La giacca del tailleur si apre per un istante velocissimo e sufficientemente lento, da mostrarmi il seno nudo, non è abbondante, le curve sono lievi e delicate come le fasce di un violino.

Ascolto il suono caldo del suo corpo da sirena, che profuma e racconta di sinfonie marine in cui perdersi. Questa vista mi annebbia, e il desiderio si muove veloce, evitando facilmente ogni ostacolo, scende in picchiata dalla mente e vola al sesso che si gonfia nella stoffa dei miei pantaloni.

"Andiamo su in ufficio da me..., oggi è festa, è tardi, non c'è nessuno".

Prendo il portafoglio dalla tasca della giacca, guardo il suo interno e poi lo poso sul tavolo, accanto agli occhiali.
Una mazzetta di banconote verdastre fa capolino, il suo sguardo diventa verde, come le banconote, come la luce dello scanner. Si appoggia allo schienale e si passa una mano tra i capelli. Ha scosso via l'inquietudine di poco fa e adesso è sicura.

"Andiamo!".

Si alza e si dirige verso l'uscita del bar, la vedo camminare, i fianchi accoglienti, le gambe lunghissime. È donna come un pugnale avvelenato conficcato nel (mio) cuore.

"I soldi!". "Eccoli", le dico appena fuori, allungandole cinque biglietti verdi da cento.
Lei sorride con una strana espressione dolce..., come se avesse appena commesso una marachella. Prende i soldi e li infila nella tasca della giacca.

"Allora, la macchia?", mi chiede.
“Non so... Non penso ci sia ancora.”
"C'è... C'è ma non si vede. Quando la vedrai sarà troppo tardi, ricorda...".


(***)


Mi rimetto la camicia, lei si avvicina e mi aiuta ad abbottonarla. Parte dal basso e sale lentamente. Sento il suo profumo, adesso un po' più leggero.
Sfuma in un odore forte, odore di me e di lei odore di gesti inconsulti e veloci.
Odore di passione rubata, scassinando pudori e false ritrosie.

Ho ancora negli occhi l'immagine della sua schiena nuda, inarcata..., la testa all'indietro.
Le mani e il ventre appoggiate alla scrivania, il sedere sodo e rotondo.
La sua vita fine e le mie mani appoggiate ai suoi fianchi. I biondi capelli corti che le lasciano scoperto il collo invitante come quello di una gazzella indifesa.
I suoi gemiti, di godimento. Osceni schiamazzi notturni, come nelle bravata di giovani ragazzi ubriachi. Il mio cazzo che scivola e si fa strada dentro di lei, e quell'idea..., quell'ossessione di possederne il corpo senza più sforzarmi di possederne anche la mente.

Eppure..., eppure quella sua sottomissione...
Totalizzante come un'onda che si frange con forza su un'alta scogliera, in un mattino di pioggia, mentre guardi l'oceano. Venirle dentro e riempirla senza grazia, senza compassione.
E quel mio non muovermi esausto nella sua fica grondante passione e dolore.
E ancora nonostante tutto, sentirla ancora mia, padrona e schiava allo stesso tempo.
Sentirne la pelle che si tende sotto le dita. La pelle morbida e ancora innocente dei suoi fianchi. Percorrerla geloso, accarezzando le anche appuntite e poi scendere là in mezzo, dove la sua seta leggera incontra il peccato.

Mi guarda negli occhi ora, e sorride...
E' il suo istinto felino che le fa percepire la mia debolezza, che questo è il momento in cui la macchia viene alla luce, in cui l'animo inizia a lacerarsi lentamente. Il foro si sta aprendo e lascia spazio, non alla vergogna, non al rimorso, ma all'ossessione del possesso.
Alla passione e all'Amore...

Mi abbottona i polsini, poi mi bacia teneramente.

"É.., è. E' stato bellissimo", balbetto.

Lei sorride ancora.

"L'ho fatto per i soldi. Lo sai. Devo pagare un affitto e poi le bollette. Non è stato nulla per me. Devi saperlo".

Si scosta e mi lascia immobile in mezzo alla stanza.
Le mie labbra che bruciano ancora aggrappate a quell'ultimo bacio.
Si chiude la giacca, prende la borsa e la mette sulla spalla.
Si volta senza ripensamenti, senza nostalgia e raggiunge la soglia.
Si volta solo per un istante, come per concedersi un'ultima vittoria netta ed ingombrante.

"Possiamo vederci ancora?", le chiedo con voce impastata...

“Certo", mi dice, lasciandosi il tutto alle spalle." poi aggiunge...
"Ricordati che il prossimo weekend è il tuo turno per tenere i bambini. È tutta la settimana che mi assillano, dicendo che il loro papà gli ha promesso di portarli fuori in barca.”

Esce...
Le lancio dietro due parole.
Due parole che si conficcano disperate come proiettili,
sulla porta che si è appena chiusa alle sue spalle.

"Ti Amo!".



Nemesi




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